capitale finanziario, individui contingenti; c’e aria di crisi

I signori della finanza, insieme a quei quattro imprenditori che sono
riusciti a sedersi nei consigli d'amministrazione delle banche
d'affari, hanno le redini del comando in questo paese. Hanno voglia  i
critici-critici di ieri e di oggi a sproloquiare cogli
operai-imprenditori che fanno di se stessi  i loro salariati e che
hanno tanti-tanti mezzi di poduzione virtuali…e infinite idee geniali
e poi ancora, hai voglia a chiacchierare, molto raffinatamente oltre
che di "autoimpiegantisi" sul nord-nord-est e le piccole imprese e i
distretti industriali ecc. ecc. Le piccole e micro e auto-imprese senza
capitale finanziario non se ne fanno nulla delle loro
idee-molto-innovative. Senza credito o il credito a tassi d'usura la
via giusta si puo' prendere solo al rovescio, verso il fallimento.. Poi
spero che i tanti superspecialisti ci verranno a spiegare come fanno le
piccole -medie-imprese e i geniali autoimpiegati ad accedere al mercato
finanziario. Certo si puo' sempre adottare la ricetta della Lega:
incassiamo il federalismo e dreniamo soldi pubblici alle piccole e
medie imprese che non hanno accesso al mercato finanziario…Nulla di
male; per par condicio, al sud coi soldi, debitamente ripuliti, della
'ndrangheta si puo' fare di meglio…(35-40-55 miliardi di euro?
escluso quelli gia' in circolazione nel mercato pulito).
Altro che
antipolitica! Piccole unita' produttive in crisi senza potere
contrattuale con le banche; vincoli finanziari internazionali e
precarieta' senza rete:
c'e spazio per tutto e tutti!: neopopulisti,
conservatori, tradizionalisti, neofascisti, servizi segreti, strategie
di qualsiasi tensione si voglia, partiti dell'ordine, nostalgici,
neomistici e stati di polizia continuata…

Telecom Italia passa a un "consorzio" messo in piedi da Intesa
Sanpaolo, Mediobanca, Generali e Telefonica partner
industriale.(…)Capitalia viene incorporata in Unicredit, le due
banche messe insieme controllano il 18% di Mediobanca che detiene
il 15% delle Generali(unico gruppo finanziario italiano di dimensioni e
peso internazionali). Condizione della "fusione" e' che il 9,3% di
Mediobanca detenuto da Unicredit venga ceduto.
Intesa-Sanpaolo(Giovanni Bazoli) e
Unicredit-Capitalia(Profumo-Geronzi)insieme controlleranno quasi la
metà del credito in Italia.(…)Unicredit group (unicredit
+capitalia) e' la seconda banca europea e la sesta nella graduatoria
mondiale(100 miliardi di euro).
Intesa-Sanpaolo:Giovanni Bazoli-Prodi
Unicredit-Capitalia:Profumo-Montezemolo-Della Valle-DS-D'Alema-Veltroni
Mediolanum-Fininvest:Berlusconi(…)Geronzi-capitalia ora presidente
Mediobanca apre a Berlusconi-come socio nel gruppo di comando di
Mediobanca…4% Mediolanum +2%Fininvest-:ma la quota del 9,3% che
Unicredit si è impegnata a cedere dopo la fusione con Capitalia,
non puo' essere acquistata da soggetti partecipati da Mediobanca, come
è Mediolanum.(…)Mediobanca è il primo azionista con il
14,2 per cento contro il 5 per cento circa di Banca Intesa(Bazoli) del
"Corriere della Sera"(…)

