la superstizione del lavoro nella sua forma antagonistica

Va’ di moda oggi di dichiarare avvenuta la completa identificazione di vita e lavoro e l’idea del lavoro come unica fonte della soggettivita’ come fosse una liberazione in atto del proletariato. Si riduce l’utopia all’egemonia del lavoro sulla vita e lo sviluppo dell’individualita’ all’autovalorizzazione della forza-lavoro. Ma la centralita’ del lavoro (del lavoro anche quando manca), comunque coniugato, nella strutturazione del tempo di vita e’ proporzionale al controllo capitalistico sull’organizzazione della societa’. Lavoro differenziato, complesso, multiforme, segmentato, frantumato significa imposizione capitalistica di nuove forme di lavoro-comando alla vita e simultanemante scomposizione del potere sociale del proletariato, della lotta di classe contro il lavoro. La riproduzione della vita come forza-lavoro imposta dal capitale e’ la negazione piu’ violenta del tempo disponibile come misura del valore, dell’autovalorizzazione umana fuori e contro il lavoro e non significa che la liberazione e’ a un tiro di sputo.

L’applicazione tecnologica della scienza alla produzione nel capitalismo mentre riduce il tempo di lavoro nella forma del lavoro necessario alla societa’ per riprodursi dall’altro lo aumenta nella forma di lavoro supplementare, superfluo, indispensabile a riprodurre il rapporto sociale capitalistico, il suo comando sul tempo di vita. Lo sviluppo delle forze produttive e delle relazioni sociali non si trasforma in tempo disponibile al di fuori della produzione immediata per ogni individuo e per tutta la societa’ ma solo in un costante ampliamento delle differenze qualitative del lavoro, in una imposizione di lavoro, di sfruttamento, piu’ vario e internamente piu’ differenziato.
La creazione di molto tempo disponibile oltre il tempo di lavoro necessario per la societa’ in generale e per ogni membro di essa (ossia di spazio per il pieno sviluppo delle forze produttive, e quindi anche della societa’), questa creazione di tempo di non-lavoro si presenta, al livello del capitale, come di tutti quelli precedenti, come tempo di non-lavoro, tempo libero per alcuni. Il capitale vi aggiunge il fatto che esso moltiplica il tempo di lavoro supplementare della massa con tutti i mezzi della tecnica e della scienza, perche’ la sua ricchezza e’ fatta direttamente di appropriazione di tempo di lavoro supplementare. In tal modo esso, malgre’ lui, e’ strumento di creazione della possibilita’ di tempo sociale disponibile, della riduzione del tempo di lavoro necessario per l’intera societa’ ad un minimo decrescente, si’ da rendere il tempo di tutti libero per il loro sviluppo personale. Ma la sua tendenza e’ sempre, per un verso, quella di creare tempo disponibile, per l’altro di convertirlo in plusvalore. Se la prima cosa gli riesce, ecco intervenire una sovvraproduzione, e allora il lavoro necessario viene interrotto perche’ il capitale non puo’ valorizzare alcun pluslavoro.
Quanto piu’ si sviluppa questa contraddizione, tanto piu’ viene alla luce che la crescita delle forze produttive non puo’ piu’ essere vincolata all’appropriazione di pluslavoro altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessa deve appropriarsi del suo pluslavoro.

La "crisi" del sistema e’ sempre "crisi del comando", del dominio del lavoro sulla vita e sull’ordine sociale. Il capitale "non e’ una cosa piu’ che non lo sia il denaro…", esso e’ l’antagonismo tra una relazione sociale che vuole imporre il potere assoluto del lavoro sulla vita e la lotta di classe che vuole distruggerlo.
Se le spole dei tessitori tessessero da se’…

