no tav

Bisogna resistere, resistere e ancora resistere

no tav resistere

quarto stile

Purtroppo le preoccupazioni esposte da questa Istituzione di controllo hanno trovato rispondenza nei risultati effettivamente conseguiti al termine delle operazioni precedentemente richiamate. Dopo appena quattro anni, infatti, la società Infrastrutture è stata incorporata in Cassa Depositi e Prestiti: in tale operazione è stato incluso anche il patrimonio separato TAV, costituito per le finalità ricordate nella presente relazione.

Tale patrimonio consisteva in titoli e prestiti interbancari peraltro già utilizzati da TAV e RFI ed in particolare dei crediti e proventi della Società derivanti da ciascun prestito erogato ai debitori nell’ambito della convenzione-quadro, “Credit Facility Agreement”, inerente al complesso dei prestiti successivamente stipulati da ISPA a partire dall’esercizio 2009.

La documentazione afferente alla procedura di liquidazione e la pertinente nota istruttoria[24] hanno evidenziato che l’intero peso economico della operazione è stato accollato allo Stato, il quale si è assunto l’onere del rimborso dei titoli emessi, liberando la subentrata Cassa Deposti e Prestiti dai rapporti contrattuali che avrebbe ereditato senza l’intervento “a piè di lista” dell’Erario.

Le banche finanziatrici hanno sottoscritto con il Ministero dell’economia e delle finanze un accordo consistente nell’assunzione da parte dello Stato di tutti i rapporti ereditati dalla disciolta società.

Dalla documentazione acquisita in istruttoria è emerso che la Società non si era limitata ad emettere prestiti obbligazionari, ma aveva anche adottato operazioni di copertura attraverso la sottoscrizione di swap[25]. Questi derivati  – come è noto – presuppongono una gestione continua, al fine di adottare le opzioni più favorevoli consentite durante il lungo arco della loro durata.

Gli istituti coinvolti nelle operazioni finanziarie in questione sono BEI, JP Morgan Chase, Banca Opi S.p.A, diverse banche tramite Agenzia di Societè Generale, Morgan Stanley, Lehman Brothers, UBS limited e Depfa Bank.

Corte dei conti, Relazione accollo debiti FS, RFI, TAV e ISPA, 15.12.’08
-Risultanze del controllo sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da FF.SS., RFI, TAV e ISPA per infrastrutture ferroviarie e per la realizzazione del sistema “Alta velocità”-

Magistrati istruttori:
Aldo Carosi
Fabio Viola:

Sintesi

La relazione della Corte riguarda le risultanze del controllo esercitato sulla gestione dei debiti contratti dalla holding Ferrovie dello Stato e successivamente accollati allo Stato.

In parte detti debiti riguardano investimenti relativi alla rete tradizionale risalenti agli anni novanta, in parte afferiscono alla operazione Alta Velocità e sono conseguenti all’abbandono precoce del project finance, promosso dalla ormai disciolta Società Infrastrutture, nata nel 2002.

L’analisi della Corte ha messo in evidenza come, nel primo caso, sia stata posta in essere una sorta di cosmesi contabile al bilancio FF.SS., accollando all’Erario una consistente tranche del debito della holding, al fine di migliorarne indirettamente il conto economico.

Nel secondo caso, molto più complesso, è venuta in evidenza la carente istruttoria, che condusse ad adottare uno strumento di finanza innovativa come la istituzione di un patrimonio separato ISPA per finanziare le infrastrutture dell’Alta Velocità.

La Corte ha posto l’accento sulle carenze metodologiche del processo decisionale che ha condotto all’adozione della complessa operazione: nessuno studio di fattibilità attendibile aveva quantificato la vantaggiosità di tale operazione rispetto al sistema creditizio tradizionale per realizzare gli investimenti.

Il patrimonio separato si è rivelato sostanzialmente inconsistente in quanto basato su ricavi futuri stimati approssimativamente e, per di più, gravanti direttamente o indirettamente su risorse pubbliche (sfruttamento delle tratte da parte di gestori, in prevalenza pubblici, di trasporti ferroviari, integrazioni a piè di lista caricate direttamente dalla legge sull’Erario).

Elemento preoccupante accertato dalla Corte è il mancato collegamento delle gestioni patrimoniali delle società pubbliche con quelle dello Stato: in particolare gli effetti sugli ammortamenti dei beni e sul patrimonio interessato alle traslazioni del debito non sono specificati od evidenziati in nessun documento a corredo del bilancio statale. Questo mancato collegamento impedisce chiarezza e trasparenza sugli effetti delle gestioni manageriali delle holding pubbliche, caratterizzate da ricorrenti deficit e da operazioni “pulizia” ciclicamente sopportate dall’Erario.

Elementi di forte rischio emergono dai rapporti negoziali attivi e soprattutto passivi ereditati dallo Stato: complesse clausole finanziarie penalizzano spesso la parte pubblica, la quale,  anche a causa della insufficienza di un’azione conoscitiva di supporto, tende ad eseguire pedissequamente gli articolati contrattuali, senza valutare l’opportunità di azionare opzioni in essi contenute.

Manca un’azione costante di verifica sull’operato dei manager pubblici, dai quali si ereditano gli effetti delle decisioni, con il risultato che gravi errori da questi commessi non vengono valutati sotto il profilo di una ipotetica responsabilità sociale.

L’analisi critica della Corte si sofferma sul mancato rapporto tra l’entità e la durata degli investimenti e quelle dei beni acquisiti attraverso il pertinente indebitamento. A parte il fatto che nei bilanci privatistici delle Società interessate a tali operazioni mancano sovente strumenti certi per verificare il rispetto dei vincoli di destinazione dei prestiti (in molti casi vi è il fondato sospetto che gli stessi servano ad alimentare la copertura di costi correnti), non di rado la lunghezza di questi collide con i tempi di obsolescenza dei beni acquisiti.

Quel che è più grave, queste operazioni pregiudicano l’equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al 2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali. Sotto questo profilo la vicenda in esame è considerata dalla Corte paradigmatica delle patologiche tendenze – della finanza pubblica – a scaricare sulle generazioni future oneri relativi ad investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico, in contrasto con i canoni comunitari.

Dopo avere affermato il dovere di vigilanza e controllo degli uffici dell’Amministrazione statale sui debiti ereditati, la Corte raccomanda una maggiore trasparenza sulla illustrazione e gestione dei debiti accollati, sottolineando come tali operazioni, di regola eccezionali, stiano diventando ipotesi periodicamente ricorrenti per alleviare i deficit in costante espansione delle società gerenti i servizi pubblici.

La Corte sottolinea, altresì, l’esigenza di un raccordo trasparente tra le scritture patrimoniali dello Stato e delle Società partecipate, al fine di evitare la dispersione improduttiva di consistenti risorse pubbliche. (…)

2. I presupposti normativi per l’assunzione a carico del bilancio statale degli oneri derivanti dai prestiti – Loro individuazione e allocazione in bilancio

Il primo provvedimento legittimante l’assunzione a carico dello Stato degli oneri oggetto della presente indagine è la legge 23-12-1996 n. 662, art. 2,  comma 12, la quale statuisce che: “I mutui e i prestiti della Ferrovie dello Stato S.p.A., in essere alla data della trasformazione in società per azioni, nonché quelli contratti e da contrarre, anche successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base ed entro i limiti autorizzati da vigenti disposizioni di legge che ne pongono l’onere di ammortamento a totale carico dello Stato, sono da intendersi a tutti gli effetti debito dello Stato. Con decreto del Ministro del tesoro sono stabilite le modalità per l’ammortamento del debito e per l’accensione dei mutui da contrarre”.

Con decreto attuativo del Ministero del Tesoro n. 146206 del 21.03.1997 sono stati posti a totale carico dello Stato mutui e prestiti già contratti dalla società Ferrovie dello Stato, al 31.12.1996, per un importo complessivo di euro 31.193.478.511 costituito per 23.211.909.729,88 euro (lire 44.944.524.452.675) da prestiti già contratti, per euro 7.981.568.780,75 (lire 15.454.472.183.117) da quelli successivi autorizzati da leggi allora vigenti[1]. (…)

Il secondo provvedimento è costituito dalla legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) la quale all’art. 1, commi 966 e seguenti, ha previsto che “gli oneri per capitale ed interessi dei titoli emessi e dei mutui contratti da Infrastrutture Spa fino alla data del 31 dicembre 2005 per il finanziamento degli investimenti per la realizzazione della infrastruttura ferroviaria ad alta velocità “Linea Torino-Milano-Napoli”, nonché gli oneri delle relative operazioni di copertura, sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato. Fatti salvi i diritti dei creditori del patrimonio separato costituito da Infrastrutture Spa sono abrogati il comma 1, ultimo periodo, il comma 2, ultimo periodo, e il comma 4 dell’articolo 75 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. La Cassa depositi e prestiti Spa, in quanto succeduta ad Infrastrutture Spa ai sensi dell’articolo 1, comma 79, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, promuove le iniziative necessarie per la liquidazione del patrimonio separato costituito da Infrastrutture Spa. A seguito della predetta liquidazione cessa la destinazione dei crediti e proventi di cui al comma 4 dell’articolo 75 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e sono estinti i debiti di Ferrovie dello Stato Spa e di società del Gruppo relativi al citato patrimonio separato sia nei confronti del patrimonio separato stesso sia nei confronti dello Stato. L’assunzione degli oneri a carico del bilancio dello Stato di cui al comma 966 nonché l’estinzione dei debiti di Ferrovie dello Stato Spa e di società del gruppo di cui al comma 967 si considerano fiscalmente irrilevanti. I criteri e le modalità di assunzione da parte dello Stato degli oneri di cui al comma 966, di liquidazione del patrimonio separato di cui al comma 967, nonché i criteri di attuazione del comma 964, sono determinati con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze. Ai fini del rimborso degli interessi e della restituzione delle quote capitale dei mutui accesi in applicazione del decreto-legge 7 dicembre 1993, n. 505, convertito, dalla legge 29 gennaio 1994, n. 78, per il triennio 2007-2009, e’ posto a carico dello Stato, per l’importo annuo di 27 milioni di euro, l’onere per il servizio del debito già contratto nei confronti di Infrastrutture Spa, per il periodo dal 1° agosto 2006 al 31 dicembre 2007 in relazione alla realizzazione del ‘Sistema alta velocità/alta capacità”.

Il comma 1364 della medesima legge stabilisce che i commi 966, 967, 968 e 969 entrano in vigore dalla data di pubblicazione (27.12.2006).

La seconda vicenda è il culmine di un lungo processo iniziato con la costituzione, nell’anno 1991, della società TAV[10].

Detta Società è responsabile dei rapporti con le istituzioni centrali e locali coinvolte nel progetto Alta Velocità,  con gli enti titolari/gestori dei servizi di rete interferiti dalle linee AV/AC e con gli organismi di rappresentanza del territorio (per specifiche soluzioni relative a insediamenti produttivi, aree agricole, industriali, ecc.).

La soluzione TAV, che fu al centro di ampi dibattiti politici e dottrinali all’inizio degli anni novanta, presupponeva investimenti nell’Alta Velocità, da realizzare attraverso una efficace linea di credito che doveva essere, almeno parzialmente, compensata dai ricavi prodotti dalle infrastrutture così potenziate.

All’inizio degli anni duemila, al fine di rimuovere la situazione di stallo prodottasi precedentemente per questo grande progetto infrastrutturale, il Legislatore ha ritenuto di promuovere strumenti innovativi di intervento nel settore del credito, attraverso il coinvolgimento di Infrastrutture s.p.a di cui si riferisce in prosieguo.

La crisi di questo progetto, i cui snodi principali sono riassunti nel successivo paragrafo, e la gravità degli oneri economici conseguenti a tale operazione hanno indotto il Legislatore, attraverso la legge 296/06, articolo 1, commi 966 e seguenti, ad accollare al Ministero dell’economia e delle finanze gli oneri derivanti  dai prestiti stipulati dalla società Infrastrutture. (…)

Nel 2006 è stato istituito nel bilancio dello Stato – Ministero dell’economia e delle finanze – il capitolo 2222[12], ove sono allocate le risorse per il pagamento degli interessi inerenti ai prestiti ereditati dalla gestione TAV-ISPA. (…)

3. La genesi e le modalità del debito accollato allo Stato e la partnership FFSS – TAV – Cassa Depositi e Prestiti – ISPA – La stipula di contratti derivati e il loro esito negativo

Gli elementi sinteticamente espressi nel paragrafo precedente meritano una analisi approfondita in ordine alla genesi del debito accollato allo Stato ed al complesso intreccio dei rapporti tra FF.SS – TAV – Cassa Depositi e Prestiti – ISPA.

Con l’articolo 8, comma 1, del decreto legge n. 63/02 convertito in legge n. 112/02, è stata istituita la società Infrastrutture, la quale viene anche indicata nel corso della relazione con l’acronimo ISPA. Detta società, di proprietà Cassa Depositi e Prestiti, nasceva con lo scopo di finanziare le infrastrutture e le grandi opere pubbliche ”purchè suscettibili di utilizzazione economica”, di concedere finanziamenti, sotto qualsiasi forma, finalizzati ad investimenti per lo sviluppo economico. La società poteva destinare i propri beni e i diritti relativi a una o più operazioni di finanziamento finalizzate al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli e dei concedenti i finanziamenti. I beni e i diritti così destinati potevano costituire patrimonio separato da quello della società e da quelli relativi alle altre operazioni.