Nella forma del capitale azionario il capitalista, il capitalista
realmente operante si trasforma in semplice dirigente, amministratore
di capitale altrui. Si puo' dire che cominci qui il processo di
completa autonomizzazione del capitale.
Nella societa' per azioni la funzione e' separata dalla proprieta' del
capitale, e per conseguenza anche il lavoro e' completamente separato
dalla proprieta' dei mezzi di produzione e dal plusvalore.
Il capitale si estrania-autonomizza rispetto ai produttori effettivi
 e si presenta come una immane accumulazione di comando sul
lavoro. Con lo sviluppo del capitale produttivo d'interesse come
formazione sociale dominante, la mistificazione insita nei rapporti
capitalistici di produzione sembra essere portata al suo piu' alto
grado.  Nel capitale produttivo d'interesse D-D'  scompare
ogni traccia di rapporto sociale nel movimento capitalistico.
Sembra che il modo capitalistico di produzione riesca in tal modo a
nascondere completamente la sua radice e il suo movimento reale.
Il capitale diventa un'entita' assai mistica. Il carattere estraniato
del capitale, il suo contrapporsi al lavoro, viene trasferito al di
fuori dell'effettivo processo di sfruttamento, precisamente nel
capitale produttivo d'interesse, allora questo processo di produzione
appare come un semplice processo lavorativo, dove il capitalista
operante compie semplicemente un lavoro diverso dall'operaio. Cosi' che
il lavoro consistente nello sfruttare ed il lavoro sfruttato sono
entrambi identici in quanto lavoro. Il lavoro consistente nello
sfruttare e' lavoro allo stesso modo del lavoro sfruttato. L'interesse
diviene la forma sociale del capitale, ma espresso in una forma
neutrale e indifferente; il guadagno d'imprenditore diviene la funzione
economica del capitale, ma spogliato dal carattere determinato
capitalistico di questa funzione.

 In tal modo, il carattere sociale specifico del capitale e'
fissato nella figura della proprieta' del capitale, che contiene in se'
la capacita' di comandare sul lavoro altrui e da il suo frutto nella
forma dell'interesse; di conseguenza, la parte di plusvalore che spetta
al capitalista operante, all'imprenditore, appare necessariamente
derivare non dal capitale in quanto capitale, ma dal processo di
produzione, separato dal suo specifico carattere sociale, che ha gia'
ricevuto nell'espressione <interesse di capitale> la sua
particolare forma di esistenza.
 Ma, separato dal capitale, il processo di produzione e' processo
lavorativo in generale. Il capitalista industriale distinto dal
proprietario di capitale, non appare quindi come capitalista operante,
ma come un funzionario, astratto persino dal capitale, come veicolo del
processo lavorativo in generale, come lavoratore e precisamente come
lavoratore salariato. Il rapporto tra capitale e lavoro e' cosi'
completamente dimenticato.
Con il massimo sviluppo delle societa' per azioni, il capitale
monetario assume un carattere sociale, si concentra nelle banche e da
queste, non piu' dai suoi proprietari immediati, viene dato a prestito
e a questo livello le funzioni effettive che competono al capitalista
operante sono esercitate da un "funzionario".

La massima socializzazione del capitale e'  nella forma del
capitale finanziario che rappresenta l'autonomizzazione massima del
capitale dagli agenti della produzione e dall'intera societa'.
In generale il capitalismo ha la proprieta' di staccare il possesso del
capitale dall'impiego del medesimo nella produzione, di staccare il
capitale dall'imprenditore e da tutti coloro che partecipano
direttamente alla produzione .

La circolazione che e' la somma di tutte le relazioni di scambio dei
possessori di merci non crea nessun valore. La trasformazione del
denaro in capitale avviene quando una data quantita' viene utilizzata o
spesa in modo avente lo scopo di accrescerla; erogata in vista del suo
accrescimento. Se il capitale originario e' una somma di valore x,
questo x deve diventare e diventa capitale per essere trasformato in
x+^x, cioe' in una somma di denaro o somma di valore eguale alla somma
originaria di valore piu' un'eccedente(…) nel valore dato +
plusvalore. La produzione di plusvalore e' lo scopo determinante,
l'interesse animatore e il risultato del processo di produzione
capitalistico, cioe' grazie al quale il valore originario si trasforma
in capitale.(…) Certo x puo' trasformarsi inx+^x anche senza il
processo produttivo capitalistico, ma non nelle condizioni e nel
presupposto dati: 1) di una societa' i cui membri si fronteggiano come
persone che si stanno davanti solo come possessori di merci, e solo
come tali entrano in contatto reciproco( cosa che esclude la schiavitu'
ecc.)
e, 2) che il prodotto sociale sia prodotto come merce(il che esclude
tutte le forme in cui, per i produttori immediati, il valore d'uso e'
il fine principale, e al massimo l'eccedenza del prodotto si trasforma
in merce ecc.).

Il cambiamento di valore del denaro che si deve trasformare in capitale
non puo' avvenire nello stesso denaro, poiche' esso in quanto mezzo di
acquisto e come mezzo di pagamento, non fa' che realizzare il prezzo
della merce che compra o che paga(…)Il valore delle merci e' infatti
rappresentato nei loro prezzi prima che esse entrino nella
circolazione, quindi e' presupposto e non risultato di questa.