Il lavoro non e’ la fonte di ogni ricchezza. La natura e’ la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che, a sua volta, e’ soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana (…) il lavoro dell’uomo diventa fonte di valori d’uso, e quindi anche di ricchezza, in quanto l’uomo e’ fin dal principio in rapporto, come proprietario, con la natura, fonte di tutti i mezzi e oggetti di lavoro, e li tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno buoni motivi par attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perche’ proprio dal fatto che il lavoro ha nella natura la sua condizione deriva che l’uomo, il quale non ha altra proprieta’ all’infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di societa’ e civilta’, lo schiavo degli altri uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli puo’ lavorare solo col loro permesso, e quindi puo’ vivere solo col loro permesso.
L’operaio non puo’ far nulla senza la natura, senza il mondo esterno sensibile. La natura e’ il "materiale" su cui il suo lavoro si realizza, in cui esso e’ attivo, da cui e mediante cui esso produce…le piante, gli animali, le pietre, l’aria, la luce ecc., formano una parte della coscienza umana teoretica, sia in quanto oggetti delle scienze naturali che in quanto oggetti dell’arte – formano la sua spirituale natura inorganica, gli alimenti spirituali, ch’egli deve soltanto preparare per goderne e digerirli; cosi’ anche praticamente essi formano una parte della vita umana e dell’attivita’ umana. Fisicamente l’uomo vive solo di questi prodotti, appaiano essi nella forma di alimenti, riscaldamento, vestimenti, abitazioni ecc.

La natura e’ il corpo inorganico dell’uomo: cioe’ la natura che non e’ essa stessa corpo umano. Che l’uomo vive della natura significa: che la natura e’ il suo corpo, rispetto a cui deve rimanere in continuo progresso, per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo e’ congiunta con la natura, non ha altro significato se non che la natura si congiunge con se stessa, che’ l’uomo e’ una parte della natura. Poiche’ il lavoro alienato 1) aliena all’uomo la natura, e 2) aliena all’uomo se stesso, la sua attivita’ vitale, aliena cosi’ all’uomo il genere; gli riduce cosi’ la vita del genere ad un mezzo della vita individuale. In primo luogo estrania l’una all’altra la vita del genre e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest’ultima nella sua astrazione lo scopo della prima, parimente nella sua forma astratta e alienata. L’attivita’ vitale, la vita produttiva, appare all’uomo solo come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservazione dell’esistenza fisica. Ma la vita produttiva e’ la vita del genere. E’ la vita generante la vita.
Per essa la natura si palesa opera dell’uomo, sua realta’. Allorche’, dunque, il lavoro alienato sottrae all’uomo l’oggetto della sua produzione, e’ la sua vita di genere che gli sottrae…estrania all’uomo il suo proprio corpo, come la natura di fuori, come il suo spirituale essere, la sua essenza umana…
Lavoro espropriato e’ in sostanza vita espropriata: l’appropriazione della natura si mostra come alienazione…, la vitalita’ come sacrificio della vita, la produzione perdita dell’oggetto.

Il lavoro diventa fonte della ricchezza e della civilta’ solo come lavoro sociale, nella societa’ e mediante la societa’. Il lavoro isolato (premesse le sue condizioni oggettive) puo’ creare valori d’uso, ma esso non puo’ creare ne’ ricchezze ne’ civilta’. L’umanita’ della natura c’e’ soltanto per l’uomo sociale; solo qui la natura esiste per l’uomo come legame con l’uomo, come esserci dell’uomo per l’altro e dell’altro per lui. L’attivita’ immediata in societa’ con altri e’ un’organo di manifestazione vitale, un modo di far propria la vita umana. Muovendosi entro l’alienazione capitalistica la trasformazione e l’assoggettamento della natura si presenta come progressivo assoggettamento degli uomini ad altri uomini. Soltanto col capitale la natura diventa un puro oggetto per l’uomo, un puro oggetto di utilita’, e cessa di essere riconosciuta come forza in se’; e la stessa conoscenza teoretica delle sue leggi autonome si presenta semplicemente come astuzia capace di subordinarla ai bisogni umani sia come mezzo di consumo sia come mezzo di produzione.
Con il capitale la natura acquista lo statuto di semplice oggetto rispetto al quale l’uomo e’, in una relazione di pura esteriore utilita’, il soggetto-agente; come osservatore distaccato e manipolatore (dove l’esperimento e’ il mezzo principale d’indagine dell’ordine naturale).

