Noi coi nostri pastori alla testa, ci trovammo sempre una sola volta in compagnia della liberta’, nel giorno della sua sepoltura…


Noi coi nostri pastori alla testa, ci trovammo sempre una sola volta in compagnia della liberta’, nel giorno della sua sepoltura…io non voto

(…)noi spieghiamo la soggezione religiosa dei liberi cittadini con la loro soggezione terrena. (…) Noi non trasformiamo le questioni terrene in questioni teologiche. Trasformiamo le questioni teologiche in questioni terrene. Dopo che per lungo tempo la storia è stata risolta in superstizione, noi risolviamo la superstizione in storia. La questione del rapporto tra l’emancipazione politica e la religione, diviene per noi la questione del rapporto tra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana.(…)

L’emancipazione politica dalla religione non è emancipazione compiuta, senza contraddizioni, dalla religione, perché l’emancipazione politica non è il modo compiuto, senza contraddizioni, dell’emancipazione umana. Il limite dell’emancipazione politica appare immediatamente nel fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che l’uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può essere un libero Stato senza che l’uomo sia un uomo libero.(…)Lo Stato può dunque essersi emancipato dalla religione anche se la stragrande maggioranza e ancora religiosa. E la stragrande maggioranza non cessa di essere religiosa per il fatto di essere religiosa privatim.(…)

Ma il comportamento dello Stato verso la religione, e particolarmente dello Stato libero, non è tuttavia altro che il comportamento degli uomini che formano lo Stato, verso la religione. Ne consegue che l’uomo per mezzo dello Stato, politicamente, si libera di un limite, innalzandosi oltre tale limite, in contrasto con se stesso, in un modo astratto e limitato, in un modo parziale. Ne consegue inoltre che l’uomo, liberandosi politicamente, si libera per via indiretta, attraverso un mezzo, anche se un mezzo necessario. Ne consegue infine che l’uomo, anche se con la mediazione dello Stato si proclama ateo, cioè se proclama ateo lo Stato, rimane ancor sempre implicato religiosamente, appunto perchè riconosce se stesso solo per via indiretta, solo attraverso un mezzo. La religione è appunto il riconoscersi dell’uomo per via indiretta. Attraverso un mediatore. Lo Stato è il mediatore tra l’uomo e la libertà dell’uomo. Come Cristo è il mediatore che l’uomo carica di tutta la sua divinità, di tutto il suo pregiudizio religioso, cosi lo Stato è il mediatore nel quale egli trasferisce tutta la sua mondanità, tutta la sua spregiudicatezza umana.

L’elevazione politica dell’uomo al di sopra della religione partecipa di tutti i difetti e i pregi dell’elevazione politica in generale. Lo Stato in quanto Stato annulla, ad es., la proprietà privata, l’uomo dichiara soppressa politicamente la proprietà privata non appena esso abolisce il censo per l’eleggibilità attiva e passiva, come è avvenuto in molti Stati nordamericani.

Tuttavia, con l’annullamento politico della proprietà privata non solo non viene soppressa la proprietà privata, ma essa viene addirittura presupposta. Lo Stato sopprime nel suo modo le differenze di nascita, di condizione, di educazione, di occupazione, dichiarando che nascita, condizione, educazione, occupazione non sono differenze politiche, proclamando ciascun membro del popolo partecipe in egual misura della sovranità popolare, senza riguardo a tali differenze, trattando tutti gli elementi della vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato. Nondimeno lo Stato lascia che la proprietà privata, l’educazione, l’occupazione operino nel loro modo, cioè come proprietà privata, come educazione, come occupazione, e facciano valere la loro particolare essenza. Ben lungi dal sopprimere queste differenze di fatto, lo Stato esiste piuttosto soltanto in quanto le presuppone, sente se stesso come Stato politico, e fa valere la propria universalità solo in opposizione con questi suoi elementi.(…)

Lo Stato politico perfetto è per sua essenza la vita dell’uomo come specie, in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera dello Stato, nella società civile, ma come caratteristiche della società civile. Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l’uomo conduce non soltanto nel pensiero, nella coscienza, bensì nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si afferma come comunità, e la vita nella società civile nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzo, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee. Lo Stato politico si comporta nei confronti della società civile in modo altrettanto spiritualistico come il cielo nei confronti della terra. Rispetto ad essa si trova nel medesimo contrasto, e la vince nel medesimo modo in cui la religione vince la limitatezza del mondo profano, cioè dovendo insieme riconoscerla, restaurarla e lasciarsi da essa dominare. Nella sua realtà più immediata, nella società civile; l’uomo è un essere profano. Qui, dove per sé e per gli altri vale come individuo reale, egli è un fenomeno non vero. Viceversa, nello Stato, dove l’uomo vale come specie, egli è il membro immaginario di una sovranità fantastica, è spogliato della sua reale vita individuale e riempito di una universalità irreale.