Per estrarre valore dal consumo di una merce, il nostro possessore di
denaro dovrebbe essere tanto fortunato da scoprire, all'interno della
sfera della circolazione, cioe' sul mercato, una merce il cui valore
d'uso stesso possedesse la peculiare qualita' d'esser fonte di valore;
tale dunque che il suo consumo reale fosse, esso stesso, oggettivazione
di lavoro, e quindi creazione di valore. E il possessore di denaro
trova questa merce sul mercato, tale merce specifica e': la capacita' di
lavoro, ossia la forza-lavoro.
(per forza-lavoro o capacita' di lavoro intendiamo l'insieme delle
attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeita',
ossia nella personalita' vivente di un uomo, e che egli mette in
movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsivoglia genere.)

Affinche il possessore di denaro incontri sul mercato la
forza-lavoro come merce debbono essere soddisfatte diverse
condizioni(…): il possessore della forza-lavoro che la vende come
merce deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della
propria capacita' di lavoro, della propria persona. Egli si incontra
sul mercato con il possessore del denaro e i due entrano in rapporto
reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per
essere l'uno compratore, l'altro venditore, persone quindi
giuridicamente eguali(…)il proprietario della forza-lavoro mediante
l'alienazione di essa, non rinuncia alla sua proprieta'; se la vendesse
in blocco, una volta per tutte, venderebbe se stesso, trasformandosi da
libero in schiavo(…)
Ovviamente se consideriamo l'intero capitale, cioe' l'insieme degli
acquirenti della forza-lavoro, da un lato, e l'insieme dei venditori di
forza-lavoro, cioe' l'insieme degli operai, dall'altro, allora
l'operaio e' costretto a vendere non una merce qualunque, ma la sua
capacita' lavorativa come merce, perche' l'insieme delle dei mezzi di
produzione, delle condizioni oggettive del lavoro, e l'insieme dei
mezzi di sussistenza, gli stanno di fronte al polo opposto come
proprieta' altrui.

Il denaro non puo' diventare capitale senza scambiarsi
preventivamente contro forza-lavoro che l'operaio vende come merce;
d'altra parte, il lavoro puo' apparire come lavoro salariato solo dal
momento in cui le sue proprie condizioni oggettive, gli stanno di
fronte come potenze autonome.

Nel processo di valorizzazione il lavoro non conta come attivita'
produttiva di un carattere utile, ma come sostanza creatrice di valore,
come lavoro sociale che si oggettiva, e in cui l'unico elemento che
interessa e' la sua quantita'.
Cosi', per il capitale, ogni singola sfera della produzione non e' che
una sfera particolare in cui egli investe denaro per ricavarne piu'
denaro, per conservare e accrescere il valore esistente o per
appropriarsi di plusvalore.

Al capitale in se' per se' e' indifferente la particolarita' di ogni
singola sfera della produzione anche se nella realta' questa mobilita'
del capitale urta contro frizioni(…) Con lo sviluppo del suo modo di
produzione specifico, il capitale elimina tutti gli ostacoli
legali ed extraeconomici alla liberta' del suo movimento nelle diverse
sfere della produzione, e in primo luogo abbatte tutte le barriere
giuridiche o tradizionali (di costume) che gli impediscono di
acquistare a piacere questa o quella specie di forza-lavoro, o di
appropriarsi come meglio crede questa o quella specie di lavoro.

Sebbene la forza-lavoro possieda in ogni sfera particolare di
produzione una sua particolare forma e quindi ogni singola sfera di
produzione esiga una forza-lavoro sviluppatasi unilateralmente, una
particolare capacita' lavorativa, la mobilita' del capitale presuppone
che esso sia indifferente rispetto al carattere peculiare del processo
lavorativo, presuppone un'analoga mobilita' o variabilita' della
forza-lavoro, cioe' nella capacita' dell'operaio di utilizzare la
propria forza-lavoro(…)
Come per il capitale, in quanto valore che si realizza, e' indifferente
la forma materiale particolare che esso riveste nel processo
lavorativo-sia esso una macchina a vapore, un mucchio di letame o di
seta-, cosi' per l'operaio(salariato)e' indifferente il contenuto
particolare del suo lavoro. Questo lavoro appartiene al capitale, non
e' che il valore d'uso della merce venduta dall'operaio stesso-e da lui
venduta al solo scopo di appropriarsi denaro e, col denaro mezzi di
sussistenza. Il cambiamento del genere di lavoro gli interessa solo in
quanto e nella misura in cui ogni genere particolare di lavoro richiede
un diverso sviluppo della capacita' lavorativa. E se la sua
indifferenza nei confronti del particolare contenuto di del lavoro non
gli permette di variare a comando la propria capacita' lavorativa, di
questa indifferenza egli da' prova spostando i propri uomini di
ricambio, la nuova generazione, da un ramo di attivita' ad un altro,
secondo gli imperativi del mercato.