La "scienza attiva" deve rendere l’uomo "padrone e dominatore della natura"; l’esperimento (non l’esperienza) e’ il metodo per interrogare la natura e il suo linguaggio e’ quello matematico-geometrico. Nel XVI secolo il "Cosmo" (l’idea di una struttura del mondo finita, gerarchicamente ordinata, qualitativamente e ontologicamente differenziato, viene distrutto e lo spazio qualitativo, fisico, concreto e differenziato cede il passo allo spazio astratto e omogeneo della geometria euclidea. La natura dell’essere fisico smette di essere qualitativa, vaga irriducibile alla previsione dei concetti matematici (nella natura non vi sono ne’ cerchi ne’ triangoli ne’ linee rette). Con Galileo il concetto di "qualita’" e’ dichiarato "soggettivo" (le qualita’ sensoriali delle cose esistono solo nella coscienza) e la percezione sensibile non e’ piu’ una fonte attendibile di conoscenza della natura; il suo "libro" e’ scritto in un linguaggio matematico i cui caratteri sono numeri, triangoli, cerchi e altre figure geometriche e per cui senza di questi la conoscenza e’ un aggirarsi per un "oscuro labirinto". Siamo noi uomini i veri legislatori della natura. Per i pensatori antichi cio’ che e’ veramente reale deve essere immutabile. Cio’ che cambia contiene in se’ una contraddizione poiche’ in un certo momento determinato e’ in un certo modo e in un altro momento successivo in un altro modo. Per loro cio’ che e’ contraddittorio di per se’ non puo’ esistere e siccome l’esperienza sensibile ci rivela cose che cambiano ci presenta solo delle apparenze. Solo il pensiero, la ragione, indipendentemente dall’esperienza puo’ darci informazioni sulla realta’.

La tendenza a creare il mercaro mondiale e’ data immediatamente nel concetto stesso di capitale. Ogni limite si presenta qui come un ostacolo da superare. La tendenza del capitale e’ di subordinare anzitutto ogni momento della produzione stessa allo scambio, e di sopprimere la produzione di valori d’uso immediati che non rientrano nello scambio, ossia appunto di sostituire una produzione basata sul capitale ai modi di produzione precedente e, dal suo punto di vista, primitivi. Il commercio si presenta qui non piu’ come funzione che si svolge tra le produzioni autonome per lo scambio del loro eccedente, ma come presupposto essenziale e momento della produzione che ne investe tutto l’ambito. Naturalmente ogni produzione indirizzata al valore d’uso immediato diminuisce tanto il numero di coloro che scambiano quanto la somma stessa dei valori di scambio messi in circolazione, e sopratutto la produzione di plusvalori.(…) D’altra parte la produzione di plusvalore relativo, ossia la produzione di plusvalore basata sull’aumento e sviluppo delle forze produttive, esige la produzione di nuovi consumi; esige cioe’ che il circolo del consumo nell’ambito della circolazione si allarghi allo stesso modo in cui precedentemente si allargava il circolo della produzione. In primo luogo: un ampliamento quantitativo del consumo esistente; in secondo luogo: la produzione di nuovi bisogni nediante la propagazione di quelli esistenti in una sfera piu’ ampia (consumo di massa-seriale); in terzo luogo la produzione di bisogni nuovi e la scoperta e la creazione di nuovi valori d’uso (consumo differenziato). In altri termini, essa esige questo: che il pluslavoro acquisito non rimanga un surplus meramente quantitativo, ma che al tempo stesso la sfera delle differenze qualitative del lavoro (e quindi del pluslavoro) sia costantemente ampliata, resa piu’ varia e internamente piu’ differenziata. Per es., se in seguitp ad un aumento della produttivita’ ai puo’ impiegare un capitale di 50 solamente invece che un capitale di 100 che occorreva precedentemente, in modo da liberare un capitale di 50 e il corrispondente lavoro necessario, per questo capitale e lavoro liberati occorre allora creare una nuova branca di produzione qualitativamente differente, che soddisfa produce nuovo bisogno…Quindi l’esplorazione sistematica della natura…lo sviluppo delle scienze fino ai massimi livelli cui esso puo’ giungere …la coltivazione di tutte le qualita’ dell’uomo sociale e la sua produzione per quanto e’ possibile ricco di bisogni perche’ ricco di qualita’ e di relazioni…tutto cio’ diventa una condizione della produzione basata sul capitale…La stessa pressione della classe operaia per l’aumento del salario diretto (in fabbrica) e indiretto (nella societa’) spinge il capitale allo sviluppo scientifico e tecnologico al fine di elevare la produttivita’ del lavoro sociale. Questo aumento di produttivita’ si e’ trasformato sempre nel mezzo piu’ infallibile per trasformare tutto il tempo della vita in tempo di lavoro disponibile per valorizzare il capitale; in nuove forme d’imposizione di lavoro e della forma-merce. La forza produttiva, in particolare la forza sociale degli operai stessi, non viene pagata ed e’ addirittura rivolta contro di loro.