Il conflitto nel quale si trova l’uomo come seguace di una religione particolare, con se stesso in quanto cittadino, con gli altri uomini in quanto membri della comunità, si riduce alla scissione mondana tra lo Stato politico e la società civile. Per l’uomo in quanto bourgeois, "la vita nello Stato è soltanto apparenza o una momentanea eccezione contro l’essenza e la regola". Certamente il bourgeois, come l’ebreo, rimane nella vita solo sofisticamente, così come solo sofisticamente il citoyen rimane ebreo o bourgeois; ma tale sofistica non è personale. Essa è la sofistica dello Stato politico stesso. La differenza tra l’uomo religioso e il cittadino è la differenza tra il commerciante e il cittadino, tra il salariato giornaliero e il cittadino, tra il proprietario fondiario e il cittadino, tra l’individuo vivente e il cittadino. La contraddizione nella quale si trova l’uomo religioso con l’uomo politico, è la medesima contraddizione nella quale si trova il bourgeois con il citoyen, nella quale si trova il membro della società civile con il suo travestimento politico.

‘emancipazione politica è certamente un grande passo in avanti, non è però la forma ultima dell’emancipazione umana in generale, ma è l’ultima forma dell’emancipazione umana entro l’ordine mondiale attuale. S’intende: noi parliamo qui di reale, di pratica emancipazione.

L’uomo si emancipa politicamente dalla religione confinandola dal diritto pubblico al diritto privato. Essa non è più lo spirito dello Stato, dove l’uomo -anche se in modo limitato, sotto forma particolare e in una particolare sfera- si comporta come specie, in comunità con altri uomini; essa è divenuta lo spirito della società civile, della sfera dell’egoismo, del bellum omnium contra omnes. Essa non è più l’essenza della comunità, ma l’essenza della distinzione. Essa è divenuta l’espressione della separazione dell’uomo dalla sua comunità, da sé e dagli altri uomini, ciò ch’essa era originariamente. Essa è ancora soltanto il riconoscimento astratto dell’assurdità particolare, del capriccio privato, dell’arbitrio. L’infinito frazionamento della religione nell’America del Nord, ad es., già esternamente le conferisce la forma di una faccenda puramente individuale. Essa è stata relegata nel novero degli interessi privati, e in quanto ente comune esiliata dalla comunità. Ma non ci si inganni circa i limiti della emancipazione politica. La scissione dell’uomo nell’uomo pubblico e nell’uomo privato, il trasferimento della religione dallo Stato alla società civile, non sono un gradino, sono il compimento dell’emancipazione politica, che pertanto sopprime la religiosità reale dell’uomo tanto poco quanto poco tende a sopprimerla.(…)

La scomposizione dell’uomo nell’ebreo e nel cittadino, nel protestante e nel cittadino, nell’uomo religioso e nel cittadino, questa scomposizione non è una menzogna contro la qualità di cittadino, non è un modo di eludere l’emancipazione politica, essa è l’emancipazione politica stessa, è il modo politico di emanciparsi dalla religione. Certamente: in epoche in cui lo Stato politico in quanto Stato politico viene generato con violenza dalla società civile, in cui l’auto-liberazione umana tende a compiersi sotto la forma dell’auto-liberazione politica, lo Stato può e deve procedere fino alla soppressione della religione, fino all’annientamento della religione, ma solo così come procede alla soppressione della proprietà privata, al massimo, con la confisca, con l’imposta progressiva, come procede alla soppressione della vita con la ghigliottina. Nei momenti del suo particolare sentimento di sé, la vita politica cerca di soffocare il suo presupposto, la società civile e i suoi elementi, e di costituirsi come la reale e non contraddittoria vita dell’uomo come specie. Essa può questo, nondimeno, solo attraverso una violenta contraddizione con le sue proprie condizioni di vita, solo dichiarando permanente la rivoluzione, e il dramma politico finisce perciò altrettanto necessariamente con la restaurazione della religione, della proprietà privata, di tutti gli elementi della società civile, così come la guerra finisce con la pace.(…)

