potere, paranoia, xenofobia

<<La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l’ira all’odio; l’odio conduce alla sofferenza.>>
                                                                    (Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma)
                                                                          
<<Noi li persuaderemo che, soltanto quando avranno consegnato a noi la loro libertà, diventeranno liberi (…) Proveranno meraviglia e timore e perfino orgoglio di saperci tanto forti e tanto saggi da essere capaci di pacificare il gregge di milioni e milioni di turbolenti.>>                        (Il grande Inquisitore-“I fratelli Karamazov”)

La paura e’ uno dei pilastri portanti dell’impalcatura su cui si regge lo Stato Multimediale Totalitario (SMT). Anche quando la violenza reale e’ ridotta ai suoi minimi storici il sistema agisce per aumentarne i livelli di percezione.
L’informazione di regime intensifica la diffusione di sentimenti di paura, angoscia e incertezza tra la popolazione per creare immaginari collettivi adeguati alle necessita’ di controllo sociale del potere. La paura in sostanza viene usata come strumento complesso di governo e neutralizzazione delle reazioni alla crisi e alla ristrutturazione economica e istituzionale del paese. Essa configura nella societa’ quel sistema di credenze, concezioni e luoghi comuni capace di alterare la percezione collettiva della realta’ piegandola alla legittimmazione della politica attuata dall’apparato di potere.

Come scrive N. Chomsky oggi, la concezione prevalente della democrazia e’ quella secondo la quale il pubblico dev’essere preservato dal gestire i propri problemi, ed i mezzi di informazione devono essere tenuti sotto stretto e rigido controllo. Il loro compito e’ quello di spostare l’attenzione della gente dalle paure reali (poverta’, precarieta’, sfruttamento etc.), dalle cause effettive delle sofferenze collettive ai capri espiatori a dei fantasmi. L’uso massiccio della paura come strumento di amministrazione delle contraddizioni strutturali della societa’ prelude al definitivo passaggio, nel nostro paese, dallo "stato sociale" allo "stato penale": Emarginazione, disoccupazione, poverta’ etc. non sono piu’ dei problemi sociali ma questioni di ordine pubblico. Ogni frattura tra cultura e produzione viene liquidata per principio e non e’ ammessa nessuna discussione sul valore della "regola universale" che obbliga a misurare l’utilita’ e l’inutilita’ degli esseri umani e delle cose non rispetto alla liberta’ di tutti ma rispetto alle necessita’ della struttura del potere. La parola d’ordine della produzione e del profitto e’ indiscutibile; ogni contraddizione fra realta’ esistente ed ideologia e’ abolita…

L’educazione paranoica del pubblico, del suo fondo brutalmente egoista, e’ il lievito indispensabile alla desolidarizzazione sociale, alla separazione, a quella generalizzata paura dell’altro che finisce per giustificare qualsiasi limitazione arbitraria delle liberta’ civili e dei diritti. Per dirla con Vaneigem: "la sicurezza innanzitutto, dice il carcerire al prigioniero". Eiste una indissolubile connessione fra potere e paranoia; Elias Canetti (Massa e Potere-1969) ricorda che l’organizzazione del potere si fonda su una "perversa volonta’ di sopravvivenza" in cui si annida:"il desiderio di sopprimere gli altri per essere l’unico, oppure, nella forma più mitigata e frequente, il desiderio di servirsi degli altri per divenire l’unico con il loro aiuto".

Il potere, ovunque si posiziona, ha una natura intimamente paranoica e il "potente" e’ sempre un "sopravvissuto"; il tipo paranoico del potente si puo’ riconoscere in colui che con ogni mezzo tiene lontano il pericolo dal proprio corpo ("il pericolo per eccellenza e’ naturalmente la morte."). Passione perversa per la propria sopravvivenza e passione per il potere si identificano. La brama di sopravvivere a una massa di uomini, l’intenzione grottesca di essere "l’unico", e’ caratterizzata da un’ossessione incessante di "smascheramento di nemici. I nemici sono dovunque, sotto le vesti piu’ pacifiche ed inoffensive"…La passione dell’autoconservazione avvulsa da ogni relazione ed esperienza reale degli altri degenera in autodistruzione (inaridimento della vita), diventa paranoica passione per la morte, per la trasformazione degli altri in "corpi morti".

La societa’ tenuta insieme da un fragile "equilibrio del terrore" carico di repressioni rivela, la verita’ rispetto all’inferno a cui si e’ ridotta la sua vita, nell’impulso all’annientamento a cui si abbandona sempre piu’frequentemente. Tentare di assassinare, bruciandolo vivo, un immigrato che dorme su una panchina in una stazione a 70 km da Roma non e’ che l’atto tragico ma conseguente di una ragione paranoica che regna e nutre di se’ esasperatamente la totalita’ delle relazioni e delle esperienze dello spazio sociale. Forse gli esecutori materiali di questa razionalita’ criminale che domina e governa il paese verranno identificati e probabilmente, come si dice, la legge… fara’ il suo corso…Ma chi vorra parlare dei mandanti? Chi vorra fare giustizia nei confronti dei responsabili politici, morali e culturali della violenza xenofoba che cresce nel paese? Presto i giornali del regime parleranno di "balordi" annebbiati dalla "droga", di "branco" allucinato ecc. ed eviteranno di fare domande ai "mandanti" che sulle loro pagine si esibiranno nei rituali appelli ai "valori morali", alla solidarieta’ per la vittima e al rigore penale contro gli aggressori…

Giornalisti, politici, intellettuali che quotidianamente fanno funzionare quella macchina politica che amministra la crisi del capitale con l’uso spregiudicato della paura e dell’insicurezza, della paranoia sociale, parleranno di "episodio razzista", "atto incivile"…, di una "grave deviazione dai consolidati principi della tolleranza e ospitalita’ del nostro Paese"; invocheranno piu’ repressione e piu’ condanne…Lo faranno solo per nascondere ancora una volta le loro responsabilita.

 

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Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Lettera di Mustafa Barghouthi (Parlamentare palestinese, leader del partito di sinistra Mubadara (L’Iniziativa)

Ramallah, 27 dicembre 2008.

Leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete.
E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti?
I bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria muore di guerra o di pace?
Si chiama pace quando mancano i missili – ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa.
La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili – e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? – se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele?

Se l’obiettivo è sradicare Hamas – tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della democrazia – ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare – non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa – la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente – e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto – perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come – testuale – gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia.
E se Annapolis è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati – perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?
Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza.
Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita – solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi – perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? – siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione – e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi – no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia – sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete – e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori – no, sarebbe antisemita.

Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati?
Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l’esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid – e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni.
Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro.
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

trad. Francesca Borri

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12 12 1969: chi non ricorda il passato e’ condannato a riviverlo

 

12
"Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a
riviverlo". (P.Levi)

"E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu
potrai rispondere loro: noi ricordiamo.
Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo
in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la
più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la
più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra."
(Ray Bradbury Fahrenheit 451)

In perfetto stile kafkiano, nel 2005, dopo 11 processi, si chiuse senza
risposte
la vicenda
giudiziaria
 della strage di Piazza
Fontana
con la Cassazione che condannava i parenti delle
vittime della strage, strage che a Milano il 12 dicembre 1969 provocò
17 morti e 85 feriti, al pagamento delle spese processuali. Alcuni
responsabili erano stati individuati e’ vero ma o le prove raccolte a
loro carico furono ritenute insufficienti oppure, questi signori, per
la legge italiana, non erano piu’ passibili di giudizio. Molti
sosterranno che le aule dei tribunali borghesi non sono il luogo piu’
adatto all’accertamento della verita’, men che mai se si tratta di una
verita’ scomoda per lo Stato, altri grideranno allo scandalo
arrampicandosi sugli specchi di una giustizia formale tradita. Comunque
sia, quella sentenza che mandava assolti tutti i mandanti e i
responsabili della strategia della tensione faceva parte e fa parte di
un piano generale di oblio della memoria storica di questo paese
portato avanti dai nuovi padroni del vapore. Non ci si dovra’
meravigliare piu’ di tanto se, qualche anno piu’ tardi, giunti alla
completa attuazione di questo progetto di riscrittura del passato, ad
uso e consumo dell’attuale potere delle elite dominanti, complice la
sinistra dei "riformisti della sopravvivenza", s’intitolano
strade a Giorgio
Almirante
quasi fosse un personaggio da annoverare, nella
storiografia ufficiale, come uno
dei "padri fondatori" della
democrazia italiana
e se si rilegittima l’azione politica e
culturale di quella banda criminale di
neonazisti e neofascisti, cioe’ dei protagonisti, insieme ad apparati
dello Stato, di una
guerra sporca fatta di stragi
e attentati
vigliacchi contro il movimento operaio italiano.
Di una guerra che prosegue ancora oggi ed infatti "il signore di
Arcore" e’ determinato a portarla fino in fondo alle sue estreme
conseguenze deformando la Costituzione nata dalla Resistenza al
fascismo, mutando la la Repubblica italiana in un sistema presidenziale
che concentri, in stile Putin, quanto piu’ e’ possibile il potere nelle
mani di un uomo solo.
Il "signor B" ha una strategia piuttosto chiara per giungere
all’instaurazione di una dittatura postmoderna, di uno
"stato autoritario multimediale". Essa passa attraverso alcune fasi
fondamentali: depoliticizzazione delle questioni sociali, riduzione
all’ignoranza delle masse e pertanto, disintegrazione
della scuola pubblica e del potere dei sindacati ad un potere
formale, annichilimento dell’informazione e della magistratura non
allineata ad
una brutale riedizione, tutta made in italy, di un sistema
dell’ingiustizia di classe dove ai proletari e’ negata anche la
coscienza della propria condizione.
L’ italia, si dice e, a ragion veduta, non e’ piu’ quella degli anni
’60 e ’70 eppure l’obiettivo della borghesia piu’ reazionaria e piu’
rozza di questo paese circondato dal mare non e’ cambiato:
"disorientamento delle
masse ed il diffondersi di
una mentalita’ favorevole alla restaurazione dell’ordine e all’avvento
di strutture centralizzate e gerarchiche", creazione di un permanente
stato di emergenza che avvalla e giustifica la repressione preventiva
di ogni sommossa e agitazione del lavoro contro l’ipersfruttamento e
l’iperprecarizzazione delle sue condizioni di esistenza. Per far
funzionare questo sistema di oppressione perpetua quotidiana del lavoro
e’ necessario, naturalmente, degradare, in una sorta di "soluzione
finale", il livello culturale di questo paese. Nessun disegno politico
autoritario di controllo sociale e di liquidazione conseguente delle
liberta’ civili e’ attuabile senza la precondizione dell’ignoranza di
massa e della disciplina della memoria storica
Non e’ sufficiente inviare l’esercito nelle strade e nemmeno istituire
uno stato di poliziia; non basta deregolamentare il mercato del lavoro
e distruggere i diritti sociali dei lavoratori, delle minoranze, degli
immigrati, delle donne: per comandare la popolazione prima occorre
distruggere la sua memoria sociale: quando tutti quanti accettano la
menzogna imposta dal potere, quando tutti i
documenti raccontano la stessa favola, allora la menzogna diventava
un fatto storico, una forza reale che organizza e controlla la vita
sociale. Come diceva Orwell: "Tutto
ciò che succede, succede nella mente. Tutto ciò che succede in tutte le
menti, succede davvero". Oggi l’industria dell’oblio funziona a pieno
regime tanto che i punti cardinali della politica fascista
(corporativismo, nazionalismo,
populismo, anticomunismo, militarismo, antiliberalismo, razzismo,
sessismo dilagante…) possono essere disinvoltamente spacciati come
una nuova luce, finalmente scoperta, che guidera’ le linee di una
"riforma epocale" della societa’ italiana:
« Non era vero, come sostenevano le cronache, che il Partito aveva
inventato gli aeroplani. Lui gli aeroplani se li ricordava fin dalla
più remota infanzia, ma non si poteva dimostrare nulla. Non esistevano
più le prove».
Un passaggio essenziale nell’alterazione della storia di questo paese
e’ il mutamento del senso  e del significato complessivo della
Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza armata al fascismo. La
reazione borghese non puo’ tollerare lo scandalo di una "Costituzione"
che sia pure a livello formale contiene una prospettiva dei diritti
sociali e delle liberta’ civili che contrasta totalmente con la sua
visione gerarchica della societa’ e che legittima quel conflitto
sociale che essa vorrebbe cancellare completamente dalla testa della
gente. Il secondo comma  dell’art.
3 della costituzione
, introdotto dal deputato socialista alla
costituente, Lelio Basso (con la collaborazione del giurista M.Severo
Giannini) recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