Piu' la produzione capitalistica e' sviluppata , piu' si richiede
variabilita' nella forza-lavoro; piu' l'operaio e' indifferente verso
il contenuto particolare del suo lavoro, piu' fluido ed intensivo e' il
modo di spostamento del capitale da una sfera all'altra della
produzione. L'economia classica presuppone come assiomatiche la
variabilita' della forza-lavoro e la mobilita' del capitale, ma ha
ragione di farlo nella sola misura in cui questa e' la tendenza
specifica del modo di produzione capitalistico, che si afferma
spietatamente ed inesorabilmente malgrado gli ostacoli, perlopiu'
da esso stesso creati.

In nessun paese la mobilita' del capitale, la variabilita' del lavoro e
l'indifferenza dell'operaio verso il contenuto del suo lavoro, sono
piu' manifeste, che negli Stati uniti d'America(…)in nessun altro
paese l'individuo e' piu' indifferente verso il genere di lavoro
eseguito, o piu' cosciente del fatto che il suo lavoro fornisce sempre
lo stesso prodotto, cioe' denaro; in nessun altro paese l'individuo
passa attraverso le piu' disparate branche d'industria.

Nel rapporto medievale-corporativo(…)la base tecnologica e' la
bottega artigiana, in cui il maneggio piu' o meno a regola d'arte dello
strumento di lavoro e' il fattore decisivo; il lavoro e' personale e
indipendente, e percio' il suo sviluppo professionale, che richiede un
periodo di apprendistato piu' lungo o piu' breve, determina il
risultato del lavoro(…)

Il "capitale artigiano", sia per la forma materiale che per grandezza
di valore , e' un capitale vincolato, che non possiede ancora la libera
forma del capitale in senso proprio: non e' un certo quantitativo di
lavoro oggettivato, valore per eccellenza, che possa assumere o assuma
a piacere questa o quella condizione di lavoro, a seconda che, per
estorcere pluslavoro, si scambia come meglio gli aggrada contro
questa o quella forma di lavoro.

E' solo nell'ambito del suo mestiere, della sua bottega, che egli (il
maestro artigiano) puo' trasformare il denaro in capitale, cioe' usarne
non soltanto come mezzo del proprio lavoro, ma come mezzo di
sfruttamento del lavoro altrui.
Il suo capitale e' vincolato ad una certa forma di valore d'uso e
quindi non si presenta di fronte ai suoi operai come
capitale(…)L'elemento decisivo e' qui lo strumento di lavoro. Domina
come legge la limitazione della produzione entro i confini tracciati a
priori dal consumo, non entro quelli che il volume del capitale
stabilisce.
Tali limitazioni scompaiono, nel rapporto capitalistico, insieme coi
vincoli politico-sociali nel cui ambito il capitale era costretto a
muoversi e, quindi, a non apparire ancora come capitale.

La trasformazione puramente formale dell'azienda artigiana in azienda
capitalistica, in cui a tutta prima il processo tecnologico rimane
ancora lo stesso, consiste nell'abbattimento di tutte queste
limitazioni-in seguito al quale anche il rapporto di dominazione e
subordinazione si modifica. Il maestro non e' piu' capitalista in
quanto maestro; e' maestro o meglio padrone in quanto capitalista. I
limiti della sua produzione non sono piu' determinati dai limiti
del suo capitale. Il capitale(denaro) puo' scambiarsi a piacere contro
ogni genere di lavoro e percio' di condizioni di lavoro(…)

E' naturale che, in confronto all'artigiano indipendente il quale
 lavora per clienti occasionali, la continuata dell'operaio che
lavora per il capitalista aumenti, poiche' qui il lavoro non trova
limiti nel fabbisogno occasionale di singoli clienti, ma solo nel
bisogno di sfruttamento del capitale che lo impiega.

