eurofascisti

Shema’

“bisogna insegnare al popolo ad avere orrore di se stesso, per fargli coraggio”

Regole, valori precedentemente acquisiti, tutto viene messo in discussione, tutto e’ incerto. Siamo entrati nella terra di nessuno. Deregolamentazione del rapporto di lavoro salariato, moltiplicazione delle forme di lavoro precario, trionfo dell’esistenzialismo neoliberista, dell’impresa, del denaro, riduzione delle garanzie sociali, disoccupazione. In questo contesto gli individui tendono ad abbracciare ideologie autoritarie, conservatrici e al limite fasciste. Queste ideologie rispondono al bisogno di ridurre l’incertezza e l’ansia che derivano dall’ambiguita’ del cambiamento sociale. In uno scenario di crisi economica e di guerra civile (per la sopravvivenza) molte persone cercano e desiderano leader forti e autorevoli che le sollevino dalla responsabilita’ di prendere decisioni, che evitino loro il rischio di esporsi all’angoscia provocata dal crollo dei vecchi schemi cognitivi. La ricerca della “sicurezza” e “dell’identita’” perduta diventano un’ossessione paranoica. Tra le prime vittime di questa sindrome identitaria sono i migranti, i diversi, l’Altro, i senza-patria. Mentre e’ il capitalismo che non garantisce piu’ il vecchio ordine sociale, ne’ una “societa’ comunitaria” ne’ un’identita’ di gruppo, si cercano colpevoli immaginari e piu’ comodi e si trovano dei capri espiatori. Il desiderio di vincere l’ambiguita’, l’incertezza e l’ansia generati da un mondo in trasformazione diffonde tra la gente uno stile cognitivo-affettivo dogmatico. E contro le opinioni dogmatiche anche la dimostrazione evidente della loro falsita’ risulta impotente.

In questo paese, sulle macerie dello “stato sociale” e della democrazia politica, nuovi e vecchi fascismi, propongono come terapia di massa, “la salvezza del paese”, la glorificazione di una societa’ e di una “comunita’ nazionale” che non esistono piu’ e che il capitalismo contemporaneo ha totalmente dissolto. Come affermava K. Marx il capitale per sua natura tende all’universalita’, spinge a superare sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l’idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale, orgogliosamente ristretto, entro gli angusti limiti dei bisogni esistenti e la riproduzione del vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto questo il capitalismo e’ distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l’espansione dei bisogni e lo scambio e lo sfruttamento delle forze della natura e dello spirito. Ma, aggiunge Marx, dal fatto che il capitale supera “idealmente” i limiti che gli vengono posti, da “barriere, pregiudizi nazionali…etc”, non deriva affatto che esso li abbia realmente superati. La riproduzione del capitale si muove tra contraddizioni continuamente superate e continuamente poste. Mentre, da un lato, il mercato mondiale rende l’identita’ culturale, religiosa, politica, etnica, delle comunita’ nazionali e locali delle flagranti menzogne, prive di un terreno su cui poggiare, dall’altro le rivitalizza e le ricicla come terapia di massa e strumento di comando. “L’omogeneita’ culturale” della societa’ secondo principi come la nazionalita’, la religione, la razza, la tradizione e’ propria dei regimi totalitari che perseguono il controllo assoluto degli individui. Oggi, nella forma del relativismo culturale, e del “razzismo differenzialista”, questa omogeneita’ e questo controllo degli individui passano attraverso la difesa autoritaria, repressiva e propagandistica degli usi, dei costumi, dei valori, degli stili di vita di comunita’ separate, piuttosto folkloristiche, assolutamente immaginarie, oggettivamente prive della loro base economica d’esistenza.

In un’Europa devastata dalla crisi che produce enormi serbatoi sociali di paura e risentimento torna a soffiare forte il vento della xenofobia, del nazionalismo, dell’antisemitismo. L’angoscia diffusa dalla precarieta’, che logora le vecchie forme della riproduzione sociale della vita, non ha la forza ne’ il coraggio di dirigersi verso il suo vero oggetto: il capitalismo. Il mercato offre dei sostitutivi che affogano la lotta di classe nei sacri brividi dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, della sentimentalita’ piccolo borghese, del mistico riconoscimento della natura come potenza in se’. Lo spirito fascistizzato, la mentalita’ dell’uomo della strada mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi ad un’autorita’ e allo stesso tempo ribelle, dilaga in Italia e in Europa. A destra e a sinistra si rincorrono vecchi fantasmi del novecento come la difesa “degli interessi nazionali, “dell’indipendenza e sovranita’ nazionale” spesso annaffiati da un po’ di antiamericanismo nel quale si accusano gli USA di essere il principale ostacolo all’indipendenza-benessere di presunte “comunita’ nazionali”. In questa rinnovata ideologia del “primato della sovranita’ nazionale” la sinistra puo’ vantare otttimi compagni di strada come U. Bossi che qualche anno fa predicava che “l’America e’ la madre di tutte le minacce globali, multietniche, multirazziali e il motore della colonizzazione dei costumi e dei valori che rendono omologhe le identita’ nazionali”. Un Bossi che rimetteva sul mercato politico quel vecchio, ma non per questo innocuo, arnese della propaganda nazi-fascista rappresentato dal “complotto giudaico-massonico”, dal cosmopolitismo e “dall’ideologia mondialista” e dal suo progetto che trova il suo centro propulsore appunto nell’America. Un progetto di “annientamento dei popoli”, “governato dai grandi gruppi finanziari internazionali”, che si serve delle migrazioni di massa dal sud e dall’est del mondo per creare il caos, negare l’esistenza delle nazioni e distruggere la “civilta’ europea”.