In questo articolo si introduce nel cuore stesso delle norme generali
che governano un paese la contraddizione fra forma e sostanza dei
diritti, tra astrazione giuridica e condizioni materiali dei soggetti;
la coscienza stessa delle ragioni del conflitto di classe. Il
primo comma dello stesso articolo afferma: “Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche,
di condizioni personali e sociali”. E come scrive lo stesso Lelio
Basso: "Siamo qui, è chiaro, in presenza di una
eguaglianza puramente formale: la legge rimane eguale per tutti, ma la
sua
applicazione è diversa, perché la società è composta di persone
disuguali. C’è
forse la stessa libertà di stampa per il multimiliardario che può fare
il “suo”
giornale e la comune dei mortali? L’esperienza ci mostra che anche in
carcere
c’è una profonda differenza di trattamento fra l’imputato comune, ancor
oggi soggetto a
maltrattamenti, e il generale che va diretto in infermeria e viene
rapidamente
scarcerato. Nonostante la conclamata uguaglianza di diritto, i
cittadini sono
ben lungi dal fruire di diritti uguali.
Messo immediatamente di seguito al primo,
questo comma (il secondo) ha un netto significato polemico: la
Costituzione stessa riconosce
che un principio fondamentale, come quello dell’eguaglianza, non è e
non sarà
rispettato in Italia finché non muteranno radicalmente le condizioni
economiche
e sociali. Ma la stessa polemica si rivolge, può dirsi, contro tutta la
Costituzione: nessuna libertà è effettiva finché sussistono le attuali
condizioni; il voto dei cittadini non è uguale finché perdurano
ostacoli di
ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei
cittadini; la stessa sovranità popolare, base della democrazia, è
un’illusione
se non tutti i lavoratori possono partecipare effettivamente
all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese. Da ciò discende
un’altra
conseguenza importante. L’ordine giuridico è stato sempre edificato a
difesa
dell’ordine sociale, per impedire o punire i tentativi di modificarlo;
ora, per
la prima volta, abbiamo nell’ordinamento giuridico una norma che
condanna
l’ordine sociale esistente e impone allo Stato di correggerlo. In altre
parole
se nella concezione tradizionale la pretesa di modificare l’ordine
sociale
costituiva un’offesa all’ordinamento giuridico, oggi è vero il
contrario: è la
volontà di conservazione dell’ordine sociale che costituisce un’offesa
allo
stesso ordinamento giuridico. Non dirò naturalmente, che la prassi di
questi
trent’anni si sia conformata a quest’ordine costituzionale. Ma
l’affermazione
rimane e sta a noi esigerne l’applicazione (…) La costituzione – come
diceva Lassalle agli operai tedeschi – siete anche voi perché
siete una forza e la Costituzione è, in ultima istanza, un rapporto di
forze".

Oggi la riforma dell’ordinamento giudiziario e della Costituzione della
Repubblica deve cancellare dalla coscienza degli italiani ogni traccia
e ogni ricordo di questa contraddizione fondamentale tra diritti
formali e diritti sostanziali, che concepisce il diritto stesso
come garanzia di un progetto politico aperto al cambiamento attraverso
il conflitto sociale. L’ideologia dominante dell’uguaglianza formale,
dei diritti astratti del cittadino astratto non tollera nulla che anche
solo criticamente e formalmente entri in contrasto con lo strapotere
dei rapporti materiali e con la prassi piu’ brutale di
una  giustizia
di classe

( in via di restaurazione definitiva ) in cui si decide in partenza,
senza neanche il riflesso di qualche contraddizione reale, a favore
dell’ordine e a riconferma
puntuale delle istanze di controllo sociale di un capitalismo
che falsamente, sotto
il nome di pluralismo, continua a perpetuare la legge assoluta
dell’accumulazione capitalistica che esclude ogni riduzione dello
sfruttamento.

Il passato di questo paese viene rimaneggiato in funzione
dello stato presente del dominio, per cancellare nella coscienza, gia’
fin
troppo umiliata quotidianamente, del proletariato, ogni memoria di
lotta e
resistenza
e,
dunque, ogni sua aspirazione alla costituzione di
una societa’ libera: La realta’ manomessa ed edificata negli interessi
di un’arrogante minoranza privilegiata
dev’essere l’unica ideologia possibile e tutti devono adeguarsi. Nella
societa’ dello "spettacolo integrato" le masse devono isolarsi dalla
totalita’ sociale, rinunciare a ricordare e riflettere, devono solo
pensare a divertirsi, cioe’ ad essere d’accordo, a lavorare sempre di
piu’ e a classificare il mondo secondo schemi da polizia di
stato, dedicarsi al culto di un futuro che non e’
altro che un eterno remake del presente: menzogna, carcere, condizioni
di lavoro inumano, videolobotomia. La "disintegrazione sociale
a
causa
dell’integrazione" del resto si amministrata sull’amnesia generale,
organizzando spettacoli
esemplari sulla paura, nutrendo l’immaginario televisivo nazionale di
ira e violenza contro l’altro
, divinizzando la realta’ cosi
come essa e’. Come auspicavano i "democratici di
sinistra" l’italia sta’ diventando, e molto velocemente, "un paese
normale". E si sa’, un "un paese normale" prevede nel suo corredo
politico e umano, a sostegno, nelle strade, dell’egemonia del pensiero
borghese, le sue squadre di servi. Prevede lo squadrismo dei figli
nevrotici di una piccola-borghesia che non esiste piu’ per intimorire e
accoltellare quelli
che resistono
alla
follia del capitalismo-multimediale, alle ingiustizie imposte
"dall’economia della luna". Gli "ingegneri dell’astratto" dinnanzi alla
decomposizione dei valori generalmente accettati, dei miti che un tempo
sorreggevano la piramide della gerarchia sociale hanno messo appunto
nuovi sistemi di cura dello spirito: misticismi di ogni sorta,
astrologia, riedizioni a buon mercato di filosofie orientali,
stravaganti sette religiose, revivals della "tradizione", sintesi di
elementi culturali incompatibili, quiz a premi. Tutto e’ un ottimo
rimedio per le difficolta’ sociali e psicologiche del mondo
contemporaneo. Una volta, quando c’era ancora una frattura tra cultura
e produzione l’individuo possedeva ancora qualche via di fuga. Oggi,
nel dominio di una falsa conciliazione spettacolare, e’ vietato
pronunciare termini che anche solo lontanamente alludono alla
dicotomia, alla contraddizione concreta, decisiva che caratterizza lo
sviluppo della societa’ capitalistica: l’antagonismo tra
capitale e lavoro.
Nel regno, finalmente instaurato, dell’utopia
padronale di un capitalismo senza lotta di classe, e’ vietato
pronunciare coppie di parole e concetti come fascismo/antifascismo,
destra/sinistra…e soprattutto poi, questo divieto linguistico si e’
esteso oltremodo da quando la politica si e’
trasformata definitivamente in una merce, venduta in un supermercato
virtuale
dove all’elettore spettatore e’ lasciata la liberta’ di scegliere,
sulla base di differenze infinitesimali, tra la politica di una certa
marca e l’altra, tra opposizioni spettacolari costruite sulla rimozione
delle contraddizioni reali. Il cittadino-spettatore per definizione non
deve neanche sforzarsi di pensare con la propria testa, ma limitarsi ad
acquistare uno dei tanti prodotti che si riversano sul mercato politico
in concorrenza tra loro ma tutti armonizzati nell’immagine di
un’unificazione felice. La vita non cambia, mentre ci si puo’
appassionare con la coscienza tranquilla del consumatore standard a
qualsiasi merce politica anche all’arcaismo regionalista, al razzismo,
al neofascismo incaricati di "trasfigurare in superiorita’ ontologica
fantastica la volgarita’ delle posizioni gerarchiche del consumo".

«Lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere
al massimo la sfera d’azione del pensiero. Alla fine renderemo lo
psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno più parole
con cui poterlo esprimere».

Le
parole, nell’era della illimitata comunicazione globale e del
"capitalismo cognitivo" ormai e’ chiaro devono autolimitarsi, adattarsi
al gusto della cucina del giorno, a volte suicidarsi, ricordarsi
sempre che la verita’ e
il significato del linguaggio sono solo una funzione di forze economiche, di forze
che tali
restano anche quando l’informazione ufficiale le chiama "interessi del
popolo".
Per farsi capire e per comunicare non restano che gli slogan scritti in
un linguaggio infantile.
Il
significato a quanto pare e’ sempre relativo, nulla ha un valore in
se’, nessun fine e’, in quanto tale, migliore di un altro ma e’
assoluto e indiscutibile un sistema economico che divora uomini e
natura ed e’ insaziabile.
E’ relativa "la giustizia", "la giustizia" che non
ha mai voluto indagare davvero su una strage che coinvolgeva apparati
di Stato,
neofascisti, servizi segreti stranieri e vari agenti del caos-mercenari
del capitale…, che non ha mai voluto trovare i mandanti della
strategia della tensione di ieri e di oggi
. E’ nient’affatto
approssimata quando condanna la vita di innocenti come
Valpreda
e Pinelli
 che non c’entravano nulla con la
strage di piazza Fontana. E’ tanto vaga, relativa, inesatta e lacunosa
invece quando deve giudicare la nostra illuminata borghesia e
la strategia che ha adottato contro l’avanzare delle lotte
sociali:
"rovesciamento
dell’ ordine statuale preceduto da una graduale attivita’ terroristica
tale da provocare il disorientamento delle masse ed il diffondersi di
una mentalita’ favorevole alla restaurazione dell’ordine e all’avvento
di strutture centralizzate e gerarchiche". Tutto e’ relativo, ma non il
denaro, non i profitti e gli affari. Sono relativi i morti sul lavoro,
gli immigrati che annegano non lontano dalle coste di questo paese
circondato dal mare, gli studenti che si ribellano all’essere
condannati alla miseria intellettuale e alla precarieta’
esistenziale… Oggi, le parole "dialogo", "tolleranza", "diritti
umani" fanno vomitare, come fanno vomitare le parole "pluralismo"
quando non sono nient’altro che il rovescio funzionale del
totalitarismo fascista del capitale. E’ ovvio che avendo rinunciato
a-priori e per principio a ricostruire la realta’ da cima a fondo
appare naturale che sia del tutto privo di senso parlare di "verita’" e
"giustizia"
quando dobbiamo prendere le nostre decisioni pratiche e morali
e affidarci invece alla guida nelle nostre scelte a
predilizioni soggettive, al nostro
gusto estetico, a qualche capriccio del momento. Il nostro pensiero, la
nostra ragione non ne devono sapere nulla di criteri etici e di valori
ideali
che guidano le azioni, devono limitarsi a funzionare in vista di scopi
indifferentemente buoni o cattivi.