La società poteva raccogliere la provvista necessaria mediante l’emissione di titoli e l’assunzione di finanziamenti. La garanzia per i titoli e i finanziamenti poteva essere disposta con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ciò è avvenuto proprio con riguardo al sistema di Alta velocità secondo le modalità successivamente descritte.

Con successiva legge n. 289/02 (legge finanziaria 2003), art. 75, comma 1, veniva disposto che “Infrastrutture Spa finanzia prioritariamente, anche attraverso la costituzione di uno o piu’ patrimoni separati, gli investimenti per la realizzazione della infrastruttura ferroviaria per il “Sistema alta velocità/alta capacità”, anche al fine di ridurre la quota a carico dello Stato. Le risorse necessarie per i finanziamenti sono reperite sul mercato bancario e su quello dei capitali secondo criteri di trasparenza ed economicità. Al fine di preservare l’equilibrio economico e finanziario di Infrastrutture Spa è a carico dello Stato l’integrazione dell’onere per il servizio della parte del debito nei confronti di Infrastrutture Spa che non è adeguatamente remunerabile utilizzando i soli flussi di cassa previsionali per il periodo di sfruttamento economico del “Sistema alta velocità/alta capacità”.

Corollario di dette disposizioni è l’articolo 4, comma 135, della legge n. 350/03 (finanziaria 2004), il quale collegava l’attività di ISPA alle opere della legge n. 443/2001 (cosiddetta Legge Obiettivo) tra le quali rilevante posizione assume il progetto Alta Velocità.

In data 23.12.2003[14] il Consiglio di amminIstrazione di ISPA deliberava la costituzione del patrimonio separato mediante destinazione di beni e diritti di sfruttamento della infrastruttura, in correlazione ad un finanziamento da concedere alle società RFI e TAV, fino all’importo massimo di euro 25.000.000.000 per la costruzione della linea Torino-Milano-Napoli AV/AC.

A tale riguardo, in data 31.07.2003, era stato conferito a MCC spa Morgan Stanley & Co. International limited e UBS limited l’incarico di elaborare un progetto di ristrutturazione del programma di finanziamento. In ordine a tale progetto la documentazione trasmessa da Cassa Depositi e Prestiti con nota prot. 1601/08 del 21.10.2008 non chiarisce le modalità di calcolo e l’importo complessivo degli onorari e delle commissioni dovute agli Istituti incaricati.

Nel progetto finanziario dell’iniziativa la separazione del patrimonio veniva concepita come finalizzata al rimborso dei finanziamenti; a sua volta la sua implementazione veniva ipotizzata attraverso la cessione, da parte dei beneficiari del mutuo RFI e TAV:

a)  di crediti e proventi (flussi di cassa previsionali) derivanti dall’utilizzo del sistema AV/AC, che “sostanzialmente si identificano (al netto di alcune detrazioni) con le somme percepite dagli operatori di trasporto per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria”[15];

b)  degli importi corrisposti dallo Stato a titolo di integrazione, ai sensi dell’art. 75 della legge finanziaria 2003 e del successivo decreto interministeriale di attuazione, nel caso in cui le risorse di cui al punto a) non fossero state sufficienti.

In base al suddetto decreto interministeriale il gestore dell’infrastruttura ferroviaria RFI avrebbe dovuto determinare i flussi di cassa a partire dal 2009, per intervalli temporali corrispondenti ai contratti di programma, in correlazione con la durata del finanziamento.

Relativamente ai prestiti stipulati da ISPA era prevista la conclusione, a valere sul patrimonio separato, di contratti di hedging[16] finalizzati a coprire i rischi di tassi di interesse e/o di cambio tra valute. (…)

Il progetto ISPA  è stato bruscamente interrotto dalla legge n. 266/05 (finanziaria 2006) la quale all’articolo 1, comma 79, prescriveva che Infrastrutture S.p.a. è “fusa per incorporazione con effetto dal 1° gennaio 2006 nella Cassa depositi e prestiti S.p.a., la quale assume tutti i beni, diritti e rapporti giuridici attivi e passivi di Infrastrutture S.p.a., incluso il patrimonio separato, proseguendo in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi anche processuali”. Con decreto 27.12.2006 il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha dato attuazione alla norma, autorizzando la Cassa Depositi e Prestiti a “promuovere le iniziative necessarie per ottenere l’adesione, da parte dei creditori del patrimonio separato, all’accollo da parte dello Stato delle obbligazioni derivanti dai titoli descritti negli allegati 1, 1A e 1B, parte integrante del presente decreto, dai mutui  descritti  negli  allegati 2 e 2A, anch’essi parte integrante del presente decreto, con liberazione del  patrimonio separato costituito da Infrastrutture S.p.a. La «CDP S.p.a.» promuove altresì analoghe iniziative per la cessione a favore dello Stato dei contratti di copertura indicati nell’allegato 3, anch’esso parte integrante del presente decreto, con liberazione del  patrimonio separato costituito da Infrastrutture S.p.a. Gli oneri derivanti dai rapporti di cui agli allegati citati nel precedente comma sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato con efficacia dalla data del presente decreto, e sono imputati sui rispettivi capitoli dello stato di previsione della spesa del bilancio dello Stato, per gli interessi e per il rimborso prestiti. Gli eventuali pagamenti ricevuti dalle controparti per effetto  delle  operazioni di copertura indicate nell’allegato 3 sono versati agli appositi capitoli dello stato di previsione dell’entrata del bilancio dello Stato. Alla liquidazione del patrimonio separato si procede secondo le modalità previste dall’art. 2447-novies del codice civile[17]. Ottenute le liberazioni del patrimonio separato dalle obbligazioni di cui agli allegati menzionati al precedente art. 1, sono estinti i rapporti giuridici anche di garanzia derivanti dal richiamato in premessa e cessa pertanto la destinazione dei crediti e proventi di cui al comma 4 dell’art. 75 della legge n. 289 del 2002”.

A seguito di tali disposizioni le obbligazioni derivanti dai contratti di cui sopra sono state accollate, ai sensi del comma 969 della legge finanziaria 2007, precedentemente evocato, al bilancio dello Stato, con conseguente liberazione del patrimonio separato di Infrastrutture s.p.a.[18].(…)

4. Analisi della vicenda ISPA – Il mancato raggiungimento degli obiettivi attesi dalla complessa operazione economico-finanziaria – La crisi della ipotesi di autofinanziamento

I risultati amministrativi all’esame di questa Corte non possono prescindere da un sintetico ma significativo inquadramento della vicenda ISPA, la società pubblica istituita sulla base del decreto legge 63/02 e rapidamente tramontata nel 2006.

La società era nata, pur nella sinteticità degli enunciati normativi che la riguardano[20], per promuovere la realizzazione di opere di pubblica utilità, anche attraverso la finanza di progetto, in modo tale da alleggerire il peso sulle finanze pubbliche ed efficientarne la gestione patrimoniale.

In quest’ottica l’art. 8 del decreto legge prevedeva la possibilità di creare patrimoni  separati per il finanziamento di particolari infrastrutture[21].

Il Presidente pro tempore della Corte, nell’apposita audizione parlamentare del 7.5.2002, esprimeva alcune perplessità in ordine alle modalità e alla coerenza interna dell’articolato normativo riguardante ISPA.
In particolare, egli osservava che :

a) la creazione della Società Infrastrutture (e quella della gemella Società Patrimonio) era priva di una precisa relazione tecnica in ordine ai tempi, alle modalità, al contenuto e all’impatto sui conti pubblici delle competenze ad essa assegnate;

b) in particolare non erano specificati gli effetti favorevoli attesi, rispetto ai vincoli di finanza pubblica, all’indebitamento pubblico, al conto consolidato delle pubbliche amministrazioni;

c) la straordinaria dimensione quantitativa dei flussi generati dall’operazione avrebbe potuto sottrarre al controllo parlamentare una serie di decisioni idonee ad incidere pesantemente sulle prospettive future della finanza pubblica;

d) diversi aspetti contabili di rilevante complessità non erano messi a fuoco dalla richiamata normativa e, in particolare, quelli inerenti ad una chiara illustrazione del collegamento patrimoniale tra la gestione TAV – ISPA ed il bilancio dello Stato, e più in generale con la contabilità economica nazionale;

e) i dati in possesso della Corte non consentivano di esprimere un giudizio circa la esistenza della copertura finanziaria della garanzia statale sui titoli emessi dalla Società Infrastrutture ai sensi dell’art. 8, comma 2, del citato decreto legge;

f) per i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile le misure adottate non sembravano sufficienti ad assicurare la tutela del sotteso interesse pubblico, soprattutto in considerazione della possibilità che gli stessi confluissero in patrimoni separati, collegati a singole operazioni di finanziamento.

Il Presidente della Corte raccomandava profonda cautela negli interventi di finanza straordinaria evocati da un così radicale affidamento esterno della gestione del patrimonio immobiliare e mobiliare dello Stato. Intervento la cui dimensione poteva essere stimata alla luce delle carenti informazioni contenute nella legge solo in astratto, non essendone determinata in concreto la consistenza economico finanziaria. Ciò, anche in considerazione dei rischi del mercato globale, cui un simile audace inserimento poteva andare incontro.

Purtroppo le preoccupazioni esposte da questa Istituzione di controllo hanno trovato rispondenza nei risultati effettivamente conseguiti al termine delle operazioni precedentemente richiamate. Dopo appena quattro anni, infatti, la società Infrastrutture è stata incorporata in Cassa Depositi e Prestiti: in tale operazione è stato incluso anche il patrimonio separato TAV, costituito per le finalità ricordate nella presente relazione.

Tale patrimonio consisteva in titoli e prestiti interbancari peraltro già utilizzati da TAV e RFI ed in particolare dei crediti e proventi della Società derivanti da ciascun prestito erogato ai debitori nell’ambito della convenzione-quadro, “Credit Facility Agreement”, inerente al complesso dei prestiti successivamente stipulati da ISPA a partire dall’esercizio 2009.

La documentazione afferente alla procedura di liquidazione e la pertinente nota istruttoria[24] hanno evidenziato che l’intero peso economico della operazione è stato accollato allo Stato, il quale si è assunto l’onere del rimborso dei titoli emessi, liberando la subentrata Cassa Deposti e Prestiti dai rapporti contrattuali che avrebbe ereditato senza l’intervento “a piè di lista” dell’Erario.

Le banche finanziatrici hanno sottoscritto con il Ministero dell’economia e delle finanze un accordo consistente nell’assunzione da parte dello Stato di tutti i rapporti ereditati dalla disciolta società.

Dalla documentazione acquisita in istruttoria è emerso che la Società non si era limitata ad emettere prestiti obbligazionari, ma aveva anche adottato operazioni di copertura attraverso la sottoscrizione di swap[25]. Questi derivati  – come è noto – presuppongono una gestione continua, al fine di adottare le opzioni più favorevoli consentite durante il lungo arco della loro durata.

Gli istituti coinvolti nelle operazioni finanziarie in questione sono BEI, JP Morgan Chase, Banca Opi S.p.A, diverse banche tramite Agenzia di Societè Generale, Morgan Stanley, Lehman Brothers, UBS limited e Depfa Bank. L’entità delle singole operazioni è illustrata nell’allegato A.1 alla presente relazione.

Alle operazioni compiute in sede societaria non ha fatto riscontro alcuna correlata informativa circa l’impatto sul bilancio dello Stato di tale estrapolazione della gestione del patrimonio separato. Di qui la necessità e complessità della presente istruttoria circa il numero, la dimensione, la natura giuridica e le tendenze evolutive delle operazioni richiamate nei successivi paragrafi e nei pertinenti allegati. Quel che appare difficilmente controvertibile, nel caso di specie, è che ai rilevanti oneri caricati sul bilancio dello Stato non fa riscontro alcun provento derivante dalle evocate operazioni.

Nessun commento è riservato al confronto tra gli effetti favorevoli, in termini di vincoli di finanza pubblica e di indebitamento, e risultati conseguiti; confronto che non sarebbe quasi certamente positivo, e forse nemmeno possibile, in considerazione del fatto che la Società Infrastrutture si è dedicata soprattutto ad operazioni di approvvigionamento finanziario, non correlate da riscontri circa la convenienza delle stesse e l’effettivo espletamento di un confronto concorrenziale tra i potenziali partner. Di queste apodittiche operazioni lo Stato sembra essersi limitato a recepire acriticamente gli effetti economico giuridici.

A livello parlamentare non risulta che gli esiti non soddisfacenti di questa operazione siano stati oggetto di approfondita discussione ed analisi critica.

Nella seduta del Senato del 21.01.2003 il presidente dell’ISPA aveva fatto presente che il meccanismo delineato permetteva di escludere una ricaduta sul debito pubblico; in caso contrario il patrimonio di Infrastrutture S.p.A. si sarebbe dissolto nel giro di pochi anni.

