autonomia immaginante-1

a) il vivente-il per se’ archetipico

"Essere per se’" significa essere fine di se stesso:  "che cio’ si manifesti come per se’ del singolo essere vivente particolare -pulsione di conservazione- o come per se’ della specie -pulsione di riproduzione- importa poco: in ogni caso c’e autofinalita’. L’autofinalita’ e’ sempre accompagnata dall’insorgenza di un mondo proprio."

Che significa "mondo proprio"? Che necessariamente ogni volta (almeno dal livello della cellula in poi) c’e presentazione, rappresentazione e messa in relazione di quel che e’ rappresentato:
<<C’e>> qualcosa <<all’esterno>>, c’e X. Ma X non e’ informazione. X informa soltanto del fatto che <<c’e>>.
E’ semplice urto…Appena se ne dice di piu’, si fanno entrare in gioco determinazioni <<soggettive>>. Anche la determinazione limite (vuota) <<c’e>> non si sottrae alla domanda: c’e per chi?
La natura in se’ non ha <<informazioni>> che attendono di essere raccolte. X diventa qualcosa solo in quanto viene formato (in-formato) dal per se’: cellula, sistema immunitario, cane, essere umano, e cosi’ via.. L’informazione e’ creata da un << soggetto>> e, con tutta evidenza, a suo modo.

L’informazione cosi’ creata non puo’ mai essere <<puntuale>>: gli <<elementi>> o i bits di informazione sono delle astrazioni del teorico. (<<astratto>> e’ cio’ che e’ isolato, il singolo momento individuato nello spazio e nel tempo in antitesi al "tutto", a cio’ che e’ cresciuto insieme). Un’informazione effettiva e’ sempre una <<presentazione>>- sempre una <<messa in immagine>> e un’immagine non puo’ mai essere un atomo, ma sempre gia’ anche una <<messa in relazione>>:
cioe’ comporta indissolubilmente un numero indeterminato di <<elementi>> e il loro modo di <<coappartenenza>>.
Possiamo chiamare questa funzione del vivente funzione cognitiva a condizione di capire che unisce indissolubilmente le due dimensioni: <<il rappresentare con immagine>> e <<il legare insieme>>: la <<messa in scena>> che contiene gia’ il senso e la <<messa in senso>> non puo’ fare a meno di una <<presentificazione>> di tale senso, la quale esige una <<scena>>.

b) Messa in immagine e messa in relazione obbediscono ogni volta e fino ad un certo grado a delle <<regole>>: devono presentare una certa <<regolarita’>>, senza di che il vivente non potrebbe semplicemente sopravvivere. Queste <<regole>> devono almeno parzialmente essere assoggettate all’autofinalita’ del vivente, per esempio alle necessita’ della conservazione:
Ne discende la conseguenza per il per se’ vivente che quel che viene presentato dev’esser <<valutato>> in un modo o in un altro, positivamente o negativamente, il che significa che deve essere <<investito>> da un <<valore>> (buono o cattivo, alimento o veleno, ecc.), divenendo cosi’ supporto o correlato di un <<affetto>>, positivo o negativo al limite neutro.
Questa <<valutazione>> o <<affetto>> guida <<l’intenzione>> o il <<desiderio>> che porta, eventualmente, ad una azione corrispondente (di avvicinamento o allontanamento).

c) Se una qualsiasi entita’ deve conservare se stessa cosi’ com’e (conservarsi numericamente: questo cane o genericamente: i cani), deve anche agire e reagire in un ambiente, valutando positivamente quello che favorisce la propria conservazione e negativamente quello che l’ostacola: e per far cio’ deve avere consapevolezza, be aware of…di questo ambiente, fosse pure nel senso piu’ vago. Perche’ parti o elementi di quell’ambiente esistano per tale entita’, e’ necessario che siano presenti per essa e dunque rappresentati da essa. Tale rappresentazione non puo’ essere ne’ <<oggettiva>> ne’ <<trasparente>>: si tratterebbe di contraddizioni in termini. Non puo’ essere <<oggettiva>> perche’ e’ rappresentazione fatta da e per <<qualcuno>>, dunque necessariamente perlomeno <<adattata>> alle sue finalita’; ne’ puo’ essere <<trasparente>>, perche’ la maniera d’essere di questo <<qualcuno>> e’ parte integrante della costituzione della rappresentazione.
…questa presentazione-rappresentazione non puo’ che essere altamente <<selettiva>>. Quel che di volta in volta viene <<percepito>> tralascia ed esclude una massa infinitamente piu’ rilevante di <<non  percepito>> d’ogni ordine: la <<selezione>> non e’ soltanto qualitativa, ma necessariamente anche qualitativa. Strati di cio’ che e’ potranno essere <<colti-costruiti>>, altri non lo potranno, sempre in virtu’ della natura di quel che e’ e grazie alle condizioni del dispositivo presentivo-rappresentativo del vivente, il quale e’ necessariamente determinato.

Determinato vuol dire allo stesso modo, <<limitato>> o, se si vuole, specifico(- ecco perche’ anche il Dio onniscente dei teologi razionali e’ un’idea irrazionale: egli dovrebbe <<percepire>> a tutti i livelli possibili di fenomenalita’ tutto cio’ che potra’ mai esser dato a tutti i sensoria interni ed esterni: non gli basterebbe certo <<pensare>>, in quanto non si puo’ attraverso il <<pensiero>> ricostruire il dolore specifico di chi ha appena subito quella tale operazione o perso la persona amata.)