I membri dello Stato politico sono religiosi attraverso il dualismo tra la vita individuale e la vita della specie, tra la vita della società civile e la vita politica, religiosi in quanto l’uomo si comporta verso la vita statale posta al di là della sua vera individualità come verso la sua vita vera, religiosi nella misura in cui la religione è qui lo spirito della società civile, l’espressione della separazione e dell’allontanamento dell’uomo dall’uomo. La democrazia politica è cristiana perché in essa l’uomo, non soltanto un uomo ma ogni uomo, vale come essere sovrano, come essere supremo; si tratta però dell’uomo nella sua forma fenomenica non educata, non sociale, l’uomo nella sua esistenza casuale, l’uomo come vive e cammina, l’uomo guastato qual è da tutta l’organizzazione della nostra società, perduto, fatto estraneo a se stesso, posto sotto il dominio di rapporti ed elementi disumani, in una parola, l’uomo che non è ancora un reale essere della sua specie. La finzione della fantasia, il sogno, il postulato del cristianesimo, la sovranità dell’uomo, ma in quanto ente estraneo, differente dall’uomo reale, nella democrazia è realtà sensibile, presenza, massima mondana.(…)

l’emancipazione politica stessa non è l’emancipazione umana.(…)

La costituzione dello Stato politico e la dissoluzione della società civile negli individui indipendenti -il cui rapporto è il diritto, così come il rapporto degli uomini degli stati e delle arti era il privilegio- si adempie in un medesimo atto. L’uomo in quanto membro della società civile, l’uomo non politico, appare perciò necessariamente come l’uomo naturale. (…)

La rivoluzione politica dissolve la vita civile nelle sue parti costitutive, senza rivoluzionare queste parti stesse né sottoporle a critica. Essa si comporta verso la società civile, verso il mondo dei bisogni, del lavoro, degli interessi privati, del diritto privato, come verso il fondamento della propria esistenza, come verso un presupposto non altrimenti fondato, perciò, come verso la sua base naturale. Infine l’uomo, in quanto è membro della società civile, vale come uomo vero e proprio, come l’homme distinto dal citoyen, poiché egli è l’uomo nella sua immediata esistenza sensibile individuale, mentre l’uomo politico è soltanto l’uomo astratto, artificiale, l’uomo come persona allegorica, morale. L’uomo reale è riconosciuto solo nella figura dell’individuo egoista, l’uomo vero solo nella figura del citoyen astratto.(…)

Ogni emancipazione è un ricondurre il mondo umano, i rapporti umani all’uomo stesso.

L’emancipazione politica è la riduzione dell’uomo, da un lato, a membro della società civile, all’individuo egoista indipendente, dall’altro, al cittadino, alla persona morale.

Solo quando l’uomo reale, individuale riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali è divenuto membro della specie umana, soltanto quando l’uomo ha riconosciuto e organizzato le sue "forces propres" come forze sociali, e perciò non separa più da sè la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l’emancipazione umana è compiuta.(…)

Il denaro è il geloso Dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro Dio può esistere. Il denaro avvilisce tutti gli Dei dell’uomo e li trasforma in una merce. Il denaro é il valore universale: per sé costituito, di tutte le cose. Esso ha perciò spogliato il mondo intero, il mondo dell’uomo come la natura, del valore loro proprio. Il denaro è l’essenza, fatta estranea all’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l’adora.(…)

Bisogna descrivere la reciproca, sorda pressione di tutte le sfere sociali l’una sull’altra, il generale inerte disaccordo, la limitatezza che altrettanto si riconosce quanto si misconosce, il tutto racchiuso nella cornice di un sistema di governo che, vivendo della conservazione di ogni meschinità, non è esso stesso altro se non la meschinità al governo.

Quale spettacolo! Una società divisa all’infinito nelle razze più svariate, le quali si contrastano con piccole antipatie, cattiva coscienza e brutale mediocrità, e che appunto per la reciproca posizione ambigua e sospetta chiedono di essere trattate tutte senza distinzione, se pur con differenti formalità, dai loro signori come esistenze consentite. E lo stesso fatto di essere dominate, governate, possedute, esse devono riconoscerlo e professarlo come una concessione dal cielo! Dall’altra parte stanno quegli stessi signori, la cui grandezza sta in rapporto inverso al loro numero!(…)

L’arme della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale dev’essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse. La teoria è capace di impadronirsi delle masse non appena dimostra ad hominem, ed essa dimostra ad hominem, non appena diviene radicale, Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso.(…)

Dov’è dunque la possibilità positiva della emancipazione umana?

Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile la quale non sia una classe della società civile, di uno stato che sia la dissoluzione di tutti gli stati, di una sfera che per i suoi dolori universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitato non una ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro, la quale può fare appello non più ad un titolo storico ma al titolo umano, che non si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico, di una sfera, infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere della società e con ciò stesso emancipare tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, è la perdita completa dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa soltanto attraverso il completo riacquisto dell’uomo. Questa dissoluzione della società in quanto stato particolare è il proletariato.(…)

                 Karl Marx

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