Il capitale, come obbligo per i lavoratori di vendere come merce la propria forza-lavoro, in una dimensione sociale sempre piu’ allargata e’ come coercizione intensiva al lavoro, ad "una tensione piu’ alta della forza-lavoro", ad " un fitto riempimento dei pori del tempo di lavoro (nei limiti della giornata lavorativa accorciata) e’, dunque il reale rapporto storico della natura e della scienza con l’uomo.
Una base per la vita e un’altra per la scienza, questo e’ senz’altro una menzogna. La natura come diventa attraverso il capitale e’ la vera natura antropologica dominante. Il capitale e’ coercizione indefinita al lavoro, produzione per la produzione. La societa’ qui e’ produttiva non in quanto riproduce l’individuo, bensi’ gli individui come forza-lavoro.

Nella produzione gli uomini non hanno soltanto rapporto con la natura. Essi producono soltanto in quanto collaborano in un determinato modo e scambiano reciprocamente le proprie attivta’. Per produrre, essi entrano gli uni con gli altri in determinati rapporti e legami, e il loro rapporto con la natura, la produzione, ha luogo soltanto nel quadro di questi legami e rapporti sociali. Anche il capitale e’ un rapporto sociale di produzione la cui premessa fondamentale e’ l’esistenza di una classe che non possiede null’altro che la capacita’ di lavorare. In esso, nel rapporto di produzione capitalistico, una somma di merci, di valori di scambio, diventa e puo’ diventare capitale perche’ essa si presenta come forza sociale indipendente, cioe’ come forza di una parte della societa’sull’altra: il capitale presuppone il lavoro salariato e il lavoro salariato il capitale. Essi si condizionano a vicenda; essi si generano a vicenda. Il capitale puo’ accrescersi solo se produce lavoro salariato. Aumento del capitale e’ quindi aumento del proletariato, cioe’ delle classi lavoratrici. Cosa vuol dire accrescimento del capitale produttivo? Accrescimento del potere del lavoro accumulato sul lavoro vivente. Accrescimento del dominio della borghesia sulla classe operaia, divisione diseguale della ricchezza tra capitale e lavoro. (Il profitto aumenta nella proporzione in cui diminuisce il salario reale e viceversa. Il profitto sale nella misura in cui il salario reale diminuisce, diminuisce nella misura in cui il salario reale sale.). L’aumento della produttivita’ del capitale, delle forze produttive del lavoro sociale, si trasforma in un prolungamento, un aumento dell’imposizione di lavoro, di nuovi rami e forme di sfruttamento e in piu’ consumo di vite proletarie. Se tutta la classe dei salariati fosse distrutta dalle macchine, che cosa terribile per il capitale, il quale senza lavoro salariato cessa di essere capitale! L’unico limite capitalistico di sviluppo delle forze produttive e’ questo. Una delle condizioni principali per l’aumento del salario e’ l’incremento, un incremento il piu’ possibile rapido, del capitale produttivo. Per l’operaio che vuole trovarsi in una situazione passabile, la condizione principale e’ quindi di deprimere sempre di piu’ la sua situazione di fronte alla classe borghese, di accrescere il piu’ possibile la potenza del suo avversario, del capitale.

Ogni sviluppo di una nuova forza produttiva e’ in pari tempo un’arma contro gli operai. Per esempio tutti i miglioramenti nei mezzi di comunicazione facilitano la concorrenza tra gli operai in posti diversi e trasformano una concorrenza locale e nazionale in una mondiale. Gli operai si fanno concorrenza non solo in quanto uno si offre a un prezzo minore dell’altro, ma in quanto uno lavora per due. La merce lavoro ha grandi svantaggi rispetto ad altre merci. Per il capitalista, nella concorrenza con gli operai, ne va soltanto del profitto, per gli operai ne va dell’esistenza.
Il lavoro ha una natura piu’ deperibile delle altre merci.
Il salario che l’operaio riceve e’ il profitto che la sua macchina, l suo corpo, rende al proprietario…il salario tuttavia in generale non e’ determinato soltanto dalla massa di merci che si possono ottenere in cambio di esso: i bisogni e i godimenti sorgono dalla societa’ e quindi li misuriamo sulla base della societa’ e non sulla base dei mezzi materiali per la loro soddisfazione. Poiche’ essi sono di natura sociale, sono di natura relativa.