La
réclame della democrazia dei padroni oggi gravita attorno al concetto
di "pluralismo" e "differenza", nomi che non rappresentano niente altro
che l’idea borghese di "tolleranza" il cui senso non cade mai dal lato
di  "una liberta’ dal dominio dell’autorita’ dogmatica", ma
sempre
su quello di un atteggiamento di neutralita’ rispetto ad ogni contenuto
spirituale e di un generale relativismo. Pertanto non c’e’ piu’ da
meravigliarsi se la cultura media di questo paese non e’ in grado di
esprimersi sull’affermazione diffusa che in fondo la giustizia e la
liberta’

non sono di per se’ migliori o peggiori dell’ingiustizia e
dell’oppressione. Beh! gli "esperti", la scienza non ha detto nulla al
riguardo, allora, se il valore
della liberta’ sull’oppressione non e’ "scientificamente
dimostrabile" perche’ non indulgere e comprendere anche una cultura fascista in
cui la cosa
piu’ alta e’ uccidere e torturare
operai,
sindacalisti,
studenti di sinistra
, gay,
lesbiche,
donne,
frequentatori
di centri sociali, immigrati, ebrei, comunisti? Tanto, "tutto e’
relativo", non ci sono "verita’ universali" ma solo "interpretazioni
del mondo"…fatto salvo il principio assoluto che "’l’uomo e’ il
denaro". Questo "relativismo" spacciato col nome di "pluralismo" con la
sua altisonante tesi che la coscienza individuale sia la piu’ alta
delle cose non e’ che un "materialismo volgare" il cui compito e’
quello di
mascherare il fatto che in questa societa’, in ultima istanza, vige il
predominio dei rapporti materiali, che essi sono l’unica cosa che
veramente conta. In una cultura dominata da questo materialismo
grossolano e rozzo travestito da "politeismo irriducibile dei valori"
non c’e spazio per l’etica, ne’ per una discussione pubblica sulle
norme civili e morali sulla cui base si deve o si puo’
cambiare-trasformare l’organizzazione
sociale ed economica della societa’. Qui c’e spazio o per il
rincoglionimento spirituale generalizzato o per  la "politica
della volonta’", per il "decisionismo politico" che e’ l’esercizio del
potere della classe dominante di principio sottratto ad ogni critica
pubblica.
Questa "politica della volonta’ dei padroni" con l’alibi, generosamente
fornito dai filosofi postmoderni-psicoschiavetti del Comando
capitalista, si sente autorizzata, in virtu’ di una fantomatica
impossibilita’ di una fondazione pubblica di norme etiche e valori
condivisi, di non dar conto dei suoi atti a nessuno.
Essa e’ il risvolto del tramonto pianificato dal potere della speranza
di trasformare radicalmente
e materialmente la societa’ e dunque anche della  possibilita’
di costruire
norme etiche condivise in base alle quali sia possibile discutere o
decidere il carattere giusto o ingiusto di una legge.

Cos’e’ la "politica della volonta’"? Il fatto che non si puo’ piu’
porre la questione sul che cosa sia una "legge giusta" ne’ sul che cosa sia
la "giustizia", ne’ su "qual’e’ la buona costituzione
 della societa". La psicopolizia non lo permette.
Daltronde, dichiarata inesistente o quantomeno matafisica la
"totalita’ sociale", come mediazione di tutti i rapporti sociali, e
ridotto tutto ai singoli
fatti, agli individui, ad agglomerati umani, gruppi colti in se’ e ai
fenomeni sociali separati dalla struttura oggettiva della societa’ si
puo’ evitare a-priori qualsiasi
giudizio sulla societa’ in cui si vive. Per quanto la cultura
dominante, postmoderna, faccia professione di neutralismo e di "avalutativita’ morale" ha un
carattere assolutamente politico. Interpreta qualsiasi fatto
"soggettivisticamente"
mentre esclude implicitamente e in linea di principio di trattare la
societa’ come totalita’. Certo qualche vaga teoria sulla societa’,
sulla totalita’ sociale, ancora circola ma vale solo come "finzione di
ipotesi" ed e’ gia’ svalutata in anticipo come una metafisica. In
definitiva la cultura dominante non sa ripetere altro che bisogna
adattarsi alla societa’ esistente come fosse "natura". Peccato che
questa entita’ "metafisica" non e’ cosi’ tanto matafisica visto che ci
costringe tutti, molto concretamente, ad assoggettarci, se vogliamo
sopravvivere, alle motivazioni del profitto e dell’astrazione
economica.

Il
fascismo quello di ieri e di oggi, nell’oblio della memoria storica di
questo paese, non fa che rivendicare e ipnotizzare
con l’illusoria pretesa di possedere la cifra di "un’autenticita’"
originaria presentata e agitata virtualmente come l’unica vera base
della ribellione al sistema mentre, essa non e’ altro che un "ostinato e
caparbio attaccamento alla forma monadica che l’oppressione imprime
agli uomini", una filosofia dell’interiorita, che col suo disprezzo
apparente del mondo moderno, e’ l’ennesima
sublimazione della brutalita’
barbarica. Dalla "sublimazione" di questa brutalita’ barbarica
all’aggressione squadrista, all’assassinio, il passo e’ breve. Chi
legittima culturalmente questi ripiegamenti reazionari e’ complice di
quelli che accoltellano i militanti di sinistra, gli immigrati, i
gay, le lesbiche
, le
donne
, gli ebrei, i libertari.
Chi mostra comprensivo dialogo, promuove "dialettiche democratiche" con i
promotori di questi revivals della "tradizione" e dello "spirito
reazionario" collabora attivamente alla violenza fascista perpetrata
nelle strade di questo paese ieri come oggi. Non ci sono scuse.

"E’ successo e ciò che è accaduto una
volta, può
accadere di nuovo. E’ un dovere di tutti noi ricordare per non
dimenticare affinché certi tragici eventi non si ripetano". (Primo Levi)

"L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la
storia insegna, ma non ha scolari." (A. Gramsci)

"Non
occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme
pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il
fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana,
socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società."
(P.P.Pasolini)

Pubblicato in Generale | Commenti disabilitati su 12 12 1969: chi non ricorda il passato e’ condannato a riviverlo

gli intellettuali di sinistra nei cessi del potere

La felicità
senza potere, i salari senza lavoro, una casa senza frontiere, la
religione senza mito…questo oggi, in ultima istanza e’
l’antifascismo…

Nella citta’ metaforica, Metaforopoli,
descritta in un racconto di L. Malerba, ogni cittadino realizza in se’
la metafora con cui viene nominato: "Se si dice di un attore che
<<e’ un cane>>, sara’ un vero cane peloso, con la coda
quattro zampe denti da cane e abbaiera’ sul palcoscenico e altrove. Se
di un tale si dice che <<e’ un porco>>, sara’ un vero
porco-maiale, con le setole, il grugno, la codetta avvitata e portera’
in giro i suoi quattro prosciutti, anteriori e posteriori. Se per caso
raro si dira’ di una donna che <<e’ un angelo>>, beata lei,
andra’ svolazzando sopra i fili della luce cantando ariette celesti.
Cornelia, nella citta’ metaforica, invece di mettere a letto i
figlioletti, rinchiudera’ ogni sera in uno scrigno e depositera’ nella
bancaria cassetta di sicurezza <<i suoi gioielli>>. Ma la
maggioranza dei cittadini di Metaforopoli si e’ gia’ capito che sara’
composta di animali, da cortile e no: porci cani oche vacche conigli e
poi volpi orsi avvoltoi, rare aquile, molti asini. Si vedranno
camminare per le strade anche innumerevoli escrementi e molte teste la
cui forma sara’ una smentita inequivocabile al detto di Jung secondo
cui il pene e’ soltanto un simbolo fallico" (L.Malerba-la citta’
metaforica)

Da quando la rivoluzione non e’ piu’ una scienza
inventata ma l’argomento insopportabile di intellettuali
surrealisticamente scientifici, alchimisti del verbo, insofferenti alla
moltitudine incolta e disordinata si vedono camminare per le strade
molte teste che come scriveva Malerba sono
una smentita inequivocabile al detto di Jung secondo cui il pene e’
soltanto un simbolo fallico. Oggi cosi’ accade che nonostante generiche
proclamazioni di fedelta’ alla "rivolta", degli intellettuali, che si
sono bevuti il cervello all’happy hour della storia, da buoni
anarchici, si trasformino in poliziotti dell’ordine interiore,
vantandosi di dialogare con chi e che sia procedendo come se i
de-soggetti della propria interlocuzione potessero essere staccati dal
resto del mondo, dalla totalita’ in cui strisciano. Non e’ un fatto
nuovo, anzi, e’ la norma, ormai trentennale, del comportamento sociale
di una sostanziale disoccupazione intellettuale di sinistra che
trasferendosi a metaforopoli crede nella magia delle parole. 

I
relativisti inconsci di ieri, oggi, si sono relativizzati fino alle
estreme conseguenze, fino a fare del relativismo, o dell’indifferenza,
una scienza della liquidazione del proprio pensiero: Dalla paralisi
della conoscenza sono giunti alla paralisi totale del pensiero. Questa
cosa adesso la chiamano liberta’; questa facolta del potere,
interiorizzata, di divorare la liberta’, digerire la verita’ e
restituire veleno la chiamano progresso della coscienza. Ed ecco un
gregge di intellettuali, che purtroppo si dicono ancora di sinistra o
marxisti o rivoluzionari, che da buoni dirigenti del nulla sono stati
addestrati fin dalla loro infanzia politica a trasformare il mondo in
una trama di contraddizioni principali ed accessorie, consegnarsi mani
e piedi al fascismo della razionalita’, dell’equidistanza dalla lotta.

Chi
sono gli interlocutori di queste supposte avanguardie teologiche del
proletariato? Gente che " deve utilizzare  il suo generale disgusto
come spinta per abbandonarsi al potere collettivo di cui e’
stufo…gente che sottoscrive la propria nullita’ e la propria
sconfitta per entrare a far parte…di questa o quella tribu’, di
questa societa’ …"

Per parlare chiaro, un’intera generazione
di agenti del vuoto si sono spacciati  per rivoluzionari. Il loro
compenso, ricevuto dal vuoto, e’ sta un’immagine di se’
autogratificante, una partecipazione virtuale invertita al potere
dell’elite economiche. Godevano di cio’, ma la festa e’ finita e cosi’
sono scivolati tutti, riciclandosi, sulla strada lastricata di
ricompense del pentimento di classe, dell’abiura di se’, mediata dal
fascismo del discorso razionale, del buon senso comune. Ora, questi
signori che galleggiano nei cessi del potere non possono essere
compresi ma solo ignorati. Tirate lo sciacquone, abbassate il
coperchio, disinfettate al lato le scorie e gli ultimi baluardi del
potere patriarcale per tornare fuori all’aperto dove si respira.

Metarofopoli …"si e’ gia’
capito che sara’ composta di animali, da cortile e no: porci cani oche
vacche conigli e poi volpi orsi avvoltoi, rare aquile, molti asini. Si
vedranno camminare per le strade anche innumerevoli escrementi e molte
teste la cui forma sara’ una smentita inequivocabile al detto di Jung
secondo cui il pene e’ soltanto un simbolo fallico"



"le idee dominanti, sono le idee della classe dominante, anche nella loro forma antagonista" (R.V.)