L’evidenza dei fatti dimostra che proprio questo si è verificato; più correttamente potrebbe dirsi che il patrimonio separato non si sia mai costituito dal momento che i ricavi della TAV erano ipotizzati a partire dal 2009[26], mentre le risorse di riequilibrio dell’iniziativa erano fin da allora accollate dalla legge finanziaria allo Stato. In realtà – al di là delle rassicurazioni fornite nella richiamata seduta parlamentare – fin dall’inizio appariva aleatorio un recupero in termini di autofinanziamento del capitale investito. Nessun riscontro concreto è stato dato in ordine alla dichiarazione del Presidente di ISPA, avvenuta nel corso della citata audizione, secondo cui “sulla base di modelli matematici più che affidabili, si è appurato che un allungamento della durata massima della concessione TAV dal 2041 al 2061 permetterebbe di ripagare totalmente il debito”.

L’equilibrio finanziario non è stato al centro delle decisioni assunte da ISPA e neppure delle direttive linee guida in proposito emanate dal Ministero dell’economia e delle finanze, dal momento che in alcun documento acquisito nel corso della presente istruttoria emerge un attendibile riparto tra le quote assunte a carico dello Stato e quelle a carico del settore privato. A quest’ultimo è stato riservato un mero ruolo di approvvigionamento finanziario, attraverso sistemi tradizionali e innovativi, senza che allo stesso sia stato caricato alcun rischio imprenditoriale, presupposto inscindibile di qualsiasi vera tecnica di project finance.

nei termini di raffronto tra obiettivi normativi e risultati raggiunti, non può non rilevarsi il mancato raggiungimento dello scopo enunciato all’articolo 75, comma 1, della legge 289/2002 di realizzare, attraverso la complessa operazione, la riduzione dei conseguenti oneri a carico dello Stato, che al contrario, ha dovuto affrontare al termine dell’esercizio 2006 la sopravvenienza passiva di 12.950.000.000 euro, confermandosi, in tal modo, le preoccupazioni esposte dal Presidente della Corte nella citata audizione del 2002.

La norma prevedeva anche l’adozione di criteri di trasparenza e di economicità, il cui rispetto non sembra essere avvenuto, dal momento che i fatti oggetto della presente istruttoria sono stati ricostruiti per la maggior parte attraverso la lettura di documenti non pubblicati e comunque non leggibili da un operatore di media diligenza senza una adeguata guida cronologica e teleologica degli eventi. Analoghe considerazioni riguardano il rispetto del preteso criterio di economicità, dal momento che fin dagli atti preparatori, ed anche successivamente, non è stata data prova di studi economici di fattibilità, ricognitivi delle alternative gestionali possibili e dimostrative della vantaggiosità della soluzione prescelta, rispetto a quelle tradizionali o ad altre pratiche di project finance meno anomale di quella adottata. Dalla documentazione istruttoria acquisita da Cassa Depositi e Prestiti, in quanto ente subentrante alla disciolta ISPA, risultano soltanto ipotesi formali e non strettamente quantificate con frequenti rinvii alle condizioni bancarie esistenti al momento dell’avvio della procedura di finanziamento. In particolare non esistono quantificazioni estimative circa i flussi di cassa ipotizzati e la quantificazione degli oneri integrativi gravanti sullo Stato, ai sensi dell’art. 75, comma 1, della legge 289/2002, nonché la individuazione degli operatori di trasporto che avrebbero utilizzato l’infrastruttura ferroviaria con i prevedibili proventi a ciascuno degli stessi riferiti.  Dalla copiosa documentazione inviata in data 21.10.2008 prot. 1601/08 da Cassa Depositi e Prestiti si rileva che un solo documento (peraltro non datato e sottoscritto) del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, intitolato “Piano di priorità degli investimenti sull’infrastruttura ferroviaria – Aggiornamento 2004 – Sistema AV/AC – Nota di sintesi e di valutazione dei dossier elaborati da RFI spa” formula dubbi e perplessità circa l’attendibilità degli equilibri economici inerenti al progetto “Patrimonio separato”. Nelle considerazioni conclusive si legge infatti che “l’effettivo verificarsi dei risultati esposti nelle soluzioni proposte da RFI dipende strettamente … dal verificarsi del traffico previsto sui nuovi assi ferroviari AV/AC e delle conseguenti previsioni di ricavi da pedaggi per lo stesso traffico; dal rispetto dei tempi di conclusione e dei costi di realizzazione delle opere … Va inoltre considerato il diverso grado di attendibilità delle previsioni dei costi di costruzione e di esercizio contenute nei dossier di cui trattasi, rispetto alle stime di traffico e di ricavi derivanti dall’esercizio delle nuove linee AV/AC. Le prime … possono essere considerate abbastanza prossime ai valori finali. Le seconde, invece, relative ai volumi di traffico ed ai ricavi derivanti dallo sfruttamento delle nuove linee, si proiettano in tempi di lunga durata (un cinquantennio circa) nel corso dei quali molte variabili esterne alle volontà ed ai comportamenti del gestore dell’infrastruttura, delle imprese ferroviarie e degli stessi pubblici poteri sovranazionali, nazionali e regionali, possono influenzare positivamente o negativamente, e in misura più o meno ampia, il conseguimento dei risultati ipotizzati nei dossier. … Infine si fa presente che la realizzazione delle linee AV/AC e l’adozione di nuovi modelli di esercizio della rete determineranno la liberazione di tracce sulla rete tradizionale. L’utilizzo di detta capacità, quindi, costituirà una opportunità per il trasporto pubblico locale, ma anche una possibile criticità per quanto riguarda le occorrenze finanziarie dei soggetti committenti (in primo luogo le regioni).”

In questo contesto non sembrano appropriate le conclusioni e le motivazioni elaborate da ISPA nella relazione istruttoria alla iniziativa secondo cui “L’operazione proposta consente ad ISPA di dare idonea attuazione all’art. 75 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. La struttura dell’operazione consente la minimizzazione del rischio di credito a carico di ISPA, assimilabile al rischio di credito dello Stato, e il trasferimento ai Debitori (e in ultima istanza allo Stato) dei conseguenti benefici in termini di costo della provvista, secondo criteri di economicità e trasparenza. La Struttura dell’operazione ha inoltre ricevuto la provvisoria approvazione di Eurostat[27] ai fini della esclusione dell’indebitamento di RFI/TAV e del patrimonio segregato di ISPA dal debito della Pubblica Amministrazione.”

Le esposte incognite lasciate aperte al momento di avviare il costoso e complesso progetto appaiono propedeutiche a qualsiasi iniziativa di tal genere, non potendosi ragionevolmente ipotizzare il successo di un simile iter procedimentale, senza una ricognizione e una simulazione degli effetti delle numerose variabili incidenti sui risultati del progetto stesso.

Corollario probatorio della interpretazione dei fatti formulata in questa sede è il richiamo legislativo alle norme regolatrici la liquidazione del patrimonio separato (articolo 2447 novies del codice civile espressamente enunciato nel decreto del MEF 27.12.2006), le quali includono detta fattispecie nella ipotesi di impossibilità “dell’affare cui è stato destinato il patrimonio”.

In proposito va sottolineato come una indiretta tutela degli interessi erariali si sia concretata attraverso la opportuna rinuncia da parte di ISPA a portare a termine il programma di finanziamento, realizzato solo per il 50%, dal momento che la previsione iniziale del 23 dicembre 2003 contemplava un limite all’accesso creditizio pari a 25 miliardi di euro.

Quanto alla preoccupazione espressa dalla Corte dei conti nella audizione del 7 maggio 2002, è da rilevare che effetti pregiudizievoli in ordine alla tutela dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile dello Stato non si sono verificati, non tanto per accorgimenti tecnico-giuridici del modello di finanziamento adottato, quanto per il fatto che il “patrimonio separato” non è consistito in beni economici di valore certo, ma ha riguardato solamente ipotetiche e non esattamente specificate risorse future.

Rispetto ai profili contabili dei rapporti TAV, ISPA, Cassa Depositi e prestiti e Ministero dell’economia e delle finanze non è stato possibile reperire valutazioni e notizie soddisfacenti, anche con riguardo ai principi contabili rispettivamente adottati nelle diverse gestioni del bilancio. Certamente nel bilancio della holding FF.SS. i benefici conseguenti all’accollo testimoniano e concretano un andamento gestionale positivo, che potrebbe essere fuorviante sotto il profilo della valutazione del management societario, dal momento che lo stesso è meccanicamente indotto dalla correlata operazione di scarico degli oneri sull’Erario.

5. Analisi della gestione finanziaria dei rimborsi e carenza delle informazioni a supporto

Un primo profilo dell’analisi riguarda la capacità di programmazione ed in particolare quella di stimare in modo attendibile e preciso gli stanziamenti di bilancio.

Nella fattispecie in esame, soprattutto per il rimborso delle quote di capitale, la stima dovrebbe essere caratterizzata da precisione assoluta, essendo riferita a clausole contrattuali esattamente specificate. Anche quando i contratti prevedono opzioni di slittamento nella restituzione del capitale, questa ipotesi dovrebbe essere già considerata in sede di programmazione, a meno di non essere gestita in sede di variazioni di bilancio, laddove particolarissime situazioni contabili o del mercato finanziario non suggerissero cambiamenti di linea rispetto al programma annuale. Nessuna di queste ipotesi sembra essersi realizzata: tuttavia dai prospetti B1 e B2 si evince una discrasia tra gli stanziamenti di competenza e i pagamenti relativi agli interessi e al capitale rimborsato nel periodo 2004-2007.(…)

In particolare sorprendono gli scostamenti inerenti al pagamento del capitale. Essi ammontano complessivamente, per l’intero quadriennio, ad euro 31.187.417, sommatoria dei valori 11.921.912, 18.738.896, 151.033 e 375.576, riferiti agli anni 2004, 2005, 2006 e 2007.

Considerato che l’Amministrazione non sembra aver assunto decisioni circa la gestione di detto debito, la discrasia può essere imputabile solo ad imprecisioni nel calcolo degli oneri, non potendosi giustificare le discrepanze con meri arrotondamenti. Le differenze tra prescrizioni contrattuali e stanziamenti di bilancio provocano indirettamente la immobilizzazione di risorse utili al fabbisogno statale complessivo o, addirittura, nel caso di sottostima, creano potenziali debiti fuori bilancio. Nella fattispecie in esame le patologie riscontrate sembrano appartenere soltanto alla prima categoria.

Anche nella stima degli interessi si sono verificate nel quadriennio 2004-2007 ampi scostamenti rispetto a quanto effettivamente maturato. Essi ammontano complessivamente, per l’intero quadriennio, ad euro 74.820.616, sommatoria dei valori 28.435.420, 20.363.747, 14.094.161 e 11.927.288, riferiti agli anni 2004, 2005, 2006 e 2007. Pur considerando che la maggior parte dei prestiti presenta un tasso variabile, le dimensioni degli scostamenti lasciano trasparire stime alquanto approssimative. Sul punto si rinvia al paragrafo 9 della presente relazione.

Per i prestiti assunti a seguito dell’operazione TAV-ISPA risultano ad oggi pagate quote di rimborso del capitale per 2 miliardi di euro (cfr. Allegato B.4), mentre la situazione dei pagamenti per interessi è analiticamente illustrata nel prospetto B.3.

Detto prospetto evidenzia fenomeni di scostamento tra la stima in sede previsionale e il debito effettivamente onorato dall’Amministrazione. Essi ammontano complessivamente per il biennio 2006-2007 ad euro 3.703.736 sommatoria dei valori 183.262 e 3.520.474 riferiti rispettivamente al 2006 e al 2007.

Per questa situazione valgono analoghe considerazioni a quelle formulate per la gestione finanziaria dei prestiti indicati agli allegati B.1 e B.2.

La seconda analisi riguarda i profili patrimoniali delle gestioni in esame e la loro illustrazione contabile: a tal fine gli allegati A.1 e A.2 evidenziano i prestiti contratti da FF.SS. e da altre società della holding non ancora estinti  al 31.12.2007. (…)

Come si può osservare, alcuni prestiti rimontavano agli anni ’50 e non erano ancora estinti, in alcuni casi per la durata originaria del prestito, in altri per la rinegoziazione dello stesso.

Mette conto sottolineare come ad alcuni di questi prestiti (cfr. allegato A.3.3), quelli contratti in divisa estera, si siano sovrapposti fin dagli anni ’90 i contratti derivati swap, che in alcuni casi servivano ad allungare la durata del debito (cfr. Morgan Stanley), in altri probabilmente a garantirne la stabilità dei tassi. (…)

In particolare[29] sono stati chiesti chiarimenti in ordine:

a) all’esistenza di studi di fattibilità circa le alternative consentite dalla vigente legislazione e dai mercati finanziari per realizzare gli investimenti oggetto della presente relazione;

b) alla correlazione tra termini, durata, entità dei finanziamenti e valore dei beni, oggetto dell’investimento, loro ciclo produttivo, nonché modalità di ammortamento;

c)  alla specificazione nell’arco temporale di vita dei contratti di finanziamento, dei carichi gravanti sugli utenti e sui contribuenti in rapporto ai benefici contemporaneamente conseguiti.