Nel rapporto medievale-corporativo il capitale era un capitale naturale e
consisteva nell'abitazione, negli strumenti del mestiere e nella
clientela naturale, ereditaria, e non essendo realizzabile, per le
relazioni ancora non sviluppate e per la mancanza di circolazione,
doveva essere trasmesso di padre in figlio. Questo capitale non era
valutabile in denaro, come quello moderno, per il quale e' indifferente
l'essere investito in questa o in quella cosa; esso era invece
direttamente legato al lavoro determinato del possessore, inseparabile
da esso, e quindi era un capitale connesso con un ordine sociale(…)
Ogni lavoratore doveva essere abile in tutto un ciclo di lavoro, doveva
saper fare tutto cio' che andava fatto con i suoi
strumenti(…)chiunque voleva essere maestro doveva essere
completamente padrone del suo mestiere. Per questo negli artigiani
medievali si trova ancora un interesse per il proprio particolare
lavoro e per l'abilita' che poteva elevarsi fino ad un certo, limitato,
senso artistico. Per questo, pero' ogni artigiano medievale era
interamente preso dal suo lavoro, aveva con esso un rapporto di
soddisfatto asservimento ed era sussunto sotto di esso assai piu' del
lavoratore moderno, per il quale il lavoro e' indifferente.

Il primo passo avanti, rispetto al capitale naturale degli ordini
sociali, fu segnato dalla comparsa dei commercianti, il cui capitale
nacque subito come capitale mobile, capitale nel senso moderno per quel
tanto che se ne puo' parlare rispetto alle condizioni di quell'epoca.
Il secondo passo avanti si ebbe con la manifattura, la quale a sua
volta, mobilizzo una massa di capitale naturale e accrebbe in genere la
massa del capitale mobile contro al capitale naturale(…)
Con la manifattura fu in pari tempo introdotto un diverso rapporto fra
lavoratore e datore di lavoro. Nelle corporazioni sussisteva il
rapporto patriarcale fra garzoni e maestro; nella manifattura subentro'
in suo luogo il rapporto di denaro fra lavoratore e capitalista.

La dissoluzione di tutti i prodotti e di tutte le attivita' in valori
di scambio  presuppone sia la dissoluzione di tutti i rigidi
rapporti di dipendenza personali(storici)nella produzione, sia
l'universale dipendenza reciproca di tutti i produttori(…)
Quanto minore e' la forza sociale posseduta dal mezzo di
scambio(denaro), quanto piu' esso e' ancora legato alla natura del
prodotto immediato del lavoro e ai bisogni immediati dei soggetti di
scambio, tanto maggiore deve essere la forza della comunita' che lega
gli individui gli uni agli altri, rapporto patriarcale, comunita'
antica, feudalesimo e corporazione(…)
Mentre lo scambio privato di tutti i prodotti del lavoro, delle
capacita' e delle attivita' e in antitesi sia con  la
distruibuzione fondata sulla sovraordinazione e subordinazione
(naturale o politica) degli individui tra loro.(…)

Se si considerano  rapporti sociali che generano un sistema
scarsamente sviluppato di scambio, di valori di scambio e denaro, o ai
quali corrisponde un grado non sviluppato degli stessi, e' chiaro sin
dal principio che gli individui, benche' i loro rapporti appaiono piu'
personali, entrano in relazioni reciproca solo in quanto individui in
una certa determinatezza, come signore feudale e vassallo, come
proprietario fondiario e servo della gleba ecc., oppure come membri di
caste ecc., o come appartenenti a un ceto ecc. Nel rapporto di denaro,
nel sistema di scambio sviluppato(e quest' apparenza seduce la
democrazia) i vincoli di dipendenza personali, le differenze di sangue
ecc., di formazione ecc., sono effettivamente saltati, lacerati ( i
vincoli personali appaiono almeno tutti come rapporti personali); gli
individui sembrano indipendenti (questa indipendenza e' una mera
illusione e piu' correttamente andrebbe chiamata equivalenza, nel senso
di indifferenza), sembrano liberamente entrare in contatto reciproco e
scambiare in questa liberta'; si presentano pero' in questa luce solo a
chi astrae dalle condizioni, dalle condizioni di esistenza (e questi
sono a loro volta indipendenti dagli individui e, pur essendo generate
dalla societa', appaiono quasi come condizioni naturali, ossia
incontrollabili agli individui) entro le quali questi individui entrano
in contatto.(…)