Che cos’e’ oggi il fascismo? Una controrivoluzione quotidiana, un
appello alla schiavitu’, alla lotta spettacolare che non intacca la
struttura sociale del potere. Esso si presenta come la manipolazione
pratica degli antagonismi da parte del potere (V. ad es. Casa Pound
italia): il tentativo mitico-immaginario di superare la scissione tra
societa’ economica e societa’ politica, fra societa’ civile e
Stato, di trascendere l’atomismo della societa’ moderna con mezzi
puramente spettacolari, speculativi e con strumenti sociali e politici
pre-borghesi: corporativismo, organicismo statuale. Il fascismo in
questo senso e’ la trasversalita’ nella societa’ civile di soluzioni
puramente illusorie, regressive all’alienazione sociale. Una forma
alienata di superamento dell’alienazione e pertanto una determinazione
ideologica interna al sistema. Il fascismo oggi e’ questa costituzione
di un illusorio al di la’ dell’alienazione capitalistica,
intrinsecamente idealistico, sentimentale e pseudoreligioso, una
metafisica applicata alla vita quotidiana del potere gerarchico
borghese. Capitale, Lavoro, Stato, Famiglia, Nazione,
Identita’…Autoritarismo…che rappresentano i capisaldi della
sottomissione e dell’abbruttimento dell’umanita’ presente vengono
"risacralizzati" per ri-cementare la piramide sociale, occultare lo
sfruttamento su cui si regge.

L’antagonismo formale allo stato di cose esistenti del fascismo e’ una
forma di governo interiorizzato degli individui e dei collettivi. Una
riconversione mitica della violenza dell’organizzazione gerarchica
borghese in cui il miraggio della sopravvivenza garantita viene pagata
al prezzo di un ulteriore alienazione. Esso e’ una cultura e un
immaginario che uccide schierandosi a fianco del potere, del potere
della sopravvivenza contro la liberazione e l’emancipazione umana. Il
fascismo e’ la nevrosi prima della necrosi che colpisce la societa’
civile sotto i colpi della crisi economica.

Miticamente questo fascismo promette di sollevare le persone fuori dal
tempo ordinario della loro miseria quotidiana cosi’ come lo promette la
reclame delle merci e dei prodotti di largo consumo presentati come
sovramondani, originali e autentici. Il suo conformismo e’ mediato dal
non-conformismo spettacolare di cui si nutre il consumatore seduto al
centro della cultura dominante. La sua estetica, che e’ il rovescio di
una vita inaridita e sclerotizzata nelle pieghe della sopravvivenza
quotidiana, e’ l’estetica macabra della distruzione totale, della
volonta’ di vivere che si ritorce contro se stessa fino al campo di
sterminio; estetica di una notte che legalizza tutti i crimini:
"La decomposizione dello spettacolo passa ormai per lo spettacolo della
decomposizione. E’ nella logica delle cose che l’ultimo commediante
filmi la propria morte. Nella fattispecie, la logica delle cose e’
quella del consumabile, di cio’ che si vende consumandosi. La
patafisica, il sotto-dadaismo, la messa in scena della poverta’
quotidiana fiancheggeranno ormai la strada che conduce fra esitazioni
verso gli ultimi cimiteri." (R. Vaneigem)

La coltivazione di una coscienza mistica visionaria  che vorrebbe
"salvare la cultura occidentale"  da un processo di atrofia
spirituale e dalla "decadenza liberale" e dare inizio ad una
"rigenerazione"  del tempo e della storia, dare vita ad un nuovo
ed epico ciclo della storia nazionale, rappresenta la popolarizzazione
trasfigurata dell’etica del sacrificio della liberta’ di cui ha
bisogno il sistema borghese nel momento in cui vacilla sotto i colpi
della crisi e della recessione economica. In nome di questa etica del
sacrificio al servizio del capitale ogni sincretismo politico,
culturale ed ideologico e’ legittimo. Il suo vitalismo da operetta
neofuturista che dovrebbe risollevare l’apatico individuo-atomo della
societa’ ultrliberale nella sua astrazione si conclude nel culto di
un’inesauribile movimento, della velocita’, dell’azione all’interno di
una comunita’ sentimentale che si redime nel lavoro salariato, nel
servizio ad un capitale mistico che secondo i credenti del fascismo
attuale mette al servizio di una "nuova era" le sue immense
potenzialita’ tecnologico produttive.
La "Comunita’ di destino" sventolata come il momento supremo di
identificazione collettiva, cioe’ di dissoluzione dei confini tra l’io
e il mondo, posta al culmine della parabola moderna di questo fascismo
e’ la ripetizione mitica dell’annullamento dell’individuo che
quotidinamente si compie negli ingranaggi dell’economia capitalistica
ma che nell’inversione ideologica fascista d’incanto si trasforma in un
sacrificio eroico per la rigenerazione del tempo e della civilta’
nazionale:
"ora, il cambiamento e’ l’imperativo che domina la societa’ del
consumo. C’e’ bisogno che la gente cambi macchine, moda, idee
ecc.Bisogna che sia cosi’ perche’ un cambiamento radicale non venga a
mettere un termine a una forma di autorita’ che per esercitarsi non ha
piu’ altra soluzione che quella di offrirsi in consumo, di consumarsi
consumando ciascuno…Per disgrazia, in questa fuga in avanti verso la
morte, in questa corsa che non vuol finire, non c’e’ avvenire reale,
non c’e’ che un passato frettolosamente rivestito a nuovo e gettato nel
futuro. Da quasi un quarto di secolo, le stesse novita’ si avvicendano
sul mercato del gadget e delle idee, con a malapena il trucco del
giorno prima. Lo stesso sul mercato dei ruoli..La borghesia al potere
tollera il cambiamento solo se vuoto, astratto, scisso dalla totalita’."

Lo "Stato etico", la collaborazione di classe…i nuovi e vecchi
fascismi si continuano idealmente nell’estetizzazione della politica,
nel simbolismo seducente di una identita’ collettiva immaginaria.
Questi agenti del vuoto sono premiati dal vuoto con l’immagine di una
partecipazione al potere.

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Vicolo mai, Casa di nessun luogo

Un’ora viva contro tempo morto

La domanda di tempo regola necessariamente la produzione di tempo, come di ogni altra merce. Se l’offerta è assai maggiore della domanda, una parte del tempo cade in disgrazia o muore. L’esistenza del tempo è così ridotta alla condizione di esistenza di ogni altra merce. Il tempo è divenuto una merce, ed è una fortuna per lui se può offrirsi all’uomo.

 Il tempo e’ un grande mistero quotidiano. Tutti gli uomini ne partecipano ma pochissimi si fermano a rifletterci, quasi tutti si limitano a prenderlo come viene e non se ne meravigliano affatto. Esistono calendari e orologi per misurarlo, misure di ben poco significato, perche’ tutti sappiamo che, talvolta, un’unica ora puo’ sembrarci un’eternita’, e un’altra invece passa in un attimo…dipende da quel che viviamo in quest’ora. Perche’ il tempo e’ vita. E la vita dimora nel cuore.
e nessuno lo sa meglio dei Signori Grigi (sono composti di tempo rubato). Nessuno sa -come loro- apprezzare tanto bene il valore di un’ora, di un minuto, di un solo secondo di vita. Certo lo apprezzano a loro modo- cosi’ come le sanguisughe apprezzano il sangue- e, a modo loro, agiscono in conformita’.
Hanno piani precisi circa il tempo degli uomini. Hanno istituito delle sedicenti "Casse di Risparmio del Tempo", convinto la gente ad economizzare il prorpio tempo con la promessa di renderglielo con gli interessi in futuro. Con le loro astute argomentazioni matematiche hanno persuaso la gente a risparmiare tempo, ad accumularlo come capitale a garanzia di un altra vita piu’ vera sottraendolo al presente, rinunciando al tempo perduto dell’amore, dell’amicizia, del gioco. Le persone impressionate dai calcoli degli agenti delle "Casse di Risparmio del Tempo" non sanno altro che fare bilanci della propria vita e non fanno altro che guadagnare tempo lavorando piu’ in fretta, rinunciando al tempo inutile della vita sociale per depositarlo a garanzia di poter incominciare un’altra vita, primo o poi nel futuro.

Nessuno si chiede in coscienza dove finisce davvero il suo tempo. Per tutti i risparmiatori di tempo questa e’ una domanda inesistente e quando si accorgono che i loro giorni fuggono sempre piu’ veloci risparmiano con maggiore frenesia.
Ogni giorno aumentano le persone che si dedicano a questa faccenda chiamata "risparmiare tempo" e quanti piu’ sono tanto piu’ vengono imitati e anche per chi non vuole saperne non c’e altra scelta che adeguarsi. Ogni giorno alla radio, alla talevisione, sui quotidiani, su internet si spiega e si magnifica il vantaggio delle nuove tecniche per risparmiare tempo che un giorno, offrira’ agli uomini la liberta’ per una "vera vita". Sui muri e sugli spazi pubblicitari gli attacchini incollano manifesti raffiguranti ogni possibile immagine della felicita’ e sotto, l’ossessione delle scritte a lettere luminose: I RISPARMIATORI DI TEMPO VIVONO MEGLIO!, oppure: IL FUTURO APPARTIENE AI RISPARMIATPRI DI TEMPO!, oppure: MIGLIORA LA TUA VITA…RISPARMIA IL TEMPO!
Ma la realta’ e’ molto diversa. Certo i risparmiatori di tempo sono vestiti meglio, guadagnano piu’ denaro e possono spenderne di piu’. Ma hanno facce afflitte, stanche e amareggiate e occhi duri e freddi. Ignorano che si puo’ "andare da Momo". Non hanno chi sa ascoltarli tanto bene da renderli ragionevoli, concilianti e percio’ felici. Secondo loro anche il tempo libero deve essere messo a profitto, e in tutta fretta, per procurarsi divertimenti e distensione nella massima misura possibile. Cosi’ non possono celebrare feste o commemorare avvenimenti tristi o lieti; i sogni sono considerati quasi dei crimini. Ma la cosa piu’ difficile da sopportare e’, per loro, il silenzio.
Nel silenzio li assale l’angoscia perche’ nel silenzio intuiscono cosa sta’ capitando alla loro vita. Per questo fanno tanto rumore quando il silenzio le minaccia; pero’ non il baccano giocondo che regna la’ dove giocano i bambini, ma un rumore rabbioso e sgomento che di giorno in giorno inonda la citta’ irrefrenabile crescendo. Che a uno piaccia fare il suo lavoro e lo faccia con amore per l’opera che crea, non ha importanza…anzi da’ fastidio. Importante e’ solo fare il massimo di lavoro nel minor tempo possibile.
In tutti i luoghi di lavoro pendono cartelli con scritte del genere:
IL TEMPO E’ PREZIOSO-NON PERDERLO!
oppure:
IL TEMPO E’ DENARO-RISPARMIALO!
Cartelli analoghi sono appesi dietro le scrivanie dei capi, dei direttori, nei gabinetti medici, nei negozi, nei ristoranti, nei grandi magazzini, nelle scuole e persino negli asili d’infanzia:
UN DESERTO D’ORDINE.
Nessuno vuole ammettere che risparmiando tempo, in realta’ risparmia tutt’altro, che la sua vita diventa sempre piu’ povera, sempre piu’ monotona e sempre piu’ fredda. Se ne rendono conto i bambini, invece, perche’ nessuno ha piu’ tempo per loro. Ma il tempo e’ vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto piu’ ne risparmiano, tanto meno ne hanno.

con la scomparsa dell’ultimo ladro di tempo cessera’ anche il freddo:
"Momo entro’, con gli occhi spalancati per l’ammirazione, negli immensi magazzini. Allineati sugli scaffali senza fine, innumerevoli Orefiori erano posate come coppe di cristallo -una piu’ splendida dell’altra, e nessuna uguale a un’altra- centinaia di migliaia, milioni di ore di vita.
Il calore aumentava, come in una serra. Mentre si staccava l’ultimo petalo dall’Orafiore di Momo, comincio’ di colpo una specie di tormenta. Nuvole di Orafiori le turbinavano intorno e accanto. Era come una calda tempesta primaverile, ma una tempesta di puro tempo libero.
La tempesta di fiori aumento’ d’intensita’, divenne tanto impetuosa che sollevo’ la bimba, come un fiore tra i fiori, e la porto fuori, fuori dei corridoi tenebrosi, in alto, sulla terra, sulla grande citta’. Volava sopra i tetti e campanili dentro una nuvola di fiori. Era una danza gioiosa in armonia con una musica stupenda, dentro cui lei si librava e volteggiava come una rondine. Poi la nuvola di fiori calo’ lenta e morbida, e i fiori si posarono come soffici fiocchi di neve sul mondo immoto. E, come fiocchi di neve, fondevano lievemente, ridiventavano invisibili per tornare la’ dove dovevano stare: nel cuore degli uomini.
Il Tempo in quel momento ricomincio’ e tutto si sveglio’ e si rimise in moto. Le automobili correvano, i vigili fischiavano, i colombi volavano e il piccolo cane lascio’ il suo rivoletto ai piedi del lampione. Gli uomini non s’erano neppure accorti che il mondo fosse rimasto fermo per un’ora -in realta’- non era trascorso tempo tra la fine e il nuovo inizio. Per loro era passato come un battito di ciglia.
Eppure, qualcosa di cambiato c’era: d’improvviso la gente aveva tempo in abbondanza. Era naturale che ognuno ne fosse felicissimo, ma nessuno sapeva che -in verita’- era il suo proprio tempo risparmiato che miracolosamente gli era stato restituito.