Un lavoratore libero ha in generale la liberta’ di cambiare padrone: e’ questa la liberta’ che distingue un lavoratore libero da uno schiavo. La condizione del lavoratore libero e’ superiore a quella dello schiavo perche’ egli si crede libero. Nel caso dello schiavo, il minimo del salario appare come una grandezza costante, indipendente dal suo lavoro. Nel caso del lavoratore libero, il valore della sua forza-lavoro e il salario medio ad esso corrispondente non appaiono in questo limite prestabilito, indipendente dal suo lavoro, determinato dai suoi bisogni puramente fisici. Per la classe questa media e’ piu’ o meno costante, come lo e’ il valore di tutte le merci; ma, per il singolo operaio, non si mLa creazione di molto tempo disponibile oltre il tempo di lavoro necessario per la societa’ in generale e per ogni membro di essa (ossia di spazio per il pieno sviluppo delle forze produttive, e quindi anche della societa’), questa creazione fi tempo di non-lavoro si presenta, al livello del capitale, come di tutti quelli precedenti, come tempo di non-lavoro, tempo libero per alcuni. Il capitale vi aggiunge il fatto che esso moltiplica il tempo di lavoro supplementare della massa con tutti i mezzi della tecnica e della scienza, perche’ la sua ricchezza e’ fatta direttamente di appropriazione di tempo di lavoro supplementare. In tal modo esso, malgre’ lui, e’ strumento di creazione della possibilita’ di tempo sociale disponibile, della riduzione del tempo di lavoro necessario per l’intera societa’ ad un minimo decrescente, si’ da rendere il tempo di tutti libero per il loro sviluppo personale. Ma la sua tendenza e’ sempre, per un verso, quella di creare tempo disponibile, per l’altro di convertirlo in plusvalore. Se la prima cosa gli riesce, ecco intervenire una sovvraproduzione, e allora il lavoro necessario viene interrotto perche’ il capitale non puo’ valorizzare alcun pluslavoro.
Quanto piu’ si sviluppa questa contraddizione, tanto piu’ viene alla luce che la crescita delle forze produttive non puo’ piu’ vincolata all’appropriazione di pluslavoro altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessa deve appropriarsi del suo pluslavoro.anifesta in una realta’ cosi’ immediata, e il suo salario puo’ oscillare al di sopra o al di sotto del minimo. Inoltre l’individualita’ dell’operaio trova spazio in cui muoversi; ne consegue una differenza di salario nelle diverse branche lavorative, sia all’interno di una stessa branca, a seconda dell’operosita’, destrezza, forza ecc. dell’operaio; differenza in parte determinata dal suo rendimento personale. L’ammontare del suo salario appare quindi alternativamente come risultato del suo lavoro e come risultato delle qualita’ individuali di esso…Nello schiavo, una forza o un’abilita’ particolari possono aumentare il valore d’acquisto della sua persona, ma cio’ non lo riguarda. Non cosi’ nel caso del lavoratore libero, che e’ proprietario della sua capacita’ lavorativa. Infatti il maggior valore di questa capacita’ lavorativa dev’essergli pagato, e si traduce in un salario piu’ alto. Regnano quindi notevoli differenze salariali a seconda che il lavoro particolare esiga o meno una capacita’ lavorativa sviluppata, richiedente maggiori costi di produzione; percio’, da una parte, le differenze individuali hanno piu’ gioco, dall’altra l’operaio e’ spinto a sviluppare la concetto dell’eguaglianza umana possegga gia’ la solidita’ di un pregiudizio popolarepropria forza-lavoro personale. Pur restando ferma che la massa del lavoro deve consistere di capacita’ lavorativa piu’ o meno non-specializzata, e quindi anche la massa del salario basarsi sul valore del lavoro semplice, i singoli individui hanno percio’ la possibilita’, grazie ad una particolare energia, abilita’ ecc., di elevarsi in sfere di lavoro piu’ alte, mentre sussiste l’astratta possibilita’ che questo o quell’operaio diventi egli stesso capitalista e sfruttatore di lavoro altrui. Lo schiavo appartiene ad un dato padrone, mentre l’operaio deve si’ vendersi al capitale, ma non a un dato capitalista; quindi puo’, entro certi limiti, scegliere a chi vendersi, e cambiare padrone. Tutte queste condizioni rendono l’attivita’ del lavoratore libero piu’ intensa, continua, mobile e capace di quella dello schiavo, per non parlare del fatto che gli permettono un’azione storica ben diversa.