Il Ministero dell’economia e delle finanze e la Cassa Depositi e Prestiti (per la parte di propria competenza nella veste di soggetto incorporante ISPA) non sono stati in grado di rispondere ai quesiti istruttori illustrati: la posizione dei funzionari preposti ai competenti uffici appare piuttosto impegnata a garantire la copertura finanziaria e la puntualità dei pagamenti che ad investigare sulle cause e gli effetti di questo meccanismo, che tende a trasformare lo Stato in semplice mallevadore di obbligazioni e comportamenti autocraticamente adottati dalle proprie società.

Ciò riduce i principi manageriali del controllo e della gestione ad acritica esecuzione di decisioni assunte in altra sede. Questa prassi non si può giustificare con l’argomento dell’intangibilità degli effetti contrattuali perché la gestione di un debito di tale proporzione e di così articolata genesi negoziale presuppone una continua lettura dinamica e critica delle clausole che regolano i rapporti tra le parti: ciò non solo per adottare le opzioni meno invasive per la finanza pubblica, ma anche per identificare la eziologia dei risultati e, da questa, ricavare elementi di prevenzione per il futuro.

La presente affermazione sarà ulteriormente argomentata nel paragrafo afferente alla analisi economico-giuridica dei contratti ereditati dall’amministrazione statale.

Un primo corollario di queste osservazioni è che il pagamento “a piè di lista” da parte dello Stato sottrae una rilevante fetta di risorse agli investimenti sociali. In buona sostanza l’uso del debito pubblico abbondantemente praticato da FF.SS., anche in periodi storici talvolta già lontani nel tempo, e poi scaricato sull’Erario viene trasmesso a generazioni future, senza che sia data alcuna prova che le stesse possano in qualche in modo avvantaggiarsene: non esiste infatti alcuna relazione o documentazione, negli atti a supporto dell’accollo del debito, dalla quale si evinca che allo stesso siano correlati beni pubblici ancora produttivi al momento in cui tale debito finirà di essere pagato.

Anzi, le modalità anodine con cui questi debiti vengono assunti lascia intendere che gli effetti sulla distribuzione intergenerazionale delle risorse non siano stati in alcun modo tenuti presenti e neppure calcolati in astratto.

Dovendosi prendere atto dell’assenza di una normativa specifica in materia di equità intergenerazionale, non può sottacersi l’esigenza di introdurre criteri semplici, ma stringenti, nella emissione e gestione del debito pubblico, che tengano conto della esigenza di valutare quest’ultimo non solo in termini puramente matematici rispetto al PIL, ma anche sostanziali.

Almeno a livello programmatico il consumo potenziale per le generazioni future dovrebbe essere eguale a quello delle generazioni attuali e quindi ogni ciclo di investimenti dovrebbe essere correlato attraverso procedimenti istruttori finalizzati a tale verifica. (…)

La emblematica crescita della durata dell’indebitamento emergente dall’allegato A1,  sottolinea, in un periodo di crescente penuria di risorse da destinare all’investimento, la necessità di istituire, per questa posta di debito così rilevante, indicatori capaci di descrivere in modo esauriente la loro sostenibilità. Ciò a cominciare dalla corretta illustrazione, nello stato patrimoniale dell’Amministrazione pubblica, degli effetti di queste pratiche di accollo. Esse producono miglioramenti dei risultati di gestione della holding FF.SS solo apparenti, dal momento che questi non sono indotti dalla efficientazione dei servizi, ma dal correlato e criptico scarico sul bilancio statale. Nella buona sostanza detti miglioramenti non possono essere certo ascritti a meriti del management, ma al periodico sacrificio dei contribuenti: le due ipotesi di accollo in realtà sono prodotte da un graduale peggioramento del conto economico della società, il quale viene scaricato sullo Stato ogni qualvolta superi il limite di guardia costituito dalla sommatoria degli endemici sbilanciamenti tra i costi ed i ricavi. Il risultato complessivo di queste operazioni è una cosmesi contabile, idonea a lenire temporaneamente i problemi del management pubblico, ma incapace di risolvere le questioni di fondo ed evidenziarne in modo trasparente la portata.(…)

7. Analisi economico-giuridica dei contratti ereditati – Mancata rappresentazione degli effetti economici nel bilancio dello Stato

L’analisi economico-giuridica dei contratti ereditati dovrebbe essere presupposto indefettibile della loro gestione, dal momento che la sinergica consapevolezza delle clausole giuridiche e del loro significato economico è prodromica alle scelte che durante la vita del rapporto devono essere compiute. Nelle fattispecie in esame la documentazione acquisita non fornisce completi elementi per porre in essere questa attività di raffronto tra le opzioni contrattuali e lo stato dei mercati finanziari al momento della loro scadenza.

Per questo motivo l’analisi successivamente formulata deve intendersi come contributo metodologico per affrontare le relative problematiche, tenendo presente che concrete decisioni inerenti alla gestione dei contratti dovrebbero essere supportate da attività istruttorie complete ed aggiornate in tempo reale.

Ciò premesso, si è ritenuto di dividere la descrizione dei contratti in essere secondo le due diverse fasi di accollo del debito al bilancio dello Stato. Con riguardo ai contratti ereditati nel 1996 ed ancora in essere al momento della presente indagine si possono individuare due diverse tipologie:

a) obbligazioni gestite con pool di banche;

b)  mutui con BEI (Banca Europea degli investimenti); (…)

I contratti schematicamente descritti appaiono assai onerosi per cui sarebbe conveniente ridurre o addirittura estinguere il prestito. Occorrerebbe tuttavia verificare preventivamente l’andamento dei prezzi di mercato delle obbligazioni per valutare la eventuale convenienza di raccogliere attraverso una banca le obbligazioni per estinguerle. Ovviamente decisioni in proposito dovrebbero essere supportate da idonea istruttoria sull’andamento del mercato azionario. Su queste ipotesi di gestione attiva pesa l’incognita del comportamento dei detentori dei titoli, i quali potrebbero non gradire una proposta di rimborso anticipato.(…)

Con riguardo ai contratti dell’Alta Velocità relativi al secondo accollo del 2006 si è ritenuto di individuare le singole fattispecie secondo il sottostante schema sintetico e cronologico (in particolare la maggior parte dei prestiti stipulati sono stati soggetti ad operazioni di swap, in relazione alle quali la locuzione “notes” rimanda alla colonna 1 del successivo prospetto):

a)  in data 23.12.2003 è stato stipulato un contratto-quadro c.d. credit facility agreement tra RFI, TAV e Infrastrutture SpA, contenente le clausole generali delle successive negoziazioni che, alla data del 31.12.2005, ammontavano complessivamente a 12,950 miliardi di euro[32]. Dette operazioni creditorie riguardano tutte la direttrice Torino-Milano-Napoli;

b)   nel mese di febbraio 2004 sono stati stipulati i contratti relativi alle prime tre tranches, per complessivi € 5 miliardi, (Project loans nn. 1, 2 e 3 – Obbligazioni ISPA serie 1, 2 e 3 – la serie 1 è stata “swappata”[33]);

c) nel mese di luglio 2004 è stato perfezionato il quarto Project Loan Tranche per un ammontare complessivo di € 1 miliardo (obbligazioni ISPA serie 4);

d)  nel mese di settembre 2004 è stato varato il quinto Project Loan Tranche per un ammontare complessivo di € 1 miliardo (prestito stipulato con la Banca Europea Investimenti-BEI);

e)  nel mese di novembre 2004 è stato adottato il sesto Project Loan Tranche per un ammontare complessivo di € 500 milioni (obbligazioni ISPA serie 2 e 4);

f)  in data 3 marzo 2005 la TAV spa ha definito con ISPA la ristrutturazione di quattro finanziamenti[34] per un ammontare complessivo di 1,350 miliardi di euro, trasferendo a Infrastrutture Spa i relativi contratti di copertura (Project Loans nn. 7, 8, 9 e 10 – Obbligazioni ISPA serie 5 più mutuo banca OPI “swappati” secondo notes nn. 1, 2, 3, 4 e 9);

g) in data 18 aprile 2005 TAV–RFI hanno stipulato con ISPA un nuovo Project Loan Tranche per un ammontare complessivo di 700 milioni di euro (Project loans n. 11 – Obbligazioni ISPA serie 3 e 4);

h)  in data 22 aprile 2005 TAV ha provveduto alla ristrutturazione di un ulteriore finanziamento[35] per un ammontare complessivo di 1 miliardo di euro, ed al trasferimento a ISPA stessa del relativo contratto di copertura (Project Loan n. 12 – Obbligazioni ISPA serie 7 e 8 “swappati” secondo notes nn. 7 e 8);

i)  in data 30 giugno 2005 TAV–RFI hanno stipulato con ISPA due nuovi Project Loans Tranche per un ammontare complessivo di 400 milioni di euro (Project loans nn. 13 e 14 – Obbligazioni ISPA serie 6 “swappati” secondo notes nn. 5 e 6);

j) in data 10 agosto 2005 TAV Spa – RFI Spa hanno stipulato con Infrastrutture Spa un nuovo Project Loans Tranche, a tasso variabile, per un ammontare di 2 miliardi di euro della durata di due anni, estesa a tre (Project loans n. 15 – Prestito Sogen Funding Loan). (…)

Nelle fattispecie precedentemente richiamate alcuni punti meritano di essere chiariti, anche in considerazione del fatto che le norme istitutive dell’operazione ISPA contemplavano requisiti di trasparenza ed efficienza delle decisioni che dovevano essere successivamente assunte.

Il primo riguarda la singolare decisione di coprire, con contratti swap, alcune delle operazioni di prestito precedentemente descritte, al fine di abbandonare il tasso variabile per passare a quello fisso, riducendo sostanzialmente i rischi di oscillazione.

Considerato che la contrattazione dei derivati è maturata poco dopo l’assunzione del debito principale, come si evince dal precedente prospetto (in alcuni casi un solo giorno di differenza), non si comprende per quale motivo non si sia immediatamente adottato il tasso fisso, evitando la onerosa operazione swap.

Per gli esercizi 2006, 2007 e 2008 i risultati delle operazioni in contratti derivati sono illustrati nei sotto indicati prospetti i quali evidenziano i risultati negativi, già anticipati nel precedente paragrafo 3.

La decisione di “swappare” a brevissima distanza quei prestiti, rimodulandone completamente lo schema di indebitamento, dovrebbe avere vanificato e reso inattendibile quel rapporto dal momento che, fin dall’inizio, l’adozione degli swap ha concretato un maggior costo. Nel 2006 le esposizioni in termini di flussi negativi ammontano a 81.437.959, nel 2007 ad euro 34.266.643 e nel 2008 ad euro 10.344.902 per un netting allo stato attuale complessivamente negativo per euro 126.049.504. I fatti esposti sarebbero ulteriore indizio della sommarietà e scarsa coerenza delle analisi di sostenibilità finanziaria delle scelte adottate.

Altre perplessità emergono dall’esame dei contratti swap stipulati in data 3 marzo 2005 con efficacia a decorrere dal 2026. E’ difficile comprendere in base a quali valutazioni si sia scelto di rinunciare nel 2005 ad un tasso variabile accettando, sin da quella data, tassi fissi dopo 20 anni rispettivamente pari a 5,48 al 4,8375.

Sorprende altresì la circostanza per cui, per un importo nozionale simile ed in cambio di un tasso variabile sostanzialmente identico, DEPFA accordi un tasso fisso di 4,835 e Morgan Stanley di 5,48. In assenza dichiarata di procedure concorsuali per la scelta del miglior prestatore di servizi finanziari, la circostanza lascia perplessi in ordine alla economicità e trasparenza delle scelte adottate.

La seconda questione da chiarire riguarda il meccanismo di raccordo tra capitali acquisiti in prestito e proventi TAV destinati al rimborso. La scelta delle modalità di finanziamento e la contrattazione dei piani di ammortamento dei prestiti avrebbe dovuto avere come riferimento la coerenza e l’equilibrio tra servizio del debito e flussi derivanti dal funzionamento dell’Alta Velocità. Nella buona sostanza il piano di rientro di quei debiti avrebbe dovuto essere rapportato quantitativamente e temporalmente all’attivazione di quei flussi.

8. Doveri di vigilanza e di controllo dell’Amministrazione sul debito ereditato

L’Amministrazione dello Stato, in quanto proprietaria al 100% delle quote di FF.SS., ha un potere-dovere di vigilanza su detta holding. Ciò emerge sia dalle norme del Codice civile che dalle linee di tendenza della più recente legislazione, la quale, soprattutto a partire dalla legge finanziaria 2007, cerca di prevenire meccanismi di sperpero delle risorse pubbliche posti in essere dalle società di tale natura, accentuando gli strumenti di controllo e di direzione dell’ente pubblico proprietario.

All’inizio del secolo si era pensato che, soprattutto nel settore dei trasporti pubblici, sarebbe stato lo strumento del contratto di servizio, subentrante alle antiche concessioni, ad efficientare i servizi pubblici, a retribuirli con corrispettivi proporzionati alla qualità e alla quantità delle prestazioni rese.

L’esperienza sul campo ha dimostrato che questo effetto non si è verificato nei meccanismi e nelle dimensioni che erano stati ipotizzati: soprattutto è proseguito – parallelamente alla pratica del contratto di servizio – il fenomeno di accollo indiscriminato sulla parte pubblica di oneri di varia natura pertinenti alle sue società.