Ognuno poteva dedicare a qualunque cosa tutto il tempo che occorreva o desiderasse. Da quel momento in poi si tornava a disporne in abbondanza. L’umanita’ non ha mai saputo chi ringraziare per quello che accadde in quell’istante breve come un batter di ciglia. Del resto nessuno- o quasi nessuno – ci avrebbe creduto. Soltanto gli amici di Momo l’hanno saputo e creduto."

ci sono ricchezze che distruggono se non le si divide con gli altri-
-piu’ lenta sei piu’ veloce vai-

(da "Momo", ovvero, l’arcana storia dei ladri di tempo e della bambina che restitui’ agli uomini il tempo trafugato-di  Michael Ende)

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trafficanti di sapere

Nel capitalismo il fatto di essere produttivo e’ una determinazione del
lavoro che non ha assolutamente nulla a che vedere, in se’ per se’, col
particolare contenuto, con la particolare utilita’ del lavoro stesso, o
con il particolare valore d’uso in cui questo si rappresenta…E’
produttivo quel lavoratore che produce plusvalore per il capitalista,
ossia che serve all’autovalorizzazione del capitale. Un maestro di
scuola e’ un lavoratore produttivo se non si limita a lavorare le teste
dei bambini, ma se si logora di lavoro per arricchire l’imprenditore
della scuola. Che questi abbia investito il suo denaro in una fabbrica
d’istruzione invece che in una fabbrica di salsicce, non cambia nulla
alla relazione.

Milton, che scrisse il "Paradiso perduto", era per esempio un
lavoratore improduttivo; ma lo scrittore che fornisce lavoro di
fabbrica al suo editore e’ un lavoratore produttivo. Milton creo’ il
suo poema al modo stesso che il baco da seta genera la seta, cioe’ come
estrinsecazione della sua natura; poi vendette per 5 sterline il suo
prodotto e cosi’ divenne trafficante di merci. Ma il
letterato-proletario di Lipsia che produce libri (per esempio, compendi
di economia politica) su comando del proprio editore si avvicina ad
essere un lavoratore produttivo nella misura in cui la sua produzione
e’ sottoposta al capitale e ha luogo al solo fine di valorizzarlo. Una
prima-donna che canta come un uccello e’ una lavoratrice improduttiva;
nella misura in cui vende per denaro il suo canto, si trasforma in
salariata o in trafficante in merci. Ma la stessa cantante che un
impresario ingaggia perche’ lei canti e lui ci guadagni sopra, e’ una
lavoratrice produttiva, perche’ produce direttamente capitale. Continua a leggere

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1914-1918 rifiutate d’obbedire, rifiutate di morire

prima guerra


prima guerr
<<Non vado più avanti perché non ne
posso più, non vado più avanti aspirante del
cazzo>>
(gridato nel giugno 1917 un soldato durante una marcia verso le prime
linee)

Se ti rivasse notizia che sono morto, non dire che sono morto per la
Patria
, ma che sono morto per i signori, cioè per i richi
che sono stati la causa di tanti buoni giovani, la colpa della sua
morte.
(Lettera di un soldato, aprile 1917)

Il
Ministro della Difesa ha annunciato che il 4 novembre, festa
militarista voluta ed istituita dal fascismo, tornera’ ad
essere "una vacanza"… Non un giorno di riflessione sulla carneficina
del 1914-1918
 ma della retorica patriottica, del
militarismo, delle sfilate con
le bandiere sui cadaveri di cui e’ cosparsa la storia d’europa e
d’italia. Il governo ripristinera’ "la festivita’" nella ricorrenza
"della vittoria italiana nella Grande guerra(1) " che diventera’ anche
il "Giorno
dell’Unità Nazionale" e "Giornata delle Forze
Armate":Glorificazione della guerra e del nazionalismo, di quel "patriottismo
dinamico" che diede il meglio di se’ nella fucilazione di
massa di quell’umanita’ che diserto’ la ferocia delle trincee
scavate in
nome di una logica di potenza che non gli apparteneva e nella
quale non si riconosceva.


I padroni oggi detengono anche la proprieta’ privata della storia, il
monopolio del senso e del significato degli eventi e’ impongono la loro
"neolingua" dove il massacro e la carneficina di massa miracolosamente,
passando per l’oblio della memoria sociale, si trasformano in
"vittoria", "sentimento di unita’ nazionale". "L’epica" simbiosi di
politica, economia e guerra, cioe’ di denaro e morte, viene
rispolverata per ri-plasmare ideologicamente, disciplinare moralmente,
gerarchizzare produttivamente le relazioni sociali che in epoca di
crisi economica traballano e si sfaldano. Il profitto vuole una
societa’ civile irregimentata, militarmente ideologizzata pronta allo
"sforzo corale" "nell’assiduo impegno", nel "senso del dovere spinto
fino all’estremo sacrificio", "nell’unita’ nella
specificita’" di "un’identita’ nazionale" da trincea, legittimata nei
riti religiosi…"dal dover di patria
e dall’amor cristiano".

Non e’ una coincidenza che il governo
abbia deciso di dare, nel corso di queste celebrazioni militariste,
valore e importanza all’operazione "caserme aperte" che rimuove
"simbolicamente" le barriere e i confini tra "zone militari" e "aree
civili", tra militari e popolazione civile. L’economia si accorda sulla
metafora della guerra, e’ una macchina da guerra, il profitto
vuole i suoi soldati…e, come disse J. P. Sartre, "Quando i ricchi si
fanno la guerra, sono i poveri a morire." Sempre che i poveri non decidano di disertare…

Non ci sono patrie, non ci sono confini, non ci sono soldi per cui vale
la pena di morire.

"Il
soldato italiano
, che non aveva partecipato alle radiose
giornate di maggio si trovò sbattuto a combattere una guerra
non sua, in condizioni critiche tali da modificare il suo animo. Le
condizioni di una guerra che ebbe molti episodi di autentica
carneficina, spinsero questi uomini a tentare le vie più
disperate per lasciare quell’inferno: la fuga, la diserzione,
l’autolesionismo, il suicidio furono modi, tentativi per
fuggire dall’orribile esperienza della guerra. Uno stato
gendarme, superiori insensibili, spesso pazzi sanguinari costituivano
ulteriore elemento per distruggere la psichiche e l’animo di
quegli uomini."

In Italia,
il 3 novembre 1917, Cadorna scrive al presidente del Consiglio che alla
vigilia di Caporetto
<<più di centomila disertori»
vagavano nella penisola, «infestando le campagne, seminando
ribellione nelle città e dovunque propagando sconforto.
Nell’ultimo anno di guerra il primo ministro Orlando ritiene che il
fenomeno delle diserzioni sia "impressionante".(Piero Melograni, 1969,
Storia politica della grande guerra 1915-1918)."

I
piani italiani di aprire un fronte di guerra contro l’Austria-Ungheria
nelle alpi si risolse in un fallimento "principalmente perche’ molti
soldati italiani non erano motivati a combattere per uno stato che non
consideravano il loro, la cui stessa lingua era parlata da pochi di
loro." 
Dietro la retorica e la mitologia risorgimentalista che ancora oggi
accompagna il ricordo ufficiale della carneficina del 1915-18 si
nascondono esecuzioni sommarie, decimazioni, disparità di
trattamento della giustizia militare nei confronti della truppa e degli
ufficiali…la «tremenda memoria delle esecuzioni
ingiuste»…"Ancor più ferrea la morsa
sull’esercito
dove la disciplina è applicata con una durezza che rasenta
la crudeltà:
in 3 anni e mezzo di guerra le denunce ai tribunali militari
arriveranno a 870.000 e ben 209.000 saranno le condanne di cui 15.000
all’ergastolo e 4.000 alla pena di morte. Il delitto più
grave è
naturalmente l’insubordinazione agli ordini; ma è
sufficiente solo la
traccia di una resistenza per incorrere in sanzioni durissime che si
trasformano in esecuzioni sul posto e nella decimazione, se a
disubbidire è un intero reparto. Sono sistemi barbari,
applicati
nell’esercito francese solo in rarissimi casi e che non esistono in
quello inglese.
Il comando supremo delle forze armate italiane è
però convinto che solo
le minacce, la paura e le punizioni esemplari possono costringere a
combattere una truppa demotivata e riottosa, ostile alla guerra e
insofferente all’autorità degli ufficiali." (Simona Colarizi
, docente di storia contemporanea all’Università "La
Sapienza"-Roma)

I militari in occasione di questa celebrazione del militarismo
insegneranno nelle scuole, in circa 200 licei italiani, la storia della
prima guerra mondiale…:
Come disse Don Milani nella sua autodifesa in un processo che lo vedeva
imputato per istigazione all’obiezione di coscienza e alla diserzione
(lettera ai cappellani militari-"l’obbedienza non e’ piu’ una virtu’ ma
la piu’ subdola delle tentazioni"):
"Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci
avevano bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci
avevano ingannati perché erano a loro volta ingannati. Altri
sapevano di ingannarci, ma avevano
paura. I più erano forse solo superficiali. A sentir loro
tutte
le guerre erano "per la Patria". I nostri maestri si dimenticavano di
farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti
marciano agli ordini della classe dominante (…)
Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi hanno
sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una
classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi
della Patria (…)
Alcuni mi accusano di aver mancato di rispetto ai caduti. Non
è
vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi
parrebbe di offenderli se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si
è messo in salvo. (…) Del resto il rispetto per i morti
non
può farmi dimenticare i miei figlioli vivi. "

Scrive Bruna Bianchi in i "disobbedienti
nella grande guerra
": "Se gli atti di aperta ribellione, la
fuga dal fronte o il rifiuto di rientrare dalle licenze erano forme di
disobbedienza che raramente poterono sfuggire alla giustizia militare,
le intese con il nemico, le tregue informali, i comportamenti volti a
ostacolare la strategia della continua tensione, riuscirono spesso a
sottrarsi al controllo dei superiori. Lo conferma la documentazione
processuale; dalle sentenze che discussero i reati di agevolazione
colposa del nemico e, nel caso degli ufficiali, di mancata sorveglianza
sulle  truppe emerge che intese, contatti, 
scambi  erano prassi consuete, durate a lungo prima di venire
alla luce.