Lo schiavo riceve i mezzi di sussistenza necessari al suo mantenimento in una forma naturale, fissata sia come genre che come quantita’ – dunque in valori d’usoo. Il lavoratore libero li riceve in forma di denaro, di valore di scambio, forma sociale astratta della ricchezza…per l’operaio nella sua rappresentazione, il fine e il risultato del suo lavoro resta la ricchezza astratta, il valore di scambio, non un certo valore d’uso tradizionalmente o localmente circoscritto. E’ il lavoratore stesso che converte il denaro in un valore d’uso qualsivoglia, e’ lui che con esso acquista una qualunque merce; come possessore di denaro, come acquirente di merci, egli sta nei confronti dei venditori di merci nello stesso rapporto che tutti gli altri acquirenti. Certo, le sue condizioni di esistenza – oltre alla grandezza di valore del denaro che eglli ha guadagnato – lo costringono a risolvere il salario in un numero relativamente limitato di mezzi di sussistenza; sono tuttavia possibili alcune variazioni – per esempio, nei mezzi di sussistenza dell’operaio urbano inglese rientrano i giornali. Egli puo’ risparmiare qualcosa, tesaurizzare. Puo’ anche sperperare il salatio in acquavite ecc. Ma lo fa come come agente libero che deve mantenere se stess; e’ personalmente responsabile del modo in cui spende la sua mercede. Impara a dominarsi in contrasto con lo schiavo che ha bisogno di un padrone. Cio’ vale, tuttavia, solo se si considera la trasformazione del servo della gleba o dello schiavo in salariato libero. Qui il rapporto capitalistico appare come un gradino piu’ alto della scala sociale. Il contrario avviene la’ dove e’ il contadino o l’artigiano indipendente ad essere trasformato in salariato. (…) per il salariato, il solo fine del lavoro e’ il salario, un po’ di denaro, un certo ammontare di valore di scambio in cui ogni particolarita’ del valore d’uso e’ scomparsa, egli e’ del tutto indifferente nei riguardi del contenuto del suo lavoro e quindi del genere particolare della sua attivita’, mentre nel sistema delle corporazioni o delle caste questa era attivita’ professionale, mestiere, e per lo schiavo, come per la bestia da soma, era un genere di attivita’ determinato, imposto e tradizionale: l’estrinsecazione della sua capacita’ lavorativa.
Nei limiti in cui la divisione del lavoro non ne ha reso completamente unilaterale la capacita’ lavorativa, il lavoratore libero e’ invece per principio accessibile e pronto a qualunque variazione della propria forza-lavoro e della propria attivita’ da cui egli si riprometta un salario migliore…

Affinche’ il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacita’ di lavoro, della propria persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di denaro e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per essere l’uno compratore, l’altro venditore, persone dunque giuridicamente uguali. La continuazione di questo rapporto esige che il proprietario della forza-lavoro la venda sempre e solo per un tempo determinato; poiche’ se la vende in blocco, una volta per tutte, vende se stesso, si trasforma da libero in schiavo, da possessore di merce in merce. Il proprietario di forza-lavoro, quale persona, deve riferirsi costantemente alla propria forza-lavoro come a sua proprieta’, quindi come a sua propria merce…Affinche’ il possessore di denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce e’ necessario che il possessore di questa non abbia la possibilita’ di vendere merci, nelle quali sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi, sia costretto a mettere in vendita come merce la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeita’ vivente. Perche’ qualcuno venda merci distinte dalla propria forza-lavoro, deve, com’e’ ovvio, possedere mezzi di produzione e ha bisogno di mezzi di sussistenza. Nessuno, neppure un musicista avvenirista, puo’ campare dei prodotti avvenire, quindi neppure di valori d’uso la cui produzione e’ ancora incompleta…