Di fronte all'illusione dei "rapporti di dipendenza puramente
personali" dell'epoca feudale ecc., non si deve dimenticare neppure
un'istante 1) che questi stessi rapporti assumono un carattere
materiale, come mostra lo sviluppo dei rapporti di proprieta' fondiaria
a partire dai rapporti di subordinazione puramente militari; 2)che il
rapporto materiale a cui si riducono ha esso stesso un carattere
angustamente limitato, e appare quindi come rapporto personale, mentre
nel mondo moderno i rapporti personali emergono come pura emanazione di
rapporti di produzione e scambio.

Negli stadi precedenti dello sviluppo il singolo individuo appare piu'
compiuto, appunto perche' non ha ancora elaborato la pienezza delle sue
relazioni e non se l' e' ancora poste come insieme di potenze, e di
rapporti sociali da lui indipendenti.
E' ridicolo rimpiangere quella pienezza originaria, proprio com' e'
ridicolo di dover permanere in questa sittuazione di totale
svuotamento.La concezione borghese non e' mai riuscita ad
andare oltre la contrapposizione a quella romantica, e quindi questa
l'accompagnera' come contrapposizione legittima fino alla sua fine
beata.

La
determinatezza, che nel primo caso appare come una limitazione
personale dell'individuo da parte di un altro individuo, nel secondo si
presenta come una limitazione materiale dell'individuo da parte di
rapporti da esso indipendenti e riposanti in se stessi. Poiche' il
singolo individuo non puo' spogliarsi della sua determinatezza
personale (un nobile e' pur sempre un nobile ecc.), ma puo' benissimo
superare rapporti esterni e subordinarli a se', nel secondo caso la sua
liberta' sembra maggiore. Un'analisi piu' precisa di questi rapporti
esterni; di quelle condizioni; rivela pero' l'impossibilita' degli
individui di una classe ecc. di superarli in massa senza sopprimerli.
Il singolo puo' aver casualmente ragione di essi; non puo' invece la massa di coloro che ne sono dominati(…)
Questi
rapporti esterni sono tanto poco un'abolizione dei "rapporti di
dipendenza personali" da essere anzi soltanto la dissoluzione degli
stessi in forma generale(…)
I rapporti di dipendenza materiali in
antitesi a quelli personali ( il rapporto di dipendenza materiale e'
l'insieme delle relazioni sociali che si contrappongono autonomamente
agli individui apparentemente indipendenti) si presentano in modo tale
che gli individui sono dominati da astrazioni, mentre in precedenza
dipendevano gli uni dagli altri.

Nel corso dello sviluppo
storico e' proprio attraverso l'indipendenza che acquistano i rapporti
sociali che emerge la differenza tra la vita di ciascun individuo in
quanto essa e' personale e in quanto e' sussunta sotto un qualche ramo
di lavoro e sotto le condizioni relative. Nell'ordine e ancora nella
tribu' questo fatto rimane ancora nascosto; per esempio un nobile
resta sempre un nobile; un routier sempre un routier, a prescindere da
ogni sua altra condizione: e' una qualita' inseparabile dalla sua
individualita'.

Senza dubbio i servi della gleba che fuggivano
(dalle campagne) considerarono la loro servitu' come qualcosa di
casuale per la loro personalita'. Ma con cio' facevano la stessa cosa
che fa ogni classe che si libera da un vincolo, e poi non si liberavano
come classe, ma isolatamente(…) si limitarono a formare un nuovo
ordine e conservarono il loro modo di lavoro che avevano avuto fino
allora anche nella nuova situazione, e lo perfezionarono liberandolo
dai vincoli che lo avevano impacciato fino ad allora e che non
corrispondeva piu' allo sviluppo che esso aveva raggiunto(…) i servi
della gleba fuggitivi dunque, volevano soltanto affermare e sviluppare
liberamente le loro condizioni di esistenza gia' in atto e quindi in
ultima istanza arrivarono solo al lavoro libero(…)