Supervalutazione di corrispettivi, conferimenti di beni, assunzione di debiti sono strumenti indiretti di contenimento dei deficit progressivamente accumulati dalle società pubbliche, che, insieme o in alternativa alle ricapitalizzazioni, servono a mantenere in piedi organismi altrimenti incapaci di realizzare l’equilibrio economico.

Quelli che nell’ambito della contabilità pubblica sono evocati come squilibri economico-finanziari sono, con puntuale frequenza, traslati dalle società pubbliche alle amministrazioni proprietarie: non valgono formule innovative come project finance, cartolarizzazioni, prestiti atipici; nel breve o medio periodo buona parte del mancato raggiungimento degli obiettivi sociali, con i conseguenti oneri, viene scaricato sull’Erario.

Nel caso di FF.SS. questo fenomeno può essere definito endemico, almeno a far data dalla sua trasformazione in società per azioni: esso è reso drammatico dalle dimensioni del debito e dalla puntuale ricorrenza dei fenomeni di accollo, che pesano sull’Erario in modo più gravoso delle inefficienze della burocrazia continuamente denunciate a livello politico e imprenditoriale. Gli effetti antieconomici della gestione di società pubbliche come FF.SS. e ISPA incidono sui bilanci pubblici in modo più pesante del malfunzionamento della burocrazia. Di qui la necessità di vigilare su queste forme di esternalizzazione parziale dei servizi da parte del proprietario pubblico. Questi sono poteri-doveri intrinsecamente pregnanti ed in questa sede non è tanto importante delineare il confine delle singole competenze burocratiche rimesse ai pertinenti apparati ministeriali quanto sindacarne e raccomandarne il concreto esercizio.

Dunque lo Stato, in quanto proprietario delle azioni di FF.SS., deve vigilare sul rispetto dello scopo sociale, sulla efficientazione dei servizi, su eventuali episodi di mala gestio, sul valore economico-contabile del patrimonio societario, sulle perdite subite.

Attraverso questa vigilanza vengono curati l’interesse pubblico sotteso alla partecipazione azionaria e la sua proiezione sull’interesse sociale.

In questa ottica l’andamento della società, le perdite di esercizio, gli eventuali episodi di mala gestio, le condotte – anche omissive – degli amministratori e dei sindaci devono essere monitorati continuamente, al fine di adottare i provvedimenti di volta in volta necessari, alla luce della legge civile, dello statuto sociale e di quella evoluzione giurisprudenziale, che ha riconosciuto la competenza del giudice contabile a sindacare il danno erariale provocato dalle società pubbliche.

Il potere-dovere in esame si accentua quando – oltre alla sua astratta configurazione – si è in presenza di risultati negativi, che hanno scaricato nell’arco di pochi anni sulle casse dello Stato debiti delle dimensioni evidenziate negli allegati A.1 e A.2.

In tal senso occorre sottolineare come il Ministero dell’economia e delle finanze non abbia ad oggi prodotto alcuna documentazione obiettiva da cui possa ricavarsi indizio di questa attività di controllo e vigilanza.

Ciò è sorprendente se si considera che un rapporto di causa-effetto tra i comportamenti tenuti e l’enorme debito accumulatosi, a seguito delle non riuscite operazioni di finanziamento precedentemente descritte, doveva essere effettuato sia ai fini dell’accertamento di responsabilità ma – quel che più interessa in questa sede – anche ai fini di prevenire o limitare per il futuro ulteriori pregiudizi per le risorse pubbliche.

Detto dovere è accentuato dalla constatazione che, mentre fino alla data dell’accollo, era la società a subire in via immediata e diretta le conseguenze pregiudizievoli di determinate operazioni, nel caso in esame esse sono direttamente scaricate sull’Erario.

Nell’ottica esposta il profilo dell’interesse dell’ente proprietario e quello di tutela diretta degli equilibri del bilancio statale si compongono e si armonizzano in una unica prospettiva, che è quella di individuare eventuali responsabilità individuali nell’enorme debito accumulato e di prevenire e/o limitare i meccanismi negoziali già posti in essere.

Non può essere poi sottaciuto che  trattandosi,  nel caso di specie, di debito ereditato da società pubblica con partecipazione totalitaria, la scissione soggettiva tra Amministrazione e impresa risulta squisitamente formale, di guisa che la cura dell’interesse pubblico deve essere assicurata attraverso una puntuale ricognizione della eziologia che ha portato un così negativo impatto sul bilancio dello Stato. Così, nel caso dei contratti atipici stipulati, il problema non è quello di valutare in astratto la formula contrattuale scelta, quanto verificare se le concrete clausole adottate fossero ottimali in relazione alle coeve condizioni di mercato e, comunque, più vantaggiose di quelle connotanti le tradizionali operazioni di prestito.

Analogamente, per i prestiti flessibili e contenenti più opzioni gestorie, occorrerebbe accompagnare le decisioni, di volta in volta adottate, con una tempestiva istruttoria comparativa delle alternative possibili. In questo campo – come è noto – soccorre la stessa ingegneria gestionale che, attraverso la cosiddetta  comparazione “multiobiettivi”, consente di pesare e ponderare anche alternative non omogenee in termini economici come durata dei contratti, equità intergenerazionale, condizioni del mercato del credito, ecc. Comunque i criteri adottati per queste scelte dovrebbero essere resi ostensibili, mentre nel caso in esame l’unico criterio indirettamente percepibile è la scelta delle “opzioni automatiche” dei contratti oppure l’esigenza di cassa, che subordina la gestione del credito ai soli profili macroeconomici della gestione complessiva di cassa del bilancio statale.

Al di là delle osservazioni  già formulate, questo orientamento non valorizza la funzione manageriale che, in base ai principi di responsabilità individuale della trattazione degli affari e della gestione in concreto degli stessi, dovrebbe valutare e assumere decisioni peculiari, in relazione alle esigenze di volta in volta rilevate.

Sotto questo profilo non rassicura l’ampio scostamento precedentemente rilevato tra previsione e gestione concreta dei debiti, in ordine al quale non esistono neppure note integrative al bilancio in grado di illustrarne il motivo. Ben può dirsi che sul dirigente preposto grava un obbligo di relazionare sugli andamenti e gli scostamenti dalle previsioni di queste importanti partite di debito.

Per i contratti swap, per i quali è giustamente maturata nella legislazione vigente una ottica di assoluto disfavore[39], preso atto che gli stessi sono ormai stati perfezionati e, in quanto tali, risultano vincolanti, dovrebbe tuttavia essere impiantato un servizio di monitoraggio informatico, finalizzato alla gestione “in tempo reale” delle opzioni contrattuali e delle pertinenti decisioni.

Per i contratti più onerosi dovrebbe essere valutata, altresì, la opportunità dell’estinzione. Analoghe considerazioni valgono per le dimensioni delle commissioni e per la conversione dei tassi.

9. Il punto di vista delle Amministrazioni e le controdeduzioni della Corte

Sono pervenute, prima della discussione del presente rapporto di controllo, tre memorie da parte delle Amministrazioni interessate secondo il sottoindicato elenco:

o Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del Tesoro – Direzione II – nota prot. n. 2789 del 21.11.2008;

o Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per i trasporti terrestri e il trasporto intermodale – Direzione generale per il trasporto ferroviario – nota prot. n. 92796 del 17.11.2008;

o Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ufficio di Gabinetto – prot. n. 19286 del 5.11.2008.

Le richiamate memorie sono state confermate ed integrate oralmente dai funzionari intervenuti in rappresentanza delle Amministrazioni.

In linea generale può dirsi che le memorie del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti confermano, corroborano e contribuiscono ad integrare le valutazioni contenute nella relazione; quelle del Ministero dell’economia e delle finanze contengono alcune precisazioni e conseguenti osservazioni, che possono essere condivise solo nei limiti già precisati nell’ambito della relazione di questa Corte.

Le deduzioni del Ministero dell’economia e delle finanze si concentrano essenzialmente sui punti sottoindicati:

a) l’accollo del debito contratto da Ferrovie ed ISPA rientrerebbe in una sfera decisionale squisitamente politica, di guisa che l’attività manageriale esercitata dai dirigenti pubblici sarebbe una mera attuazione degli indirizzi contenuti nella norma. In sede di discussione orale la dirigente del Ministero ha aggiunto di ritenere conformi alle regole i comportamenti dei manager pubblici delle società interessate alle operazioni in materia di Alta Velocità;

b)  a creazione di patrimoni separati per finalità di investimento sarebbe diffusa prassi di mercato a fini di garanzia del credito;

c) in ogni caso la Direzione II del MEF non avrebbe partecipato alla istruttoria ed alla gestione delle decisioni pertinenti alla creazione del debito, i cui effetti sarebbero stati ereditati in modo già consolidato;

d) la Direzione II non avrebbe competenze di vigilanza e di ingerenza sulle società dello Stato e nemmeno sull’efficientazione dei servizi e di episodi di mala gestio. Tali compiti rientrerebbero nelle attribuzioni della Direzione VII del Dipartimento del Tesoro;

e) la gestione del debito accollato da parte della Direzione II avverrebbe nell’ambito di quella del debito pubblico nel suo complesso e sarebbe caratterizzata da criteri di dinamismo e prudenza, attraverso la ponderazione delle scelte di emissione e di gestione, sulla base di una preventiva analisi comparativa costi-benefici. Quest’ultima può condurre, in alcuni casi, a ritenere conveniente il mantenimento delle posizioni esistenti piuttosto che procedere a costose operazioni di chiusura anticipata o ristrutturazioni;

f) la Direzione curerebbe un attento monitoraggio dell’andamento dei mercati con cadenza giornaliera e questa frequenza le impedirebbe di rendere report formali;

g) circa i prestiti emessi da Ferrovie negli anni ’90 e ancora in circolazione, le pertinenti cedole sarebbero notevolmente superiori ai tassi correnti di mercato (in quanto allineate ai tassi di interesse al momento dell’emissione), di guisa che il rimborso anticipato potrebbe essere effettuato solo ad un valore molto superiore alla pari. Ciò senza contare che una simile operazione non potrebbe comunque essere imposta ai detentori dei titoli;

h) le opzioni di modifica delle condizioni dei mutui interessati alla presente indagine sarebbero state limitate nel tempo e circoscritte a periodi in cui la pertinente gestione non era attribuita alla Direzione generale;

i) le motivazioni che avrebbero portato questa sopravvenienza passiva a carico del Bilancio dello Stato (art. 1, comma 1364, legge n. 296/06) consisterebbero nella decisione Eurostat di inserire il debito contratto da ISPA nel consolidato del debito pubblico;

j) con riguardo al debito ISPA viene precisato che nei prossimi giorni, assolte le procedure di liberazione del patrimonio segregato, affluiranno nelle Casse statali  euro 7.821.850, definite “riserve di liquidità a garanzia dei sottoscrittori dei prestiti”;

k) l’elemento di rischio accertato dalla Corte in relazione ai derivati stipulati sarebbe connaturato a questo tipo di operazioni, dal momento che “l’economicità di un derivato si valuta nell’intera durata del contratto e non nel breve periodo”. Comunque per l’esercizio 2009 sarebbe ampiamente positivo e stimabile in euro 15.717.069;

l) gli uffici della Direzione II avrebbero comunque provveduto ad analizzare i singoli contratti allo scopo di comprenderne pienamente le strutture ed i meccanismi giuridici in essere, ferma restando l’intangibilità dello stato di fatto e di diritto delle obbligazioni;

m) l’incameramento dei flussi attivi al capitolo di entrata 3240 sarebbe perfettamente congruente con i principi di specificità, trasparenza e significatività del Bilancio dello Stato;

n) circa la capacità di programmazione la mancata corrispondenza tra previsioni e pagamenti in conto capitale ed in conto interessi sarebbe ispirata ad esigenze cautelative in ragione dell’andamento dei tassi di cambio e di interesse: anche i valori delle quote capitale dei prestiti in valuta possono discostarsi dalle previsioni in relazione ai movimenti dei cambi.

Le deduzioni scritte e orali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si articolano sui seguenti punti:

aa) gli esiti della abortita operazione di project finance erano ampiamente prevedibili al momento della sua adozione ed erano stati messi in luce dalla Amministrazione rappresentata;

bb) le opere “fredde” come l’Alta Velocità, cioè insuscettibili di integrale autofinanziamento, non possono essere gestite attraverso contratti approssimativi che non separano correttamente i costi industriali da quelli sociali;

cc) le complesse procedure di co-decisione rallentano e implementano la onerosità di queste tipologie di investimenti. In particolare le prescrizioni in sede di conferenza di servizi raramente sono sviluppate sotto il profilo dei costi, presupposto, questo, indispensabile per realizzare una finanza di progetto attendibile;

dd)  non solo le Amministrazioni pubbliche, ma anche i consulenti privati da queste assunti, e vantaggiosamente retribuiti, non hanno sufficiente cultura, come avviene in altri paesi occidentali, per valutare correttamente i costi e la correlata copertura;

ee) il Ministero delle infrastrutture condivide l’esigenza di vigilanza-ingerenza sulla realizzazione di queste opere parzialmente o totalmente a carico dell’Erario, ma non può direttamente intervenire, rimanendo il proprio ruolo sostanzialmente in ombra rispetto a quello del Ministero dell’economia e del CIPE; in particolare al Ministero viene sottratta la fase di pianificazione, fondamentale per avviare correttamente le gestioni e per seguirne efficacemente gli obiettivi;

ff)  il Ministero delle infrastrutture condivide pienamente l’assunto della relazione circa la necessità di introdurre un regime di più rigorosa responsabilità per i manager pubblici: le recenti vicende di FF.SS. e di Alitalia evidenziano la necessità di penali e meccanismi di rimozione più efficaci nei confronti di coloro che assumono decisioni pesanti in termini economico-finanziari e ne lasciano l’intera responsabilità alle società amministrate e all’Erario, costretto a intervenire per ripristinare gli equilibri economico-finanziari e la continuità dei servizi pubblici. In definitiva, sottolinea il rappresentante del Ministero, chi ha l’autorità di assumere decisioni pubbliche non ne assume la responsabilità, che viene lasciata, invece, a chi ne eredita la gestione degli effetti.