La forza-lavoro ha un valore come tutte le altre merci. Esso e’ determinato dal tempo di lavoro necessario alla sua produzione e riproduzione; in quanto valore anche la forza-lavoro rappresenta soltanto una determinata quantita’ di lavoro sociale medio oggettivato in essa. La forza-lavoro esiste soltanto come attitudine naturale dell’individuo vivente. Quindi la produzione di essa presuppone l’esistenza dell’individuo. Il valore della forza-lavoro e’ il valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del possessore della forza-lavoro e della sua formazione (che differisce a seconda che la forza-lavoro abbia un carattere piu’ o meno complesso). Il valore della forza-lavoro dunque si risolve nel valore di una certa somma di mezzi di sussistenza e di spese di formazione-istruzione. Una parte dei mezzi di sussistenza, p. es., cibo, mezzi di riscaldamento, ecc. sono consumati, e debbono essere sostituiti, di giorno in giorno. Altri mezzi di sussistenza, come vestiario, mobili ecc., si logorano in periodi piu’ lunghi. Le spese di formazione-istruzione della forza-lavoro sono a carico di una molteplicita’ di istituzioni (come scuole statali, private ecc.), soggetti sociali (come le donne, la famiglia, la comunita’ territoriale etc.) e infine a carico del lavoratore stesso (auto-formazione e condivisione di conoscenza laddove questa può essere condivisa senza costo o a costi adeguati ai salari- il che e’ possibile visto che la conoscenza non si consuma con l’uso).
Il valore della merce forza-lavoro e’ determinaro, come quello di ogni altra merce, prima che essa entri in circolazione poiche’ per produrla si spende una determinata quantita’ di lavoro sociale mentre il suo valore d’uso consiste soltanto nella sua successiva estrinsecazione della sua forza mediante alienazione. E’ un sentimentalismo a buon mercato il trovare brutale questa determinazione del valore della forza-lavoro, la quale deriva dalla natura stessa della cosa. I costi di produzione dell’operaio, sono i costi necessari per conservare l’operaio come operaio e per formarlo come operaio. Quanto meno tempo si richiede per apprendere un lavoro, tanto minori sono i costi di produzione dell’operaio, tanto piu’ basso e’ il prezzo del suo lavoro, il suo salario. Nei rami industriali dove non si richiede alcun apprendistato e basta la semplice esistenza fisica dell’operaio, i costi di produzione richiesti per la sua formazione si riducono quasi esclusivamente alle merci necessarie per mantenerlo in vita.
Bisogna inoltre aggiungereChe : Nessuno potrebbe fare quel che fa senza la sinergia della società in cui è immerso, e senza gli effetti della storia precedente accumulatisi nei suoi gesti e nella sua mente. Tacitamente, questi effetti sono trattati dall’economia politica classica come «doni gratuiti della storia», ma hanno dei risultati molto tangibili, che sono constatabili, per esempio, quando si confronta la produttività industriale tra diverse popolazioni…Comunque, la forza-lavoro non e’ uguale al lavoro vivo che essa puo’ fare, uguale cioe’alla quantita’ o qualita’ del lavoro che essa puo’ eseguire – giacche’ questo e’ il suo valore d’uso. Essa e’ uguale alla quantita’ di lavoro sociale mediante la quale essa deve essere prodotta e riprodotta.
Il capitalista non paga affatto il lavoro, ma soltanto la forza-lavoro. Esso non scambia direttamente capitale con lavoro o tempo di lavoro; bensi’ un tempo definitivamente elaborato contenuto in merci, con un tempo elaborato contenuto nella forza-lavoro viva. Il tempo di lavoro vivo, che egli riceve nello scambio, non e’ il valore di scambio, bensi’ il valore d’uso della forza-lavoro. Cosi’ come una macchina non viene scambiata, come causa di effetti, ma come effetto essa stessa; non per il suo valore d’uso nel processo di produzione, ma come prodotto – come determinata quantita’ di lavoro oggettivato.

 

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