La
differenza tra individuo personale e individuo contingente non e' una
distinzione concettuale, ma un fatto storico. Questa distinzione ha un
senso diverso in tempi diversi, per esempio l'ordine come qualcosa di
contingente per l'individuo del sec. XVIII(…) E' una distinzione che
non dobbiamo fare noi per ciscuna epoca, ma che proprio ogni epoca fa
tra i diversi elementi che trova costituiti, e non sulla base di un
concetto, ma costretta dalle collisioni materiali della vita.(…)
Le
condizioni sotto le quali gli individui, finche' non e' apparsa la
contraddizione, hanno relazione tra loro, sono condizioni che
appartengono alla loro individualita', non qualcosa di esterno ad essi,
condizioni sotto le quali soltanto questi individui determinati,
possono produrre la loro vita materiale e cio' che vi e' connesso; esse
sono quindi le condizioni della loro manifestazione personale e da
questa sono prodotte(…)

Nella grande industria e nella
concorrenza tutte le condizioni di esistenza, le limitazioni e le
restrizioni stesse sono fuse nelle due forme piu' semplici: proprieta'
privata e lavoro. Col denaro ogni forma di relazione e le relazioni
stesse sono poste come casuali per gli individui(…) e l'unico nesso
che li lega a queste condizioni e' la loro sopravvivenza.

Poiche',
per il salariato, il solo fine del lavoro e' il salario, un certo
ammontare di valore di scambio in cui ogni particolarita' del valore
d'uso e' scomparsa, egli e' del tutto indifferente nei riguardi del
contenuto del suo lavoro, e quindi del genere particolare della propria
attivita', mentre nel sistema delle corporazioni o delle caste questa
era attivita' professionale, mestiere, e per lo schiavo, come per la
bestia da soma, era un genere di attivita' determinato, imposto e
tradizionale..
Nei limiti in cui la divisione del lavoro non ne ha
reso completamente unilaterale la capacita' lavorativa, il lavoratore
libero e' invece per principio accessibile e pronto a qualsiasi
variazione, della propria forza-lavoro e della propria attivita' da cui
egli si riprometta un salario migliore(…)
Mentre nei periodi
precedenti la manifestazione personale e la produzione della vita
materiale era ancora considerata, a causa della limitatezza degli
individui, come una specie subordinata di manifestazione personale ora
esse sono separate al punto che il lavoro non e' piu' l'unica forma
possibile, negativa, della manifestazione personale(…)

Nel
"buon tempo antico", quando "vivere e lasciar vivere" erano il motto
generale, ognuno si accontentava di una sola occupazione. Oggi tutti
sono diventati "uomini-tutto-fare" .La produzione non e' piu' vincolata
da prestabilite e predeterminate limitazioni dei bisogni. Il volume dei
cosiddetti "bisogni necessari" come pure il modo di soddisfarli e' un
prodotto della storia.

L'indifferenza verso un genere
determinato di lavoro presuppone una totalita' molto sviluppata di
generi reali di lavori e di bisogni, nessuno dei quali domini piu'
sull'insieme. L'indifferenza verso un lavoro determinato corrisponde a
una forma di societa' in cui gli individui passano con facilita' da un
lavoro ad un altro e in cui il genere determinato del lavoro e per essi
fortuito e quindi indifferente. Il lavoro qui e' diventato il mezzo
generale  per creare la ricchezza, ed esso ha cessato di concrescere
con l'individuo come sua destinazione particolare.

Dal punto di
vista del processo produttivo capitalistico e' produttivo il lavoro che
valorizza immediatamente il capitale, o che produce plusvalore, cioe'
il lavoro che si realizza in un plusvalore(…)
Il processo
lavorativo capitalistico non sopprime le caratteristiche generali del
processo lavorativo. Esso produce prodotto e merce. In questi limiti
resta produttivo il lavoro che si oggettiva in merci come unita di
valore d'uso e valore di scambio. Ma il processo lavorativo e' soltanto
un mezzo per il processo di valorizzazione del capitale: Produttivo e'
l'operaio che eseguisce un lavoro produttivo; ma produttivo e' il
lavoro che genera immediatamente plusvalore, cioe' che valorizza il
capitale.

Ogni lavoratore produttivo e' un salariato, ma non per
questo ogni salariato e' un lavoratore produttivo. Uno stesso lavoro
(per esempio, quello del giardiniere, del sarto ecc.) puo' essere
eseguito da un medesimo operaio per conto di un capitalista industriale
o di un consumatore immediato. In entrambi i casi quell'operaio e' un
lavoratore salariato o un giornaliero; ma, nel primo caso e' un
lavoratore produttivo e nel secondo un lavoratore improduttivo, poiche'
in quello produce capitale e in questo no(…)Per la definizione del
lavoro produttivo il contenuto del lavoro e' del tutto indifferente.