Le osservazioni del Ministero dell’economia e delle finanze meritano un esame analitico al fine di illustrare in modo univoco l’analisi critica esercitata dalla Corte in sede di referto. Ciò anche al fine di assicurare in modo pieno la funzione collaborativa intestata a questo Istituto che, per svolgere pienamente il proprio impulso all’autocorrezione, necessita di essere compiutamente recepita dal destinatario.

Quanto al profilo sub a), precedentemente sintetizzato, non v’è dubbio che l’accollo del debito a carico del bilancio statale costituisca una decisione squisitamente politica, per di più scolpita in una specifica disposizione di legge. In ordine alla stessa, la relazione svolge puntuali osservazioni che possono supportare il futuro drafting legislativo al fine di evitare il ripetersi di fenomeni di impatto negativo della legislazione sui conti pubblici. Questo profilo, inerente alla funzione collaborativa nei riguardi del Parlamento e costituzionalmente intestata, non ha alcun rapporto con l’analisi critica dell’attività manageriale esercitata sulle modalità applicative della norma stessa.

E’ evidente che quest’ultima lasciava ampi margini di discrezionalità in relazione alla sua concreta attuazione, limitandosi a fornire parametri di carattere generale cui l’operato degli stessi manager avrebbe dovuto ispirarsi.

Sotto questo profilo, ben può dirsi che l’intero meccanismo economico-giuridico studiato e realizzato non rispondesse ai canoni di ragionevolezza ed economicità richiamati dalla norma (art. 75, comma 1, legge 289/2002 “Infrastrutture Spa finanzia prioritariamente, anche attraverso la costituzione di uno o piu’ patrimoni separati, gli investimenti per la realizzazione della infrastruttura ferroviaria per il “Sistema alta velocità/alta capacità”, anche al fine di ridurre la quota a carico dello Stato. Le risorse necessarie per i finanziamenti sono reperite sul mercato bancario e su quello dei capitali secondo criteri di trasparenza ed economicità.”): se è vero che la creazione di patrimoni separati per finalità di investimento costituisce diffusa prassi di mercato a fini di garanzia del credito, non v’è dubbio che, nel caso di specie, le convenzioni quadro e i contratti attuativi si basavano su stime di flussi e di ritorni economici dell’opera non solo aleatori, ma anche irrealistici e sostanzialmente inesistenti. L’analisi eziologica svolta nella relazione e la ampia documentazione richiamata dimostrano che non vi erano flussi e crediti da segnalare nemmeno a livello di negoziazione preliminare e che, comunque, la stima degli stessi era ottimistica e già smentita dal cronoprogramma delle opere, molto più lento di quanto ipotizzato nella formula di finanza di progetto (flussi a partire dall’esercizio 2009, termine comunque, già allo stato delle cose, disatteso).

Il giudizio negativo della Corte riguarda quindi non la ipotesi astratta di patrimoni separati e dedicati alla finanza di progetto, ma la formula in concreto adottata che non poteva non condurre al fallimento finale, acclarato dalla disposizione della legge finanziaria 2007.

Gli ulteriori elementi forniti dalla memoria del Ministero delle infrastrutture, e dall’intervento orale del suo rappresentante, provano non solo la inattendibilità ab origine della quantificazione dei flussi di entrata presi a riferimento dall’ipotesi di finanza di progetto, ma anche una rilevante sottostima dei costi dell’opera, elemento questo di particolare gravità in una formula contrattuale di tal genere, ove alle incognite dei mercati finanziari dovrebbe almeno far riscontro la certezza dei costi.

Dalle esposte considerazioni emerge la irrilevanza della osservazione sub b).

Si concorda invece – come peraltro già specificato nella relazione sottoposta al Collegio – sulla osservazione sub c), inerente alla estraneità della Direzione II alla istruttoria ed alla gestione delle decisioni pertinenti alla creazione del debito. Gli effetti giuridici afferenti ai risultati oggetto della presente indagine sono stati ereditati certamente in modo già strutturato; quel che l’Amministrazione delle finanze sembra non aver percepito è il rilievo della Corte, destinato al supporto del Governo e del Parlamento, per i profili di loro competenza, in ordine alla singolarità di vicende, come la presente, in cui chi assume le decisioni non ne porta le responsabilità e chi eredita le responsabilità, come nel caso di specie la Direzione II, non ha competenze né in materia istruttoria, né di vigilanza ed ingerenza.

Questo corto circuito gestionale, patente negazione dei principi di managerialità dell’azione amministrativa, consacrati tra l’altro nel dlgs. 165/01, è stato colto nelle sue ampie dimensioni dal rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il quale lo ha sottoposto con dovizia di particolari eziologici a questo Collegio.

Le espresse considerazioni aiutano a dirimere anche l’osservazione sub d), con la quale la Direzione rinvia ogni mozione di vigilanza ed ingerenza alla competente Direzione VII del Dipartimento del Tesoro. Fin dall’inizio i magistrati istruttori hanno diretto la loro attenzione a tutti i dipartimenti e agli uffici del Ministero dell’economia e delle finanze potenzialmente coinvolti in una sì complessa operazione, ivi compresa la Direzione VII. Non v’è dubbio comunque che, nell’ambito del controllo sulla gestione, esista un dovere collaborativo, da parte degli uffici controllati, di veicolare all’interno della propria Amministrazione le richieste istruttorie in modo che il meccanismo informativo, posto alla base delle valutazioni del controllore esterno, possa funzionare in modo pieno e diffuso, così da supportare adeguatamente il dialettico rapporto che questa funzione di sindacato neutrale presuppone.

Lo scopo e i caratteri del controllo esterno di una Istituzione superiore, quale la Corte, è proprio quello di mettere in collegamento e ricreare meccanismi sinergici all’interno e all’esterno delle Amministrazioni coinvolte nel controllo stesso. Nel caso di specie, ferma restando l’autonomia organizzativa del Ministero, che opera secondo i criteri ritenuti più appropriati per la gestione dei propri affari, non sembrano configurabili dubbi circa il dovere di vigilanza ed ingerenza del Ministero stesso, le cui modalità di attuazione scontano i rilievi critici di cui al precedente paragrafo 8.

Questa Corte condivide (questioni sub e) e sub f)), come già evidenziato nella relazione sottoposta al Collegio, che la gestione di debiti pubblici, quali quelli in esame, debba essere improntata a dinamismo e prudenza, con la conseguenza che in alcuni casi il mantenimento delle posizioni esistenti può risultare più vantaggioso dell’esercizio delle opzioni contrattuali consentite.

La critica espressa nella relazione, che non appare superabile alla luce degli elementi prodotti dalla Amministrazione, riguarda il metodo e i risultati ad oggi prodotti: per nessuno dei numerosi contratti ereditati è stata documentata una operazione gestoria attiva, di modo che dovrebbe dedursi che mai in questo lungo arco temporale e in così vasto ambito negoziale, siano maturate condizioni favorevoli a scelte di gestione attiva. Ciò appare quantomeno sorprendente: anche l’asserito monitoraggio giornaliero non appare corredato da alcun rapporto informativo, sia pure di carattere periodico. Dal punto di vista della informazione contabile che dovrebbe supportare non solo il livello amministrativo, ma anche quello politico, l’assenza di riscontri oggettivi su determinate tipologie di operazioni, implica una concezione fideistica della gestione del debito che non si ritiene di poter condividere. Ciò va detto, fermo restando che dagli elementi messi a disposizione della Corte, non emergono né elementi patologici, ma neppure decisioni di pregio circa detta gestione. Proprio sul profilo metodologico si concentrano le osservazioni della Corte dal momento che proprio la rappresentazione “autocosciente” dei processi gestionali di una Amministrazione pubblica risulta presupposto indefettibile del controllo di gestione, che il decreto legislativo n. 286 del 1999 prescrive a tutte le Amministrazioni dello Stato.

Quanto precedentemente evidenziato consente di inquadrare e condividere anche le questioni sub g) ed h), inerenti alle opzioni contenute nei vecchi contratti ereditati da Ferrovie dello Stato in relazione ai quali già la relazione sottoposta al Collegio evidenziava la scadenza negli esercizi 1998 e 1999.

I rappresentanti del Ministero hanno messo in luce che la eccezionale misura disposta dalla legge finanziaria 2007 (l. 296/06) di accollo retroattivo al Bilancio 2006 dei debiti, prodotti dalla abortita operazione di project, sarebbero una improvvisa sopravvenienza indotta dalla decisione Eurostat di classificare quale debito pubblico le operazioni ISPA. In effetti l’intero snodo della vicenda, ed in particolare la genesi della stessa, dimostra che i parametri di riferimento non erano gli obiettivi di contenimento del debito pubblico e la intrinseca vantaggiosità, bensì l’esigenza di non classificare come indebitamento pubblico i prestiti che si andavano a contrarre. Un esame obiettivo della sostanza delle cose evidenziava ab origine la soggezione dell’iniziativa alle regole di Eurostat, di talché la decisione del 23 Maggio 2005  non poteva giungere inattesa, ma era praticamente annunciata, venendo a costituire l’insieme dei provvedimenti adottati, una operazione elusiva dei richiamati precetti, destinata ad esaurirsi nel breve termine.

Gli accertamenti istruttori consentono di affermare che, oltre alla indubbia natura pubblica del debito contratto, fattore critico decisivo è risultato quello dei costi accessori dell’operazione, dei quali non risulta tracciabile per intero la consistenza e la dimensione, facilmente intuibile, tuttavia, in ragione delle spese di nascita, “vitalizzazione” e chiusura delle operazioni societarie nonché degli innovativi strumenti di credito, più onerosi rispetto al credito tradizionale.

Da un punto di vista metodologico la mancanza di un previo confronto tra soluzioni di credito innovative e tradizionali ha costituito una grave disfunzione nella istruttoria di decisioni, che si sarebbero dovute basare sulla ponderazione delle alternative finanziarie disponibili. In questo necessario esercizio di discrezionalità tecnica i costi di un indebitamento tradizionale avrebbero dovuto essere confrontati con una soluzione di finanza di progetto elaborata attraverso la stima complessiva dei costi, ivi comprese le complesse e onerose transazioni, che hanno caratterizzato le operazioni finanziarie, i conseguenti pesi fiscali, le remunerate consulenze esterne, nonché le spese accessorie ai contratti derivati.

Non solo è stato omesso un raffronto del genere ma ad oggi nessuno dei soggetti gestori è stato in grado di fornire un quadro economico completo di questi costi accessori, la cui consistenza avrebbe certamente indirizzato verso una linea di credito tradizionale.

Per quanto concerne la prossima affluenza nelle Casse erariali della somma di euro 7.821.850, definita “riserve di liquidità a garanzia dei sottoscrittori dei prestiti”, non vi è dubbio che essa non possa essere considerata come flusso attivo generato dal project finance, anche perché, nell’ambito della definizione della suddetta formula di finanziamento, i flussi attivi erano individuati in: a) crediti e proventi (flussi di cassa previsionali) derivanti dall’utilizzo del sistema AV/AC, che “sostanzialmente si identificano (al netto di alcune detrazioni) con le somme percepite dagli operatori di trasporto per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria”; b) importi corrisposti dallo Stato a titolo di integrazione, ai sensi dell’art. 75 della legge finanziaria 2003 e del successivo decreto interministeriale di attuazione, nel caso in cui le risorse sopra indicate non fossero state sufficienti. Probabilmente si tratta di rimborsi o di risorse generate da operazioni di prestito accessorie a quelle finalizzate e pertanto riconducibili alla stessa matrice erariale. Peraltro nel corso della presente Adunanza il funzionario dell’Amministrazione, su espressa richiesta dai magistrati istruttori, ha precisato di non essere esattamente a conoscenza della composizione di tale somma. Questa entrata, percentualmente infinitesimale rispetto al debito accollato allo Stato, sarà dunque oggetto di espresso accertamento nel corso dei successivi stralci di indagine evocati in premessa.

Non appare condivisibile, in relazione al punto k), l’opinione secondo cui il rischio da derivati sarebbe ineluttabile in relazione a questo tipo di operazioni di credito così come l’assunto per cui “l’economicità di un derivato si valuta nell’intera durata del contratto e non nel breve periodo”. Se è incontestabile il carattere di imprevedibilità di detto strumento finanziario, non è altrettanto certo che una Amministrazione pubblica possa utilizzare le risorse del contribuente per la stipula di contratti inutilmente aleatori. Nel caso di specie, l’analisi della Corte si è articolata in relazione ai correlati potenziali benefici che simili contratti derivati potevano consentire, a fronte del rischio assunto.