Con la benedizione dello Stato e del capitale finanziario deterritorializzato una nuova caccia alle streghe e’ cominciata. Demagoghi populisti di destra e di sinistra, neonazionalisti, razzisti piu’ o meno “differenzialisti”, inveiscono contro la globalizzazione, invocano misure contro il lavoro immigrato a basso costo, chiedono il ritorno al primato della “sovranita’ nazionale” contro il potere extraterritoriale del capitale finanziario. Fanno appello alla “classe media” trascinata in basso nella scala dei consumi dalla crisi economica, dai tagli alla spesa pubblica. Nuovi apprendisti stregoni di ogni risma sognano, non senza una qualche ragione, di poter ripetere la performance elettorale del partito nazionalsocialista del 1934. Un’avanzata elettorale (quasi 14 milioni di voti e mezzo milione di iscritti ) che aveva la sua base sociale non negli strati sociali marginali ma, appunto, in borghesi che aspiravano ad uno “Stato forte”, in operai che avevano totalmente perso fiducia nei partiti di sinistra e nei sindacati, in impiegati-commercianti-professionisti che vedevano minacciate le vecchie gerarchie e dunque il loro status sociale. Oggi, similmente, fatte le debite differenze, in molte fasce sociali a rischio di proletarizzazione o sottoproletarizzazione cresce l’angoscia da competizione con gli immigrati per il lavoro, la casa, l’accesso alle garanzie sociali. A questa ansia e angoscia da competizione il mercato politico, nelle sue varianti di destra e di sinistra piu’ o meno radicali (attente a non colpire il rapporto di produzione capitalistico) offre obiettivi e nemici immaginari. Oggi gli immigrati, domani gli ebrei e dopodomani qualche segreto gruppo di supercattivi, di banchieri etc. Come da sempre anche oggi il piu’ efficace strumento di propaganda eletterole per attirare le masse resta la predicazione della sfiducia e dell’odio.

Sotto il velo di un linguaggio incendiario e pseudo-rivoluzionario i nuovi eurofascisti, ne’ di destra ne’ di sinistra, in realta’, alla “mondializzazione”, sotto la retorica della “salvezza della nazione”, non sanno opporre altro che un’illusoria “terza via”: un’estinzione della lotta di classe in una alleanza interclassista fra sfruttati e sfruttatori su base territoriale. Nella sostanza gli eurofascisti erano e restano funzionali al Capitale che nei momenti di crisi, di riforma della riproduzione sociale, cerca di neutralizzare la riflessione critica e la coscienza del proletariato. Nell’attesa mistica che lo Stato, un giorno, prima o poi, metta il Capitalismo al servizio della “comunita’ nazionale”, fintamente critici e di fatto apologetici, come il Capitale ne’ di destra ne’ di sinistra, vecchi e nuovi demagoghi intanto chiedono sacrifici al “popolo”. Al di sopra di tutti i partiti e di tutte le classi, la morale degli eurofascisti alla resa dei conti e’ una sola: bisogna immolarsi al Capitale contro la “liberta’ anarchica” della societa’ civile che alla lunga intralcia “l’iniziativa privata”, l’interesse collettivo, cioe’ l’interesse del padrone. Interesse che comprende il controllo e disciplinamento della forza lavoro, riduzione dei salari e dei diritti sociali, incremento dei ritmi di lavoro, liquidazione della lotta di classe…, sempre e comunque in nome del supremo interesse nazionale.