Fin dai primi mesi di guerra, nonostante l’immagine diffusa
dalla propaganda di un nemico barbaro e crudele, non erano rari su
tutti i fronti gesti di avvicinamento tra combattenti delle opposte
trincee. Quando la neve, la pioggia, il fango, i cadaveri insepolti
esaurivano le energie dei soldati e allentavano il ritmo
dell’aggressione quotidiana, la vicinanza e la curiosità
favorivano i dialoghi e gli scambi di saluti. Che aspetto aveva il
nemico? Qual era il suo stato d’animo? Quali sentimenti nutriva verso
la guerra? Come affrontava le miserie e i disagi della vita di trincea?
A poco a poco, in maniera imprecisa, si faceva strada la consapevolezza
di condividere con gli uomini della opposta trincea la stessa
condizione di isolamento ed estraniazione, affiorava un vago sentimento
di solidarietà, un desiderio di conoscere come i nemici
vivevano le stesse esperienze estreme.Bastavano fuggevoli contatti per
scoprire di aver avuto a lungo una immagine astratta dei nemici; essi
apparivano ugualmente affamati, laceri e affranti, nutrivano lo stesso
desiderio di pace e di riposo, provavano lo stesso senso di
pietà per i feriti. Nelle lettere, nelle memorie gli episodi
di fraternizzazione sono sempre descritti con grande
intensità emotiva. 

"In una ricognizione
di pattuglia eseguita la notte della Vigilia di Natale potetti
acciuffare una dozzina di austriaci che placidamente dormivano in una
grotta […]. Ebbene detti soldati non erano uomini, ma scheletri, non
mangiavano da due giorni per mancanza di pane. Intanto i miei soldati
con sollecitudine offrirono loro delle pagnotte e alla vista di quel
ben di Dio per loro, allegri presero la via delle nostre linee. Non
dimenticherò mai in vita mia quei baci ricevuti dai nostri
nemici."

In alcune memorie di guerra, accanto alla sensazione di condividere con
gli uomini delle opposte trincee le stesse condizioni di vita e lo
stesso destino, affiora talvolta una percezione più
profonda: se fosse stato possibile prolungare quei momenti, soffermarsi
sui sentimenti di condivisione, l’aggressione non sarebbe
stata più possibile.

Tregue e fraternizzazioni generalmente prendevano il via da circostanze
eccezionali, ebbero vita breve e vennero immediatamente
soffocate.  Il desiderio di pace e di sottrarsi
all’aggressione quotidiana si espresse nel corso del
conflitto in forme sempre meno esplicite e aperte; in seguito ai
provvedimenti repressivi i soldati impararono a comunicare
indirettamente o in modo meno visibile. Si concordarono sistemi per
segnalare imminenti aggressioni da parte della propria artiglieria: i
soldati inviavano messaggi innalzando cartelli, gli ufficiali
avvertivano le truppe che giungevano a dare il cambio dell’esistenza di
taciti accordi di non aggressione.

Un esempio è offerto dal
procedimento giudiziario nei confronti di un capitano, denunciato dal
suo comandante per non aver ordinato di far fuoco su alcuni austriaci
intenti a lavori di rafforzamento delle proprie difese. Si imputava
inoltre al capitano di aver tranquillamente attraversato un posto di
vedetta austriaco e di non essersi curato di controllare lo stato di
efficienza dei reticolati, tanto che due soldati nel marzo 1917 avevano
disertato passando al nemico. Il capitano in istruttoria
dichiarò di essere convinto che nel suo settore vigesse
«per mutuo accordo la consuetudine di non
sparare». 

Inoltre affermò che sia il capitano del
225° fanteria, al quale dette il cambio, sia i capitani
[…] del 144° lo avevano informato che in quel
settore regnava da gran tempo la massima calma, fino al punto che lo
sparo di un sol colpo di fucile sarebbe stato considerato come un
allarme."

"Per noi il rifiuto della guerra e della sua preparazione militare,
industriale, psicologica, e’ una componente fondamentale del lavoro per
la trasformazione generale della societa’. Percio’ lavoriamo in queste
due direzioni:
1. spingere a costituire dappertutto forme di controllo dal basso:
2. orientare e alimentare questo controllo con idee e iniziative
contrarie al capitalismo, al colonialismo, all’imperialismo."
(A.Capitini-il potere di tutti)

1) Il 14 aprile del
1912  l’orchestra continuò a suonare fino alla fine
mentre
il Titanic affondava. I più poveri erano stati rinchiusi
nelle stive: le poche scialuppe di salvataggio spettavano ai ricchi.
Con il Titanic naufragava un secolo intero, l’800 con la sua
fede
positivista in un
indefinito progresso scientifico e tecnologico. Due anni piu’ tardi le
nazioni si scannarono fra
di loro e scienza e tecnologia furono usate per rendere piu’ efficenti
i massacri di massa.

La prima guerra mondiale segno’ "il crollo della civilta’ occidentale
dell’ottocento. Questa civilta’ era capitalista nell’economia, liberale
nella struttura istituzionale, borghese nell’immagine
caratteristica della classe che deteneva l’egemonia sociale.
Era
una civilta’ che si gloriava dei progressi della scienza , del sapere e
che credeva nel progresso morale e materiale; era anche profondamente
persuasa della centralita’ dell’europa, luogo d’origine delle
rivoluzioni nelle scienze, nelle arti, nella politica e nell’economia;
la sua economia si era diffusa in tutto il mondo cosi’ come i suoi
soldati avevano conquistato e assoggettato la maggior parte dei
continenti.(…) Senza il crollo della societa’
borghese ottocentesca nell’Eta’ della catastrofe, non ci
sarebbero
stati ne’ la Rivoluzione d’Ottobre ne’ l’Unione Sovietica. Senza la
crisi della societa’ borghese, il sistema economico improvvisato col
nome di sistema socialista sulle rovine della struttura rurale
eurasiatica dell’ex impero zarista non avrebbe considerato se stesso,
ne’ sarebbe stato considerato dagli altri, come una realistica
alternativa mondiale all’economia capitalistica." (Eric. J. Hobsbawm-il
secolo breve)

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i bambini in piazza non crescono educati

Hanno deciso l’annientamento. Confondere le teste e’ solo il sussurro che anticipa il pagamento in contanti del delitto di Stato.
Per ora si limitano a calpestare i nostri occhi, a violentare il nostro udito mentre i poveri minchioni della "sinistra" nella pienezza della loro vacuita’ si decorano di accomodamenti dove i cattivi sono sempre puniti e i buoni sempre premiati. Per ora la stupidita’, domani il cinismo implacabile di un omicidio borghese. Bande paramilitari nelle strade.
Nessun guastafeste chiama all’odio di classe contro classe e tutti nuotiamo nella marmellata americana. Cassandra con la sua violenta purezza appare troppo semplicistica, sorpassata..:-chiacchieri e chiacchieri ed e’  tutto quel che sai fare…Penelope tesse le sue tele in chat e Ulisse non e’ mai partito da itaca, ha uno spazio su myspace. Questa carogna di paese puzza di fascismo, militarismo e la gente si vergogna di volere la luna e sopravvive in asfissia. Nella decomposizione dello spettacolo, alla fine, hanno accettato ogni cosa, tutto il compendio di una vita falsa. Forse e’ tempo di farsi dei nemici, cacare sulla bandiera italiana, diventare comunisti, banditi alla morte che qui e’ la prefazione sistematica di ogni desiderio.

Assoldano i sorrisi, pagano il silenzio, finanziano la confusione, sponsorizzano l’amarezza, foraggiano la morte in vita.
Videocrazia, telepolitici, applausi…Odeon Tv da lunedì prossimo alle 22:30 "Venerabile Italia"…applausi:
Voce narrante, Licio Gelli,  per la ricostruzione inedita della memoria dell’ultimo secolo del paese «dalla Guerra di Spagna agli anni ’80, dall’epoca fascista al crac del Banco Ambrosiano. Maestri venerabili e maestro unico per ripristinare un po’ d’ordine, per inquadrare l’alunno (inquadrare e’ il modo piu’ semplice di eliminare), impedire l’ombellico di fuori….Vogliono il buio, evocano le ombre. Il movimento delle folle, il sangue sparso. Spirali.
La manifestazioni studentesche non dovrebbero esserci, il venerabile non ha dubbi: bisogna usare la polizia per proteggere chi studia (cosa, pr chi, per quale motivo?):
"Nelle piazze non si studia: se viene garantita la liberta’ di scioperare, dovrebbe essere tutelato anche chi vuole studiare, e molti in piazza non ne hanno voglia" e "dovrebbe essere proibito portare i bambini in piazza perche’ cosi’ non crescono educati".

Adesso la P2 ha un programma tutto suo su Odeon tv. Il capo della loggia massonica P2 racconterà la sua versione sulla strage di Bologna, per cui è stato condannato per depistaggio, sulla repubblica di Salò a cui aderi: per la prima puntata Giulio Andreotti, Marcello Veneziani e Marcello Dell’Utri. Si parlerà di fascismo. Che strano!

Dopo i tentativi di depistaggio delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna e Bancarotta fraudolenta (per il fallimento del Banco Ambrosiano ), dopo la strategia della tensione e le bombe nelle piazze il gran maestro ha dato la sua investitura ufficiale per l’attuazione del Piano di Rinascita democratica della P2: «L’unico che può andare avanti è Berlusconi: non perché era iscritto alla P2, ma perché ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora mostra un po’ di debolezza perché non si avvale della maggioranza parlamentare che ha»:
«Se uno ha la maggioranza deve usarla, senza interessarsi della minoranza. Non mi interessa la minoranza, che non deve scendere in piazza, non deve fare assenteismo, e non ci devono essere offese. Ci sono provvedimenti che non vengono presi perché sono impopolari, e invece andrebbero presi: bisogna affondare il bisturi o non si può guarire il malato».

<<I partiti veri non esistono più, non c’è più destra o sinistra. A sinistra ci sono quindici frange e la destra non esiste.
«Le stragi sono frutto di una guerra tra bande, ci sono state e ci saranno sempre perché non c’è ordine: infatti sono arrivate dopo gli anni ’60. Se domani tornassero le Br – ha aggiunto l’ex Venerabile, concludendo – ci sarebbero ancora più stragi: il terreno è molto fertile perché le Br potrebbero trovare molti fiancheggiatori a causa della povertà che c’è nel Paese».

Il gran maestro della P2 vede influenze del suo Piano nella politica attuale: “Tutti si sono abbeverati, tutti ne hanno preso spunto. Mi dovrebbero pagare i diritti ma non fu possibile depositarli alla Siae…”. Marcello dell’Utri e’ una brava persona…
 “Se c’è un potere forte, costituzionale, è la magistratura perché quando sbaglia non è previsto il risarcimento del danno. La magistratura non funziona: il pubblico ministero dovrebbe arrivare da un concorso diverso rispetto al giudice, e dovrebbero odiarsi. In Italia poteri forti ora non ce ne sono e non ce ne sono mai stati”

Non ci sono treni per il cielo.