Nessuna giustificazione è stata fornita, anche se si comprende la posizione dell’Amministrazione cui non è imputabile la decisione contrattuale criticata, sulle clausole che hanno statuito l’assunzione di derivati, in alcuni casi il giorno successivo, per abbandonare il tasso variabile e passare a quello fisso, e l’assunzione di contratti swap stipulati in data 3 marzo 2005 con efficacia a decorrere dal 2026.

L’esistenza di queste clausole abnormi è stata confermata espressamente dal rappresentante dell’Amministrazione nel corso dell’adunanza, senza tuttavia che ne fosse esplicitata la ragione, probabilmente sconosciuta allo stesso Ministero, che l’ha ereditata dalla disciolta ISPA. Pertanto, l’analisi critica della Corte non è rivolta allo strumento derivato in astratto, bensì all’utilizzazione eccentrica e non motivata che risulta dai documenti contrattuali e dagli atti collegiali presupposti.

Al di là delle affermazioni astratte dei rappresentanti del Ministero ed in assenza di giustificazioni puntuali su alcune delle singolari operazioni derivate descritte nel precedente paragrafo, appare plausibile l’ipotesi che la stipula di questi contratti sia proposta da alcuni raggruppamenti di banche operanti sul mercato internazionale quale partita preconfezionata e accessoria al credito vero e proprio.

Pur prendendo atto delle affermazioni dei dirigenti della Direzione II circa la piena comprensione delle strutture e dei meccanismi giuridici di tutti i contratti (osservazioni di cui al punto l), non può negarsi che l’affermazione risulta allo stato apodittica, dal momento che non è stata prodotta alcuna relazione o studio ricognitivo, in ordine alla consistenza e agli effetti dei contratti in parola. Ciò senza dire della mancata conoscenza delle ragioni che hanno prodotto alcune decisioni, delle quali i manager societari non hanno lasciato traccia.

Circa il pronostico attinente al “calcolo dei flussi già determinato per l’anno 2009”[40], che evidenzierebbe addirittura “un incasso netto” di euro 15.717.069,44, sembra anch’esso inficiato dallo stesso ottimismo che aveva caratterizzato le scelte finanziarie originarie: alla luce delle turbolenze dei mercati finanziari e dei costanti netting passivi dell’esercizio in corso e degli anni precedenti, appare opportuna una maggiore cautela nelle previsioni.

Il Ministero sostiene che l’incameramento indifferenziato dei flussi attivi dei derivati pertinenti alla operazione in esame al capitolo di entrata 3240, avente ad oggetto “Somme dovute dalla Banca d’Italia a titolo di eccedenza del rendimento di tutte le attività nei confronti del Tesoro e a titolo di remunerazione del saldo relativo al conto “Disponibilità del Tesoro per il servizio di Tesoreria”, nonchè introiti relativi ad eventuali interventi sulla gestione del debito”,  e strutturato in 4 articoli (aventi denominazione: 1) somme dovute a titolo di eccedenza del rendimento medio ponderato di tutte le attivita’ nei confronti del Tesoro sull’interesse mediamente corrisposto sulla riserva bancaria obbligatoria; 2) somme dovute per la remunerazione ai sensi dell’articolo 4, comma 3, della legge 26 novembre 1993, n. 489, del conto “disponibilita’ del Tesoro per il servizio di tesoreria” istituito presso la Banca d’Italia; 3) eventuali somme derivanti dalla gestione del debito pubblico; 4) somme dovute per la remunerazione ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del d.m. 31 ottobre 2002 del conto fruttifero istituito presso la Banca d’Italia), sarebbe conforme ai principi di significatività, trasparenza e specificità del bilancio. L’opinione non appare conforme ai caratteri funzionali e teleologici della contabilità, i quali comportano che le informazioni economiche e finanziarie debbano essere articolate in modo da costituire oggetto di controllo di gestione. Quest’ultima attività consiste in un supporto alla funzione dirigenziale (e a quella di governo in relazione alle strategie ed agli obiettivi delle politiche pubbliche) attraverso la estrapolazione dai bilanci pubblici, e il collegamento di notizie inerenti alle unità organizzative responsabili dei risultati, degli effetti delle singole gestioni, dell’analitica rilevazione e ripartizione dei costi e dei ricavi per ciascun obiettivo di pertinenza. E’ evidente che la confusione delle gestioni di tali contratti in un contenitore indifferenziato non consente di collegare direttamente le componenti attive e passive delle singole gestioni ad essi sottese.

Se si aggiunge che i risultati di questa vicenda incidono in modo forte ed antitetico sul patrimonio dello Stato e su quello di soggetti esterni, quali le società pubbliche, i cui esiti sono comunque riconducibili alla finanza allargata, comportando periodici e rilevanti sacrifici erariali, l’assenza di una contabilità analitica inerente ai risultati conseguiti appare preclusiva di qualsiasi supporto valutativo alla direzione politica e a quella amministrativa.

Si prende atto, infine, delle considerazioni svolte dal Ministero circa la discrasia tra previsioni ed impegni inerenti agli interessi e al capitale dei prestiti in ammortamento. Tuttavia mette conto evidenziare come la discrepanza, elevata fino al 2005, si sia ampiamente ridimensionata negli ultimi due esercizi, a dimostrazione che una maggiore attenzione può produrre stime più verosimili e minore immobilizzazione di risorse.

Quanto alle osservazioni presentate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la Corte ritiene che le stesse siano interamente condivisibili. Sulla prevedibilità del fallimento del project finance, i profili eziologici sottolineati dalla Amministrazione e ampiamente condivisi nel corso della relazione, confermano come la stessa non fosse realistica fin dall’inizio. Lo stesso Legislatore, con la istituzione di una garanzia a “piè di lista” dello Stato, aveva effettuato una implicita prevalutazione negativa, in relazione alla “bancabilità” della iniziativa in un libero mercato, che non tenesse conto dello “Stato mallevadore”. Anche il profilo sub bb) conferma le critiche sulla qualità della istruttoria che ha condotto all’adozione della iniziativa: senza una previa separazione dei costi industriali e di quelli sociali, cioè non fronteggiabili attraverso le utenze e le tariffe, non è possibile né affrontare il mercato (i potenziali concorrenti devono poter conoscere i costi e i criteri di determinazione degli stessi utilizzati dall’Amministrazione) e neppure determinare con certezza l’entità dell’intervento pubblico e il correlato sacrificio fiscale.

Si condivide altresì la segnalazione dell’impatto delle complesse procedure di co-decisione, connaturate al nostro Stato policentrico, ove anche enti piccolissimi condizionano con forte potere di interdizione la realizzazione di grandi infrastrutture. La conferenza di servizi, oggi funzionante attraverso il principio di maggioranza anziché di unanimità, produce comunque incrementi occulti di costi, attraverso prescrizioni additive che non vengono sviluppate antecedentemente alla negoziazione, diventando sopravvenienze contrattuali passive difficilmente gestibili. In tema di vigilanza-ingerenza questa Corte condivide, ed è ferma nel ritenere, che qualsiasi rapporto contrattuale, attraverso il quale la parte pubblica coopta partner privati nel perseguimento di interessi generali e della collettività, presuppone, da parte della prima, un controllo concomitante e cogente in relazione al rispetto del vincolo di destinazione delle risorse stanziate e dei correlati obiettivi.

Analogamente per quel che concerne l’operato dei manager pubblici, nei cui confronti vige un regime di sostanziale irresponsabilità delle decisioni adottate: nella nostra tradizione amministrativa troppo spesso gli effetti del loro operato sono considerati ineluttabili sopravvenienze passive per l’Erario. Sorprende in tal senso la difesa del management delle società pubbliche, svolta oralmente dalla rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze, dal momento che nella stessa memoria si conferma che alcuni dei prestiti sono talmente onerosi da precludere qualsiasi ipotesi di gestione migliorativa.

10. Conclusioni e raccomandazioni

Le conclusioni e le raccomandazioni relative al presente rapporto di controllo sono necessariamente dirette all’Amministrazione statale, ente gestore delle risorse impiegate per le finalità precedentemente descritte; tuttavia esse si inseriscono in un contesto di finanza allargata, nel quale il punto di riferimento non è tanto il singolo soggetto amministrativo che di volta in volta concorre al raggiungimento di un obiettivo, bensì l’ottimale impiego delle cospicue risorse che, pure in contesti operativi variegati, hanno la comune provenienza pubblica. Nelle differenziate ipotesi di accollo del 1996 e del 2006 elementi comuni sono le dimensioni assolutamente rilevanti degli oneri caricati sullo Stato, la gravosità delle operazioni di prestito e delle procedure ad esse collegate, la scarsa trasparenza amministrativa e contabile della gestione del debito.

Entrambe le fattispecie hanno in comune la genesi legislativa, nel senso che nascono dalla scelta normativa di accollare debiti, insostenibili per il gestore del servizio pubblico, allo Stato. Nella prima fattispecie, gli oneri ed il relativo accollo si inserivano nel solco tradizionale dei prestiti di scopo, il cui ammortamento viene rimborsato dall’Erario anziché con i proventi del servizio; nella seconda, essi erano il portato di un project finance atipico, con rischi interamente gravanti sulla parte pubblica.

Gli esiti non positivi di entrambe le soluzioni hanno certamente quale prodromo gestioni prive dei requisiti di efficacia, efficienza ed economicità e la decisione dello Stato di farsene carico; entrambe avrebbero dovuto essere intercettate e fermate prima di produrre i pregiudizievoli effetti per la finanza pubblica evidenziati dalla presente relazione. Il mancato monitoraggio dell’andamento economico dei soggetti gestori del servizio pubblico, ha provocato la situazione di emergenza che è alla base delle sindacate operazioni di trasferimento degli oneri. Lo Stato proprietario, azionista e comunque dotato di poteri di direttiva, dovrebbe essere posto in grado di intervenire prima che i citati effetti si siano irrimediabilmente consolidati. In questo senso, l’autocorrezione funziona come acquisita consapevolezza della non riproducibilità di errori già compiuti: più specificamente non sono gli istituti giuridici e le formule astratte, di volta in volta adottate, a risolvere nel modo più appropriato i problemi ed il perseguimento degli interessi pubblici, bensì la concreta fattibilità dei progetti, studiata, simulata e valutata criticamente prima di procedere alla negoziazione con gli operatori economici, quali banche, assicurazioni ed imprese. Il perfezionamento del contratto genera punti di non ritorno, stante la immodificabilità con modalità unilaterali delle sue clausole e la necessità per lo Stato di tutelare la propria immagine di debitore affidabile.

Quanto detto comporta una maggiore tempestività nell’assumere decisioni idonee a prevenire o limitare situazioni gravi come quelle cui il Legislatore ha tentato di porre rimedio attraverso gli evocati provvedimenti, nonché l’affermazione, non astratta ma corroborata attraverso esempi deterrenti, della responsabilità societaria dei manager. Questi non possono interpretare il loro ruolo in modo meramente esecutivo di dettati normativi, che implicano invece l’esercizio di una profonda professionalità per redigere progetti operativi, convenienti, specificati e corredati da momenti di costante autoverifica. In particolare l’attività sindacatoria sull’operato dei manager pubblici dovrebbe iniziare dalla verifica dello studio delle alternative disponibili, della loro fattibilità, della loro sostenibilità ambientale e finanziaria, della chiara individuazione dei risultati attesi e dei momenti intermedi di verifica. Sotto questo profilo, l’indagine ha messo in evidenza gravi carenze e manchevolezze degli amministratori che hanno favorito il nascere delle passività successivamente assunte dallo Stato: nella prima ipotesi, i contratti ereditati nel 1996 mettono in luce la spasmodica ricerca di liquidità senza una previa valutazione della consistenza e della convenienza degli oneri correlativamente assunti; nella seconda, la costituzione del patrimonio separato prevista dalla legge è consistita in “proventi e crediti” che non hanno generato, con esito contraddittorio rispetto alla natura del project finance, alcun flusso finanziario. Ciò, non solo a seguito dell’abbandono dell’iniziativa prima della data ipotizzata per la generazione dei flussi, ma anche e soprattutto perché detti flussi erano richiamati solo in via ipotetica, senza che i potenziali utilizzatori della rete avessero stretto vincoli contrattuali generatori di credito, in qualche modo rapportabili all’enorme debito che si andava assumendo.

La esposta premessa, che accomuna sotto il profilo metodologico le diverse ipotesi di accollo degli oneri, consente ora di soffermarsi più specificamente sulla fattispecie dell’Alta Velocità.

La complessità del procedimento seguito e radicalmente mutato nel corso degli anni, l’inevitabile collegamento delle risorse allocate nel bilancio statale con obiettivi e risultati perseguiti aliunde, in particolare da TAV e RFI, la necessità di rendere un quadro chiaro e lineare degli esiti delle iniziative intraprese, inducono a focalizzare l’attenzione verso gli adempimenti gravanti ab origine sull’Amministrazione statale e verso la fenomenologia che ha condotto a risultati così diversi da quelli originariamente ipotizzati.