Questi moderni rivoluzionari-apparenti mentre tuonano contro il potere del denaro non fanno nulla per attaccare il rapporto sociale di produzione che lo genera. I missionari della guerra santa contro la “bancocrazia” dimenticano volentieri che il denaro e’ un simbolo sociale, espressione di un rapporto sociale. E che finche’ la merce resta la forma sociale dei prodotti del lavoro e’ impossibile eliminare il denaro e le sue contraddizioni.
Nel capitalismo quanto piu’ si sviluppa la divisione sociale del lavoro, il carattere sociale della produzione, tanto piu’ si sviluppa il potere del denaro, del rapporto di scambio come potenza esterna ai produttori e da essi indipendente. Cosi’ nella misura in cui i produttori vengono a dipendere dallo scambio, lo scambio sembra diventare indipendente da essi e il denaro appare non piu’ mezzo di promozione della produzione ma rapporto estraneo ai produttori stessi. Ma non e’ il denaro che genera queste antitesi e contraddizioni piuttosto e’ lo sviluppo di queste antitesi e contraddizioni che genera la potenza apparentemente trascendentale del denaro. I fustigatori del “capitale usuraio”, produttivo d’interesse, oggi, in malafede, propagandano il compito impossibile di riorganizzare i rapporti di produzione e i rapporti sociali attraverso una “riforma monetaria”. Ma il denaro e’ un prodotto di questi rapporti, dello scambio stesso e non l’attuazione di un’idea formulata a priori nella mente di qualche banchiere o oligarchia finanziaria.
La necessita’ di trasformare il prodotto o l’attività’ degli individui nella forma del denaro nasce dal fatto che la loro produzione non e’ immediatamente sociale. In una societa’ in cui tutti i prodotti e tutte le attivita’ sono risolti in merce il denaro come intermediario universale e’ una necessita’. Qui il lavoro non ha un carattere immediatamente sociale e il nesso sociale fra i produttori privati e indipendenti (non autosufficienti) e’ espresso nel denaro. E il carattere sociale delle attivita’, la partecipazione dell’individuo alla produzione si presenta come qualcosa di estraneo. Inoltre, quando il rapporto sociale capitalistico prende la forma del capitale produttivo d’interesse, la contraddizione principale del modo di produzione capitalistico, la opposizione tra capitale e lavoro salariato, viene sostituita dalla mistificante opposizione tra capitalisti monetari e capitalisti industriali e/o operanti. Il processo lavorativo e produttivo allora viene rappresentato al di fuori del suo carattere contraddittorio di processo di sfruttamento, come funzione economica neutra. Il Comando e la combinazione della produzione assumono allora le vesti di una semplice azione di direzione e amministrazione da parte del capitalista operante, ridotto a funzionario del capitale monetario, a salariato. Su questa mistificazione si basano oggi tutte le chiacchiere su presunte “terze vie”, su alleanze interclassiste tra sfruttati e sfruttatori.

I cosiddetti “fascisti del terzo millennio” propongono lotte anticapitalistiche con la testa rivolta all’indietro. Confondono il popolo proponendogli obiettivi irrealizzabili, deviando la sua rabbia e frustrazione dal suo reale nemico, il Capitale, per indirizzarle su dei fantasmi sociali. Vogliono far girare la ruota della Storia all’indietro e al mercato mondiale e alla potenza del denaro pretendono di contrapporre una distribuzione della ricchezza fondata sulla subordinazione e sovraordinazione politica degli individui tra loro. Ad un’oppressione oppongono un’altra oppressione. Una caricatura e una finzione fantastica neomedievale del comunismo. Il loro piu’ alto concetto della societa’ civile , rimane il concetto della polizia, secondo cui la societa’ civile e per essa lo Stato politico esistono unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona nella separazione e nella gerarchia sociale. I “fascisti del terzo millennio” sognano di poter ritornare alla feudalita’ della vecchia societa’ civile. Ad una societa’ in cui gli elementi della vita civile, come la proprieta’ o la famiglia, o il tipo di lavoro, nella forma del ceto o delle corporazioni, assumono un carattere immediatamente politico, vengono innalzati a elementi della vita dello Stato. E che in questa forma determinano il rapporto dell’individuo verso la totalita’ statale, il suo rapporto politico di separazione e di esclusione dalle altre parti costitutive della societa’. Non diversamente, se non nella forma, anche molta sinistra sogna una nuova illusoria sottomissione della societa’ civile alla politica, un’inedita separazione della forza sociale nella figura della forza politica. Si tratta di puri articoli di commercio con cui commercianti falliti della politica tentano un ritorno in grande stile, si fa per dire, nel teatro del potere. Infatti, puntualmente questi “pastori di anime” si trovano una sola volta in compagnia della liberta’, nel giorno della sua sepoltura.