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il mercato dei sogni

Immagini, idee, suoni, parole, informazioni, emozioni, invenzioni, visioni del mondo, simboli, miti…, questa e’ la materia prima invisibile dello spettacolo. Le forme di produzione dello spettacolo arrivano a incorporare tutta la vita soggettiva e sociale fin dentro l’immaginazione e la sensibilita’ e, tra non molto, le grandi multinazionali rivendicheranno il diritto di proprieta’ intellettuale o emotiva sui sogni e sui sentimenti.
Quando la tecnologia arrivera’ a permettere la cattura di queste sostanze impercettibili e realizzera’ la possibilita’ di farle circolare in modo indipendente dalle persone che le hanno provate e prodotte, certi sentimenti, come ad es. l’amore o l’odio ecc., bisognera’ farsene una ragione, tocchera’ acquistarli come una qualsiasi altra merce.
Molte persone verranno ingaggiate, con infimi salari, magari con contratti di lavoro precari, nelle periferie delle metropoli per sognare  a comando, con le dovute stimolazioni elettriche, per produrre fantasie, provare emozioni, lasciarsi andare all’ira o alla malinconia mentre strabilianti tecnologie provvederanno ad immagazzinare, confezionare, etichettare, classificare tutta questa materia invisibile e poi a distribuirla nei supermercati, nei centri commerciali, nei negozi specializzati. I piu’ sfigati, quelli in fondo alla piramide dei sogni, saranno costretti a svendere in blocco tutto il loro inconscio, qualcun altro affittera’, nei fine settimana, il suo entusiasmo per quelli che vanno allo stadio.
I poeti, genere di umani in via di sparizione ed alquanto improduttivi, saranno obbligati a comprarsi le parole per fare le rime. I meno abbienti se le procureranno a meta’ prezzo tra i banchi dei mercatini delle parole usate e delle frasi sfatte.
Fiorira’ l’antiquariato delle passioni e degli impulsi di un tempo. Gli ecologisti si batteranno per la salvaguardia del tatto aristocratico dell’inizio secolo ormai in via di estinzione. Negli zoo i bambini coi genitori andranno la domenica ad ammirare stupiti, strani e terrificanti sentimenti che si aggirano agitandosi e sbattendo contro le inferriate delle gabbie: -guarda la’, dice il padre, quello si chiama furore, quella rabbia, quella e’ la collera, e li’ vedi c’e’ l’ agitazione, e la’ quella e’ la pazzia…- E i matti, anche loro saranno obbligati ad acquistarsi la mancanza di senno.
La gente accendera’ mutui ventennali a tasso variabile per portarsi a casa qualche rara ed esotica sensazione. Gli psicoanalisti venderannoi i complessi al minuto tirandoli fuori da enormi barattoli di vetro tenuti sui lettini di pelle ai loro clienti che aspirano a diventare dei pazienti.
Al mercato nero ci si potra’ fornire di tormenti, eccitazioni e slanci illegali. Smanie, bramosie e cupidige invece le passeranno le usl.
Il nichilismo lo spacceranno solo nelle discoteche. Il senso di futilita’ ed inautenticita’ sara’ mutuabile e scaricabile dalla dichiarazione dei redditi per tutti i pensionati e tutte le casalinghe. Ogni tanto i megastralaboratori di qualche fantamultinazionale dello spettacolo sforneranno qualche ibrido emotivo o schizoaffetto, chesso’ cose tipo un cocktail di calma ed agitazione, pace e ira…
I soliti trafficoni fai da te’ produrranno i loro abituali sentimenti proibiti da smerciare nei rave. Il governo dara’ il via a enormi campagne per dissuadere i giovani dall’usare o fumare certe sensazioni o sentimenti perche’ provocano dipendenza e rovinano la salute.
Nelle scuole sara’ previsto dalla legge l’assunzione di dosi di senso della disciplina e tra i militari di quello dell’obbedienza.
I cinesi, manco a dirlo, invaderanno il mercato dei sogni con le loro allucinazioni sottocosto, ma si sa’ loro i lavoratori che sognano, soffrono, fantasticano li hanno sempre pagati quasi niente. Nei teatri, compreso nel prezzo del biglietto, verra’ distribuito un kit d’emozioni appositamente lambiccato per lo spettacolo. Tutto il mondo sara’ in bianco e nero per i poveri che non si potranno permettere tutta la gamma dei colori, qualcuno si arrangera’ con scale colorimetriche un po’ scadenti, altri si arrabatteranno a rimettere insieme un po’ di risoluzione come capita. Il copyright interessera’ anche i suoni o almeno certi suoni, speciali frequenze, e, a chi non le possiedera’ perche’ non in grado di permettersele potra’ accadere di avere un cane che non viene mai quando lo chiami.
Per le tragedie sara’ il governo a fornire lo strazio ai familiari delle vittime. In alcuni casi lo stato sara’ autorizzato a requisire certe passioni, a proibirne alcune e a elargine altre. Accordi internazionali sanciranno la liberalizzazione o la deregolamentazione ora di quell’affetto e ora di quell’altro. Seguiranno accordi bilaterali e guerre commerciali su alcune idee o su alcune immagini.
Alla borsa di nuova deli le passioni saliranno e scenderanno sui listini. I furbi speculeranno sul rialzo dell’odio e sul ribasso dei prezzi dell’amore. I piu’ accorti investiranno nell’avidita’ che e’ solida come il mattone. In asia si aggiudicheranno il monopolio della tranquillita’ prima dell’ennesima bolla speculativa sull’ansia.

Il futuro e’ gia’ cominciato.

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gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!

"il cyberspazio incarna la piu’ alta liberta’ di parola. Qualcuno
potra’ sentirsene offeso, altri potranno apprezzarlo, ma il contenuto
di una pagina Web e’ difficile da censurare. Una volta lanciato in rete
entra a disposizione di centinaia di milioni di persone. Un diritto di
espressione cosi’ illimitato, con dei costi di pubblicazione cosi’
bassi, fa del Web una grandissima manifestazione di democrazia. Tutte
le voci hanno pari opportunita’ di ascolto, o almeno cosi’ predicano
tanto i costituzionalisti  quanto le riviste di affari. Se il Web
fosse una rete casuale, potremmo anche essere d’accordo con loro. Ma
non lo e’.

Quando si considera il Web, la domanda fondamentale non e’ piu’ se le
nostre opinioni possano venire pubblicate: certo che possono e, una
volta on line, diventano accessibili a chiunque, in qualunque parte del
mondo, con una semplice connessione Internet. Di fronte alla giungla di
documenti che si aggiungono minuto per minuto, la domanda cruciale e’
piuttosto la seguente: se lancio un’informazione in rete, qualcuno la
notera?
Per essere letti bisogna essere visibili: una banale verita’ che vale
tanto per gli scrittori quanto per gli scienziati. Sul Web la misura
della visibilita’ e’ il numero di link. Piu’ link puntano alla vostra
pagina Web, piu’ siete visibili.
Se ogni documento in rete avesse un link alla vostra pagina Web in un
attimo tutti saprebbero cio’ che avete da dire. Ma una pagina in media
non ha piu’ di cinque-sette link che puntano ognuno a una delle
migliaia e migliaia di pagine esistenti la’ fuori. Di conseguenza la
probabilita’ che un documento crei un link proprio alla vostra pagina
Web sono prossime allo zero.

Tutti abbiamo interessi, gusti e valori diversi. I link che creiamo
sulla nostra pagina Web riflettono tali differenze. Stabiliamo
connessioni con pagine di ogni tipo, dai siti sull’arte tribale
africana ai portali di commercio elettronico. Considerando che possiamo
scegliere tra oltre un miliardo di nodi, ci si aspetterebbe che la
configurazione finale dei link sia abbastanza casuale, il che
significherebbe il trionfo del modello Erdos Rènyi. Un Web
casuale sarebbe il massimo veicolo di uguaglianza, perche’ la teoria
dei due studiosi garantisce un elevato grado di somiglianza fra i nodi,
tutti dotati all’incirca dello stesso numero di link dall’esterno. Le
nostre misurazioni, pero’, smentirono queste attese (…)

Cosi’ come nella societa’ umana pochi individui, i connettori,
conoscono un numero infinitamente ampio di persone, l’architettura del
World Wide Web e’ dominata da pochi nodi altamente connessi, o hub.
Questi hub, come per esempio Yahoo! o Amazon.com, sono estremamente
visibili: ovunque ci si sposti, si trova sempre un link puntato verso
di loro. Nella rete del Web tutti i nodi poco conosciuti e dotati di un
numero esiguo di link sono tenuti insieme da questi siti altamente
connessi.

Gli hub sono la piu’ netta smentita alla visione di cyberspazio
ugualitario. Certo, tutti abbiamo diritto di mettere in rete cio’ che
vogliamo. Ma qualcuno lo notera’? Se il Web fosse una rete casuale,
tutti avremmo la stessa opportunita’ di essere visti e sentiti.
Collettivamente creiamo in qualche modo degli hub: sono i siti a cui
tutti si collegano. Al loro confronto il resto del Web e’ praticamente
invisibile.(…)

Un universo casuale non ammette i connettori. Se la societa’ umana
fosse una rete casuale, nel modesto campione di persone esaminate da
Gladwell- con la sua media di circa 39 contatti sociali- anche
l’individuo piu’ connesso non raggiungerebbe i 118 contatti. E se il
Web fosse una rete casuale, le probabilita’ che esista una pagina con
500 link dall’esterno sarebbe praticamente zero, a indicare che
una rete casuale non contempla gli hub.(…)

Ci sono persone che sanno trasformare ogni incontro casuale in un
rapporto sociale duraturo e aziende che riescono a trasformare ogni
cliente in un patner fedele. Certe pagine Web rendono il navigatore
schiavo della rete. Che cosa hanno in comune questi nodi della societa’,
degli affari e del Web? Ognuno ha un talento innato, che lo pone
davanti a tutti gli altri. Benche’ sia impossibile trovare la chiave
universale del successo, possiamo studiare il processo che separa i
vinti dai vincitori: la competizione nei sistemi complessi. In un
ambiente competitivo ogni nodo ha una certa fitness. La fitness e’ la
nostra attitudine a stringere piu’ amicizie rispetto ai nostri vicini;
e’ l’abilita’ di un’azienda di attirare e mantenere piu’ clienti
rispetto ad altre aziende; e’ la capacita’ di una pagina Web di farci
tornare quotidianamente sul suo contenuto anziche’ su quello degli
altri miliardi di pagine che si contendono la nostra attenzione. La
fitness misura l’abilita’ competitiva di ogni nodo.(…) In una rete
possiamo assegnare un fitness ad ogni nodo per indicare la sua
capacita’ di competere per i link. Sul Web, per esempio, la fitness
della mia pagina e’ 0,00001, mentre quella di Google e’ 0,2.
" (Link, 2004-A.L. Baràbasi)

L’attenzione giustamente rivolta alle modificazioni che accompagnano
l’attuale fase tecnologica ed economica e’ in  tutta una serie di
posizioni e di ricerche distorta in una rappresentazione di esse in
forma <<pura>>, idealizzata, spogliata dalle concrete
connessioni con gli elementi generali e determinanti, di potere,
dell’organizzazione capitalistica.
Lo "spirito del Capitalismo" evidentemente ha invaso il cyberspazio ma
aspetti caratteristici nuovi assunti dalla sua
organizzazione vengono scambiati come stadi di sviluppo di una
<<oggettiva razionalita’>>. Tutto sembra essere visto, come
scriveva R. Panzieri riguardo all’organizzazione funzionale della
produzione, nella sua forma tecnologicamente <<sublimata>>.
Ci si rappresenta tutto il processo di
creazione della "nuova economia della conoscenza" come dominato dalla
<<fatalita’ tecnologica>>, come un salto oltre la
gerarchizzazione propria delle fasi precedenti di macchinizzazione, che
conduce alla liberazione dell’uomo dalla limitazioni impostegli
dall’ambiente e dalle possibilita’ fisiche.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie viene isolato dal concreto contesto
sociale in cui si produce (l’assunzione dell’intera societa’ da parte
del capitale come momento del suo processo di valorizzazione) e
percio’ considerato come il supporto di nuove categorie di lavoratori
che naturalmente porterebbero, come diretto riflesso della loro
professionalita’, la soluzione delle contraddizioni tra caratteri ed
esigenze delle forze produttive e rapporti di produzione.
Il contrasto tra forze produttive e rapporti di produzione appare qui come "non corrispondenza tecnica"…

Si disconosce che le nuove <<basi tecniche>> via via
raggiunte dal capitale nella produzione di plusvalore costituiscono
nuove possibilita’ di consolidamento del suo potere. Cio’ non significa
che non si accrescano nel contempo le possibilita’ di rovesciamento del
sistema ma che queste possibilita’ coincidono con "il valore totalmente
eversivo che, di fronte all’ <<ossatura oggettiva>> sempre
piu’ indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere
<<l’insubordinazione operaia>>."