Solo attraverso questo percorso potranno essere individuati profili di autocorrezione per prevenire in futuro le disfunzioni già accertate ed ottimizzare l’impiego di risorse in un settore, quello degli investimenti, endemicamente caratterizzato da penuria e da sproporzione tra fabisogni e disponibilità.

In ossequio a detto criterio non può sottacersi come, fin dalla emanazione della legge 289/2002, sorgesse in capo all’Amministrazione statale un dovere di vigilanza-ingerenza nei riguardi delle proprie società, al fine di quantificare e monitorare gli oneri derivanti dall’applicazione dell’art. 75, della citata legge 289/2002, il quale caricava meccanicamente sull’Erario lo sbilanciamento tra ricavi e servizio del debito, disegnato attraverso il complesso intervento ISPA.

La soluzione scelta di costituire un diaframma operativo attraverso questa società pubblica, la cui vita è stata contrassegnata da una sorprendente brevità, non poteva, proprio per il meccanismo messo in piedi dall’articolo 75, prescindere da una attendibile ricostruzione dei costi industriali dell’intera iniziativa, di quelli finanziari, dell’ammodernamento delle linee intercettate dalla nuova infrastrutturazione, dei costi di progettazione e di acquisto del nuovo materiale rotabile. Il totale di dette previsioni, geometricamente superiore alla entità dell’indebitamento previsto, pari a 25 miliardi di euro, fortunatamente dimezzato nel suo concreto sviluppo, doveva essere confrontato con le ipotesi di copertura, costituite, secondo gli indirizzi più volte esplicitati in sede parlamentare, dai ricavi delle nuove infrastrutture.

In definitiva, le poste di bilancio sottoposte a controllo da questa Corte avrebbero dovuto esprimere, in termini di un monitoraggio continuo e trasparente, le ipotesi di equilibrio economico e finanziario tra le operazioni di indebitamento gestite da ISPA e i ricavi indotti dalle stesse: nella parte delle passività sarebbero dovuti figurare i rimborsi delle obbligazioni ISPA, la manutenzione ordinaria e straordinaria delle nuove infrastrutture, almeno fino al termine delle obbligazioni (in prevalenza fissato nell’anno 2045) ed il pagamento degli interessi intercalari (infatti fino all’entrata in esercizio delle nuove linee previsto nel 2009 nessun ricavo poteva concretamente affluire nel patrimonio separato); nella parte attività avrebbero dovuto figurare i ricavi dell’Alta Velocità e le risorse “a pareggio” stanziate dallo Stato ai sensi dell’art. 75. Le due voci delle attività avrebbero dovuto essere stimate dinamicamente e reciprocamente, in relazione all’andamento dei mercati e dei lavori di costruzione delle infrastrutture. Al contrario, da ciò che emerge dagli atti istruttori acquisiti da questa Corte, l’unico progetto finanziario disponibile in tal senso è quello iniziale[41]: esso si basava su stime molto ottimistiche di flusso passeggeri e di utilizzazione della rete, sia in termini di treni passeggeri che di treni merci. La scissione tra questa previsione, l’andamento dei lavori e le stime della utilizzazione della rete ferroviaria da parte dei soggetti interessati, nonché la stessa individuazione generica di questi ultimi senza riscontri di carattere programmatico e contrattuale, hanno reso l’ipotesi dell’autofinanziamento meramente virtuale, inducendo il graduale abbandono del progetto iniziale, sancito con la incorporazione di ISPA in Cassa Depositi e prestiti, con contestuale accollo del debito correlato al patrimonio separato a carico dell’Erario.

E’ emersa allora evidente la forzatura iniziale che, attraverso un progetto finanziario troppo ottimistico, ipotizzava un autofinanziamento mediante project finance: in realtà si trattava ab origine di linee ferroviarie finanziate con debito pubblico futuro, neppure acquisito alle migliori condizioni di mercato (anche in considerazione degli elevati costi di intermediazione conseguenti al complesso iter utilizzato rispetto a quelli di attivazione del normale credito di investimento).

In realtà un progetto delle dimensioni dell’Alta velocità non può ritenersi accettabile solo in relazione all’indubbia strategicità dei fini in esso contenuti, ma deve essere accompagnato da una realistica analisi dinamica della copertura economica. Diversamente opinandosi, non poteva che verificarsi un onere rilevantissimo per la finanza pubblica, come avvenuto nel caso di specie.

La decisione di caricare sul bilancio statale gli oneri della fallita operazione di project finance è, probabilmente, anche conseguenza del fatto che fin dal 2005 Eurostat[42] ha espresso perplessità sulla esternalizzazione delle poste di finanziamento TAV rispetto al bilancio pubblico, chiedendo la riclassificazione settoriale dei finanziamenti di ISPA  a TAV. Nella buona sostanza, la posizione di Eurostat avrebbe abbattuto l’ultimo diaframma di questo project finance virtuale. Ulteriormente esemplificando, può affermarsi che, mentre di regola, il cattivo esito di un project ricade sugli investitori privati (cfr. in proposito la vicenda dell’Eurotunnel che è gravata sui risparmiatori e sulle banche), nel caso di specie detto onere è gravato interamente sullo Stato.

Ciò probabilmente perché fin dall’inizio – come emerge dall’ampio carteggio istruttorio citato nel corso della relazione – i mercati finanziari non avevano ritenuto verosimile e conseguentemente appetibile il piano di rientro dell’ingente investimento programmato.

D’altronde anche lo schema normativo vigente del project finance[43] prevede che il rientro parziale o totale degli oneri di investimento infrastrutturali derivi dallo sfruttamento dell’opera stessa o di beni ad essa collegati (a titolo esemplificativo centro commerciale adiacente a scambio intermodale di sistemi di trasporto) attraverso apposita concessione poliennale, il cui valore viene analiticamente stimato sia al momento dell’aggiudicazione che nel tempo, connotandosi la durata stessa come coefficiente del corrispettivo dell’opera. Nella fattispecie in esame, i fondamentali elementi in questione hanno sempre presentato margini di indefinitezza, in stridente discrasia con la dimensione e con l’importanza dell’investimento che si andava ad effettuare.

L’Amministrazione statale, fin dall’inizio gravata dall’onere di riequilibrio economico-finanziario, avrebbe dovuto porre in essere azioni di prevenzione, correzione e vigilanza, idonee quantomeno a limitare l’entità dell’accollo finale.

Quanto detto evidenzia una originaria problematicità della soluzione legislativa di cui, in questa sede, non si discute certamente il merito, ma si intende sottolineare, invece,  l’assenza di una adeguata relazione tecnica di accompagnamento. Dalle norme e dalla documentazione richiamata si ricava che la nascita di ISPA, come tra l’altro desumibile dal “credit facility agreement” del 2003, era giustificata dall’esigenza di reperire sul mercato di capitali le soluzioni finanziarie ottimali, sulla base di criteri di trasparenza e di economicità. E’ evidente come tali intenti siano stati smentiti, come più volte evidenziato, dalla realtà dei fatti ed in particolare sorprende l’assenza di prove di quell’attività di ricerca e valutazione da parte dell’ISPA nei report che l’ art. 3.3.1, lett. e) del “credit facility agreement” poneva a suo carico. Invero il carattere di “eccellenza” della soluzione aveva una connotazione chiaramente apodittica fin dall’emanazione della norma, poiché la genesi della stessa non era accompagnata da alcuna relazione tecnica comparativa tra il costo di costituzione e gestione della ISPA e del patrimonio separato, nonché dei contratti e della intermediazione tra ISPA, RFI e TAV e l’alternativa di affidare direttamente alle società o allo Stato la raccolta della provvista finanziaria. Una tale considerazione è suffragata dalla constatazione che, nel caso di specie, è risultata totalmente assente qualsivoglia attività di analisi di impatto della legislazione e della regolazione, che dovrebbe, invece, accompagnare, sulla base del vigente quadro normativo, provvedimenti di siffatta importanza[44].

Le esposte valutazioni critiche sono anche presupposte e prodromiche ad altre rivolte alla gestione contabile della spesa ed alla illustrazione dei rapporti patrimoniali tra lo Stato e le proprie società. Con l’assunzione del debito oggetto della presente indagine si è di fatto interrotta la correlazione tra le risorse pubbliche impiegate e i risultati effettivamente raggiunti: questi ultimi sono illustrati soprattutto nei bilanci della holding FF.SS., riducendosi in sostanza il sacrificio dell’Erario ad una sorta di plusvalenza dello stato patrimoniale societario. In considerazione della sostanza dei fatti illustrati e delle particolari modalità con cui il travaso delle risorse è avvenuto, le correlate gestioni contabili non possono essere considerate conformi a criteri di trasparenza e significatività.

Per quel che concerne la gestione del debito, l’istruttoria ha messo in evidenza come la stessa sia orientata alla mera esecuzione delle clausole contrattuali piuttosto che allo studio e alla valutazione delle opzioni consentite dai contratti stessi e dalle condizioni di volta in volta maturate sul mercato finanziario.

Indipendentemente dai riflessi di carattere economico-finanziario del complesso delle operazioni ereditate, i quali sono apparsi eziologicamente ancorati alla carente specificazione iniziale dell’investimento, non può negarsi come una consistente parte degli oneri accollati all’Erario possa essere imputata non solo al vizio di origine, ma anche a specifici comportamenti del management delle società in questione. Ciò soprattutto con riguardo alle singole operazioni realizzate, alle scelte contrattuali effettuate, alla mancata ostensione delle motivazioni che ne hanno indotte talune. Nella fattispecie in esame, gli interessi dello Stato-proprietario dovrebbero essere tutelati anche attraverso la vigilanza su determinate scelte, separando la discrezionalità manageriale, assolutamente insindacabile, da eventuali decisioni irrazionali o immotivate che abbiano inciso direttamente o indirettamente sul patrimonio pubblico. In ordine alla penombra che ha circondato alcune importanti decisioni e negoziazioni si rinvia ai paragrafi precedenti, rilevando, peraltro, come ad oggi, nessuno dei muniti apparati del Ministero dell’economia e delle finanze sia stato coinvolto, sia pure in astratto, in istruttorie aventi ad oggetto la correttezza dei singoli comportamenti tenuti dal management societario.

Più in generale può dirsi, sia alla luce dell’accollo del debito tradizionale avvenuto negli anni ’90, sia a quello ereditato da ISPA, che il fenomeno di scarico sull’Erario degli effetti di iniziative gestorie nate con presupposti di autonomia e autofinanziamento, risulta ricorrente. In tale quadro sembrerebbe che le norme eccezionali, imputanti allo Stato effetti di gestioni esternalizzate nel campo dei servizi ferroviari, siano lo strumento col quale vengono, periodicamente,  rimossi i risultati, sedimentatisi in modo alluvionale, dei diversi comportamenti societari, per così dire, temporalmente intermedi all’adozione di siffatte misure eccezionali. A ben vedere, e ciò risulterà ancora più chiaro al momento del completamento della istruttoria[45] in ordine agli altri oneri FF.SS. gravanti sul bilancio dello Stato, il tendenziale squilibrio tra costi e ricavi dei servizi, anziché essere realisticamente stimato, e conseguentemente coperto con le tariffe e la fiscalità, si somma tacitamente nel tempo, fino al momento in cui l’intervento pubblico diviene necessario per evitare eventi traumatici – e gravemente pregiudizievoli per la collettività – come la chiusura dei servizi.

In realtà contratti di servizio e finanziamenti vincolati dovrebbero essere sufficienti per porre rimedio ad un simile pregiudizievole andamento ciclico di scarico degli oneri sui conti pubblici: la loro realistica e corretta gestione, unita ad un severo monitoraggio e vigilanza sul permanere delle condizioni ipotizzate, appaiono snodi ineludibili per prevenire le esperienze non positive venute alla luce a seguito della presente indagine.

Diversamente opinando, in aggiunta ai conti pubblici, si aggraveranno ancor più i carichi fiscali delle generazioni future – con i connessi inaccettabili effetti sperequativi – nei  cui confronti rischia di slittare inesorabilmente lo stock di debito emergente in modo così improvviso ed insostenibile, in relazione alle risorse attualmente disponibili.

In definitiva, la scelta delle modalità degli investimenti dovrebbe tenere conto dei fondamentali principi–guida dell’efficacia, secondo cui la fonte di finanziamento dovrebbe tendenzialmente generare le risorse necessarie per farvi totalmente o parzialmente fronte e dell’efficienza, che dovrebbe indurre a scegliere la migliore soluzione che ottimizza al massimo grado, a parità di risultati, il costo delle risorse; ciò nella fondamentale prospettiva dell’equità intergenerazionale, in base alla quale i soggetti che beneficiano dell’investimento dovrebbero essere anche quelli chiamati a ripagarne i correlati debiti

E sotto questo profilo ben può dirsi che la esaminata vicenda appaia emblematica e fortemente rappresentativa della situazione di stallo e delle contraddizioni che affliggono la gestione degli interessi pubblici inerenti agli investimenti, astretti tra endemica penuria di risorse, esigenza di rispettare i tetti di indebitamento posti a livello comunitario e da problematiche di equità intergenerazionale non più eludibili.

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