Complice l’espansione su scala planetaria di un mercato della pseudo-Storia certi fantasmi reazionari del passato sono stati rilegittimati. Fino ad oggi il “revisionismo storico” ha sostenuto la tesi, sotto l’occhio piu’ o meno benevolo dei partiti istituzionali, che nazionalismo, razzismo, militarismo e fascismo altro non erano che il frutto di una reazione, gli strumenti di una guerra civile europea, contro il comunismo. Eppure oggi che il socialismo reale e’ crollato, e lo spettro del comunismo non si aggira piu’ per l’Europa, il nazionalismo, l’antisemitismo, il razzismo e il fascismo in forme nuove ritornano al centro della scena politica. Nonostante la fine “dell’eroica difesa hitleriana dell’0ccidente dal bolscevismo asiatico” culminata nel crollo del muro di Berlino nel 1989, la differenza identitaria neo-nazionalista o etnica, l’esasperata difesa della “comunita” chiusa, il “razzismo differenzialista”, ritornano a capitalizzare la paura della gente di fronte al cambiamento. Tornano a sfruttare politicamente l’insicurezza e la precarieta’ diffusa tra le persone all’interno di una societa’ che assume ogni giorno di piu’ il volto minaccioso e terrorizante di una natura primordiale e incontrollabile. Una societa’ nella la poverta’ non nasce “naturalmente” ma e’ prodotta artificialmente. La pseudo-Storia che negli ultimi trentanni ha rivisitato il passato “proprio come era stato vissuto dalla gente comune”, cioe’ guardandolo attraverso il buco della serratura, al di fuori di ogni contestualizzazione politica, ha dimostrato tutta la sua strumentalita’. E’ servita semplicemente a legittimare l’infamia di oggi con l’infamia di ieri. Niente di piu’. A sostituire alla servitu’ per devozione la servitu’ per convinzione…

La dissoluzione dell’ordinamento tradizionale del mondo e il mercato mondiale come condizione di esistenza per ogni singolo individuo, la reificazione e l’espropriazione delle connessioni e delle relazioni sociali nel denaro. Questa connessione spontaneamente naturale, indipendente dal sapere e dal volere degli individui, che presuppone proprio la loro indipendenza e indifferenza reciproche, sono preferibili alla loro mancanza di connessioni o a una connessione soltanto locale, fondata su ristretti rapporti di dipendenza personali, o di signoria e servitu’. Come afferma Marx, e’ insulso concepire questa connessione come soltanto oggettiva ed e’ ridicolo opporsi alla situazione di totale svuotamento che essa produce inseguendo o rimpiangendo la “pienezza originaria” dell’individuo in stadi precedenti dello sviluppo storico. D’altro canto, se nella societa’ cosi’ com’e’ non trovassimo gia’ nascoste le condizioni materiali di produzione e i rapporti di traffico a esse corrispondenti, adeguati ad una societa’ senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero donchisciottesti. La contrapposizione romantica alla societa’ borghese e al mercato mondiale vuole riportare gli individui all’interno di vecchi e angusti rapporti sociali. La rivoluzione comunista vuole individui universalmente sviluppati i cui rapporti sociali in quanto relazioni proprie, comuni, siano assoggettati al loro proprio comune controllo. L’individualita’ con cui, non senza contraddizioni, cio’ diviene possibile presuppone lo sviluppo dell’universalita’ e della versatilita’ delle sue relazioni e capacita’. Chi pretende di riportare gli individui all’interno di rapporti di dipendenza personali, di claustrofobiche “comunita’ organiche”, che inneggia alla “tradizione”, a valori presuntamente extrastorici, chi parla di “patrie”, di nazione, di razza, di “salvezza del paese”, di primato della “sovranita’ nazionale”, di “rapporto patriarcale-diritto al suolo”… e’ un nemico del proletariato e della sua emancipazione sociale.

I rapporti di dipendenza materiali in antitesi a quelli personali ( nei quali gli individui entrano in relazione solo in quanto individui in una certa determinatezza, come signore feudale e vassallo, come appartenente ad un ceto, come membro di una casta etc.) non sono altro che delle relazioni sociali che si contrappongono autonomamente agli individui apparentemente indipendenti, ossia sono l’insieme delle loro relazioni di produzione reciproche divenute autonome  e che si presentano nella forma di astrazioni (come il . Nel rapporto di denaro, nel sistema di scambio sviluppato, nel mercato mondiale, i vincoli di dipendenza personale, le differenze di sangue, di formazione ecc. sono effettivamente saltati, lacerati e gli individui sembrano indipendenti, sembrano liberamente entrare in contatto reciproco e scambiare in questa liberta’. Si presentano pero’ in questa luce solo a chi astrae dalle condizioni, da condizioni di esistenza che pur essendo generate dalla societa’, appaiono quasi come condizioni naturali, ossia incontrollabili agli individui. Questa contraddizione non si risolve certo restaurando rapporti di dipendenza personale o la “forza della comunita’ che lega gli individui gli agli altri” limitandoli e opprimendoli…

il proletariato non ha nazione…

“non e’ lecito dimenticare, non e’ lecito tacere” (P. Levi)

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