La riduzione della societa’ ad un semplice momento, articolazione, del
processo di valorizzazione del capitale e’ posto anche dal lato delle
condizioni tecniche. L’estensione della legge del plusvalore ad ogni
area della societa’ civile e’ una reazione del capitale, anche
strutturale-oggettiva e tecnica, alle conseguenze distruttive del suo
funzionamento, agli "squilibri" che socialmente minacciano di
trasformarsi in antagonismo, in contraddizioni irrecuperabili.
Nelle "macchine", nel "processo complessivo delle macchine" il lavoro
oggettivato si contrappone al lavoro vivo, come quel potere che lo
domina e in cui il capitale stesso consiste. L’applicazione tecnologica
della scienza serve l’accrescimento del potere del capitale sul lavoro
vivo.

Il fine ultimo del capitalismo e’ la riproduzione delle condizioni
della sua sopravvivenza. "Infine, il primo risultato del processo di
produzione e di valorizzazione e la riproduzione e la nuova produzione
del rapporto tra capitale e lavoro stesso. Questo rapporto sociale, si
presenta in effetti come un risultato del processo ben piu’ importante
del suo risultato materiale".  Il limite del capitale non e’ il
capitale stesso ma l’insubordinazione del lavoro vivo, la sua capacita’
di distruggere il sistema del lavoro salariato, di sottomettere la
produzione ai bisogni sociali e alla volonta’ collettiva dei produttori.
" Senza salariato, dacche’ gli individui si fronteggiano come persone
libere, niente produzione di plusvalore; senza produzione di
plusvalore, niente produzione di capitale e niente capitalisti".

Se
quel rapporto sociale di sfruttamento diventa etereo e infinitamente
mediato non vuol dire che e’ scomparso ma solo che si e’
modificato. Vabbene che le differenze che sono essenziali non vanno
perse per cogliere gli aspetti generali di una questione ma neppure le
differenze vanno assolutizzate confondendo la metamorfosi delle forme
dello sfuttamento con la loro sparizione. Come non ci sono "crolli" o
apocalissi del sistema da attendere neppure c’e’ da attendersi che la
tecnologia del padrone liberi lo schiavo per una sua presunta
evoluzione fatale. Di oggettivo c’e’ solo la resistenza, l’invenzione,
e la lotta dei soggetti che decidono di  non adattarsi allo stato
di cose presenti.
Non e’ una missione ne’ politica, ne’ aziendale…e’ un etica, un modo
di intendere e vivere la propria vita. Non e’ una "fede" e’ una
celebrazione dei fini nei mezzi lungo la via.

Sviluppare "Condivisione sociale" su piattaforme proprietarie, per
quanto immateriali, apre inevitabilmente una dialettica strutturale,
spesso conflittuale, fra una cooperazione di utenti in atto e una
proprieta’ che si organizza per spremerne  contenuti, rubare
processi e ricavare profitti. Ma perche’ allora le piattaforme
proprietarie funzionano? semplice, sono fatte di mezzi e capacita’ che
favoriscono (tralasciamo i puntini sulle i) la condivisione dei
processi di comunicazione, interazione ed espressione individuale, esse
hanno le risorse per fare questo e ovviamente, che ve lo dico a fare,
si aspettano dal tutto un certo profitto o come si dice adesso una
certa redittivita’. La maggioranza degli utenti di per se’ non possiede
ne’ le risorse ne’ le competenze tecniche per creare le proprie
"piattaforme" e farle andare. Ma non e’ solo questo il problema.
Gestire collettivamente "un’infrastruttura" non e’ un impresa facile.
Occorre coordinamento, impegno ecc… in soldoni occorre avere un’altra
cultura, un altro modo di mettersi in relazione con gli altri, un altro
tipo di immaginazione per generare strumenti di democrazia diretta su
scala non micrologica. Difficile pensare che arrivi un mago Merlino
qualsiasi della rete e risolva la questione con qualcuna delle sue
magiche pozioni. Peggio! la cosa diventa alquanto complessa e difficile
se si tiene conto della logica da competizione per il guadagno di
denaro, successo, status ecc che si prolunga nelle persone anche quando
non sono in gioco ne’ denaro, ne’ status, ne’ successo…I
 proprietari delle piattaforme monettizzano la ricchezza sociale
creata dalle comunita’ degli utenti ma, altri convertono nei loro
fantasmi sociali e personali quella stessa ricchezza e non sono meno
sanguisuga dei lor signor padroni…Non mi sembra ci sia grande
differenza tra chi e’ orientato all’accumulazione di denaro e chi
all’accumulazione di prestigio personale o di  micropoteri
immaginari. Forse la moneta non e’ la stessa ma il codice che ripetono
si, ed e’ quello del bacio di Giuda, succede da tempo immemorabile.
Per questo ci vuole un’etica, un’altra cultura e un’altra testa invece
della solita di cazzo che ci ritroviamo. Tutto il resto e’ bla’ bla’
bla’…A meno che, qualcuno tecnicamente estremamente piu’ dotato di
noi plebevirtuale non pensi di proporci un bel giro di business
sostenibile e di egotismo ecologico. Come si dice …mai dire mai.

Si dice che le "reti distribuite" favoriscono la diffusione e la
condivisione di quella risorsa centrale del capitalismo cognitivo,
dell’economia-rete-informazione, che e’ la conoscenza. Minkia che
figata! Sembra che lo spargimento in masse enormi dei mezzi di
distribuzuione di conoscenza e informazione d’incanto possa
trasformarci tutti in geni del trattamento dei flussi d’informazione e
dei metodi di produzione delle merci intellettuali, pardon! volevo dire
del valore d’uso del sapere; sembra che basti un canale o un cavo per
ficcarsi dentro il Web e poi e’ tutto come diceva il vecchio buon Marx
(ma lo diceva davvero?): la mattina vai a pesca e la sera risolvi un
po’ di equazioni di fisica quantistica, nel pomeriggio chatti un po’
con gli amici…, tra una connessione e l’altra dipingi come
Cezanne…Probabilmente, io non ci arrivo…puo’ darsi che sono lo
scemo del villaggio globale…quindi un caso particolare, di quelli che
non fanno testo. Oh! non sara’ che peer to peer (si scrive cosi?) e
proprieta’ privata e classe sono i pilastri del  "capitalismo
sognitivo"?

Macchina tempo, auto-immagine, classe sociale, alienato,
precario, studente, disoccupato, e l’organizzazione e la
produzione della vita e’ sempre, ancoran in mano al capitale e io,
lo scemo del villaggio mi devo ancora sentire parlare di inquietudini
profonde complesse-tanti amplessi per un un complesso e tanti complessi
per un amplesso dell’informazione al servizio dell’economia da gente
che si sente come Cristoforo Colombo quando sbarco nelle indie senza
aver capito di trovarsi in un altro posto, proprio dall’altra parte del
mondo. Drogatevi invece di aspettare che le mele di newton vi sballino
cascandovi in testa per quella famosa legge di cui ancora oggi .., se
ne discute al tg4…Drogatevi! costa meno…
fa figo! impegna ma almeno la smettete di rompere i coglioni con
le vostre facce saccenti da eterni bastonati, virtuali s’intende.

Per tutti c’e’ D.I.O. il dispositivo informatico onniscente. Marx, la
vecchia talpa senza orologio, l’aveva gia’ raccontato un secolo fa’ il
capitalismo, quello che noi chiamiamo nuovo, sarebbe stato
caratterizzato in misura crescente dall’applicazione
della scienza e della tecnologia e delle informazioni nella
configurazione e gestione del processo di produzione: amen!
Come si fa’ adeso? Apppunto, non che cosa ma, come si fa’? Vogliamo
mettere capo ad un analisi simbolica ogni volta che ci parliamo o ci
mandiamo affanculo!? Problema strategico delle nuove intellettualita’
per non dire dei logodipendenti, gente che per un tiro di gloria si
venderebbe anche la madre. I soldati dell’informazione, della
masturbazione flessibile, adattabile, innovativa, diversificata,
decentrata, multiqualificata, verticalmente disintegrata e
orizzontalmente integrata. Mah! facciamo un circolo di qualita’?

Lo spazio e’ infestato da immagini, flussi d’informazione e annunci…,
sovrabbondanza di segnali, eccesso di rumore. La distrazione da se e’
seducente ma non piu’ di un mondo deprogrammato, deideato,
deorganizzato. LsdTv, un’aprospettica sensbilita’ media-farmaco indotta.
Caleidoscopico eco rituale elettronico. Parole macchina, mistica
equivalente dello spettacolo degli orrori di una mente tecnologicamente
intrigata in un fallimento zen multimediale. Leggi di potenza. Un video
caldo ventre di un computer portatile fabbrica d’inconscio, infezione
fascista digitale. Stanno inghiottendo i vostri sensi e rubando i
vostri occhi, stanno bloccando l’autonomia del vostro sistema nervoso.
Galleggiando, curvando, deviando il visibile nell’invisibile, il corpo
pesante in un corpo tenue, sottile, inconsistente. Assorbendo.
Rinchiudendoci in qualce luogo della nostra mente. Riconfezionandoci
formato on-line. Automercificazione affascinante, affabulante attraente.
Manca la gravita’, i volti, i corpi pesanti c’e’ solo la reversibilita’
del tutto, la cancellazione e il trirarsi fuori ad ogni momento. I
consumatori finali sono i consumatori che mangiano se stessi. E’ la
logica del tutto illogica del capitalismo. Nonsense razionalmente
organizzato.
Violenta inazione, personaggi psicotici, il lato più oscuro
della sessualità, realtà confusa e instabile, inquietante
spazio matematico.
Militari marionette e un clima ideale per la crescita aziendale. Il
futuro va istigato come una banda di scagnozzi. Non sei nessuno, sei
nulla, sei un sogno, il prodotto di una mente delusa, una vacanza in
fondo al mare della memoria. Chi puo’ resistere alla poesia?
Bisogna costringere i cittadini a pagare per l’aria che respirano.
Oppressi mutanti lavoratori. Il sublime e’ isterico schizoide: bisogna
salvare la bellezza e uccidere i cattivi. General Electric, Viacom,
News Corporation, Time Warner, Disney, Murdoch’s Corporation…fate un
po’ voi.

<<Cio’ che abbiamo perso suonando, ecco che cio’ che cercavamo!
Di tutto questo non restano che figure e luci, ombre e naschere.
L’insuccesso
della meraviglia. Il titolo del pezzo e’ quello anonimo di molta
pittura del secolo scorso, perche’ qui l’alchimia ha compiuto il suo
corso. Abbiamo avvertito che un’inezia lo distinguera’ per sempre.
Questa sensazione o questa illusione-come preferite- rivendica la sua
normalita’ perche’ QUI noi siamo normali fino all’eccesso. Fino alla
volutta’ d’immaginare una celebrita’ senza pubblico.
Interno con figure e luci, questo e’ il rovescio della medaglia. Sul diritto, in esterno, brilla lo spettacolo con le sue star.

Ice on dance!
prendi la terza via a destra
poi la prima a sinistra
Arriva  in piazza giri al caffe che sai, che sai
prendi la prima a sinistra
poi la terza strada a destra
Butta la tua statua giu’
e resta giu’
resta giu’

So che se fossi pazzo e dopo internato
approfitterei di un momento di lucidita’
Lasciate il mio delirio
mio unico martirio
che faccia fuori meglio un dottore, si un dottore
Credo ci gudagnerei
come gli agitati
in cella finalmente, lasciato in pace
tutto tace.

Area-1978>> 

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