Nel
caso della produzione non-materiale i limiti della sua sottomisione al
processo di valorizzazione vengono superati tecnologicamente. Il
prodotto non e' piu' come in passato, inseparabile dall'atto di
produrre(artisti, attori, isegnanti, medici, preti ecc.). Ora questa
produzione non-materiale ha per risultato merci che hanno un'esistenza
indipendente dal produttore; cioe', che nell'intervallo fra produzione
e consumo, possono circolare come merci-libri, quadri, oggetti d'arte
ecc.-in quanto distinti dalla prestazione artistica di chi li scrive,
dipinge o crea.
Cose che un tempo apparivano trascurabili e
insignificanti a fronte dell'insieme della produzione capitalistica
tendono ad acquistare sempre piu' un nuova importanza.
Una prima
donna che canti come un uccello e' una lavoratrice improduttiva; nella
misura in cui vende per denaro il suo canto, si trasforma in salariato
o in trafficante di merci. Ma la stessa cantante che un impresario
ingaggia perche' lei canti e lui ci guadagni sopra, e' una lavoratrice
produttiva, perche' produce direttamente capitale(…)

Il valore
d'uso non deve essere mai considerato come fine immediato del
capitalista , e neppure il singolo guadagno: ma soltanto il moto
incessante del guadagnare. Quindi il denaro costituisce il punto di
partenza e il punto conclusivo di ogni processo di valorizzazione. Il
prodotto specifico del processo di produzione capitalistico- e' creato
solo mediante lo scambio con lavoro produttivo, ma il capitale tende a
superare  le sue condizioni come limiti che esso stesso pone…

Liberamente da:
-Il capitale-Capitolo VI inedito
-Il capitale I
-Grundrisse voll.I-II
-L'ideologia tedesca
di K.Marx
-Plusvalore e pianificazione
di R.Panzieri

App.
<-Il capitale finanziario internazionale è il reale regolatore delle politiche economiche e delle politiche nazionali.

-La
globalizzazione è abbastanza tollerante in termini politici. Al
capitale finanziario
non interessa il simbolo politico-ideologico che riveste il governo di
una nazione. Quello che gli interessa è che questo governo non si
opponga al modello economico. Di conseguenza, le porte del potere
politico
cominciano ad aprirsi in tutto il mondo a tutte le posizioni politiche
come effetto della globalizzazione. Il potere economico – il potere per
eccellenza – concede ora che il potere politico sia giocato da più
forze, incluso quelle che prima vedevano vietato questo terreno.

-l'assolutismo del capitale finanziario
non migliora la distribuzione della ricchezza né procura maggior lavoro
alla società. Povertà, disoccupazione e precarietà del lavoro sono sue
conseguenze strutturali
-I falsi capi, i malgoverni, sono idioti che adorano gli anelli della
catena che li soggioga. Ogni volta che un governo riceve un prestito
dal capitale finanziario internazionale, lo mostra come un trionfo, il
pubblicizza su giornali, riviste, radio e televisione. I nostri attuali
governi sono gli unici, in tutta la storia, che festeggiano la loro
schiavitú, la ringraziano e la benedicono. E si dice che è democrazia
il fatto che il Comando della distruzione sia a disposizione di partiti
politici e caudillos.
«Democrazia elettorale» è come i prepotenti chiamano la lotta per
entrare nell’affare di vendere la dignità e portare avanti la
catastrofe mondiale. Là in alto, nei governi, non c’è speranza alcuna.
Né per i nostri popoli indios, né per i lavoratori della campagna e
della città, né per la natura. E per accompagnare questa guerra contro
l’umanità, si è costruita una gigantesca bugia.

Ci si dice, ci ripetono, ci insegnano, ci impongono, che il mondo
ha percorso la sua storia per arrivare a dove comandasse il denaro,
quelli in alto vincessero e noi, il colore che siamo della terra,
perdessimo. La monarchia del denaro si presenta, così, come il culmine
dei tempi, il fine della storia, la realizzazione dell’umanità.
 Subcomandante Insurgente Marcos
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