Questa <<selettivita’>> specifica e’ anche palesemente correlativa alle mete del per se’ che e’, di volta in volta, questo vivente specifico e dipendono gia’ dal suo essere determinato. L’obiettivo della conservazione di un albero non porta alla stessa selezione nell’ambiente cui conduce l’intento di riproduzione sessuale di un mammifero.
Ogni volta e’ selezionato qualcosa di differente, ed e’ trasformato ogni volta in modo diverso per essere presentato-rappresentato. Il che porta a dispositivi di <<percezione-elaborazione>> differenti…il vivente non crea in una liberta’ assoluta il suo sistema di <<appropriazione>>, <<elaborazione>>, <<interpretazione>> degli elementi dell’ambiente. Ma per cio’ che attiene all’essenziale, ogni per se’ vivente costruisce, anzi meglio: crea il suo <<mondo proprio>>. In tutta evidenza la costruzione-creazione di questo <<mondo>> s’appoggia ogni volta su un certo esser cosi’ di cio’ che e’.

c) Il vivente esiste di volta in volta esntro e attraverso una chiusura. In un certo senso, il vivente e’ una sfera chiusa. Non possiamo entrare nel vivente, possiamo scontrarci con esso, imporgli dei colpi, ma in nessun modo entriamo al suo interno: qualsiasi cosa noi si faccia, quello reagira’  a suo modo…non si puo’ entrare all’interno di qualcuno, anzi non ci si entra affatto…in quanto "metaosservatori" che possono osservare, insieme, il vivente e quello che accade fuori dal viventee che costatano che un elemento X del nostro mondo scatena, in quel tal vivente, un elemento X1 del nostro mondo che noi definiamo <<reazione Y>> del vivente. Siamo allora portati a dire, se non facciamo abbastanza attenzione, che per il vivente in questione l’elemento X fornisce l’informazione Y. Il che e’ un terribile abuso del modo di parlare.
Cio’ che, <<in se’>>, corrisponde ad X non e’ un’informazione e non fornisce informazione: tutto cio’ che possiamo dire e’ che crea un urto-anstoss che mette in moto la capacita’ formante (immaginifico-immaginativa, presentificante, collegante) del vivente. Soltanto dopo questa enorme elaborazione l’indescrivibile che corrisponde ad X diventa <<informazione>>…

Quando si arriva all’essenziale non si puo’ pensare il vivente se non dall’interno. Certo le spiegazioni <<scientifiche >> causali sono nella maggioranza dei casi ineliminabili e decisive, ma alla fine manca sempre qualcosa: tutte le concatenazioni che si descrivono scientificamente quali pure esteriorita’, la loro coesistenza e il loro intreccio, non diventano intellegibili se non in quanto assoggettate a questa finalita’ che non porta da nessuna aprte, a questo essere senza ragion d’essere, a questo vivente determinato. Il che e’ vero del singolo essere particolare ed e’ vero della specie, sicche’ questo punto ritorna in maniera quasi comica nei testi dei neodarwiniati: una volta stabilito il postulato meccanicistico-aleatorio, tutte le descrizioni vengono fatte in termini finalistici, fino a ragionare come se le specie si fossero evolute per adattarsi all’ambiente, come se una certa strategia d’adattamento fosse fallita e un’altra avesse avuto successo, e cosi’ di seguito ( non s’e mai sentito dire che una galassia abbia fallito in questa o quell’altra attivita’).

d) Supremo paradosso. Chiusura e interiorita’ vanno di pari passo con una certa universalita’ e partecipazione. Non c’e una cellula sola, ce n’e’ un numero incalcolabile. Non c’e un solo platano, ci sono i platani- e il platano non potrebbe esistere se non ci fossero i platani. Ma alla chiusura e all’interiorita’ non si contrappone soltanto un’universalita’ generica. Ciascuna entita’ singola partecipa ed e’ integrata a entita’ di altri livelli, oppure e’ a sua volta formata dall’integrazione di quelle entita’. Un platano non puo’ esistere senza foresta, una foresta non puo’ esistere senza uccelli, ne’ questi senza vermi, e via dicendo.

e) Il <<per se’>> e’ la specificita’ dello psichico nei confronti del vivente. Aristotele, com’e’ nto, attribuiva un’anima-psiche- agli animali e ai vegetali, da un lato, e agli dei dall’altro. Si tratta di cio’ che abbiamo definito il <<per se’>>.  Quel che interessa qui e lo psichismo umano e le sue specificita’. Specificita’ in rapporto a che cosa? in riferimento, a quello che sappiamo o crediamo di sapere degli animali <<superiori>>…Che cosa possiamo dire, che cosa possiamo supporre sulle differenze tra lo <<psichismo>> delle echidne ( I Tachiglossidi, comunemente chiamati echidne o "formichieri spinosi", rappresentano una famiglia di mammiferi ovipari inclusi, assieme agli Ornitorinchidi, nell’ordine dei Monotremi.) e lo psichismo umano?
E’ evidente che la specificita’ non sta’ nella sessualita’  come tale. La specificita’ umana non e’ la sessualita’, ma la <<distorsione della sessualita’>>, che e’ tutt’altra cosa. Questa specificita’ e’ innanzitutto trasversale o orizzontale: con questo intendo dire che le sue caratteristiche valgono per tutte le <<istanze>>  psichiche.

La prima di queste caratteristiche e’ la <<de-funzionalizzazione>> dei processi psichici relativamente al loro sostrato, cioe’ alla componente biologica dell’essere umano. Basta riflettere un poco per vedere che questa <<de-funzionalizzazione>> vale ugualmente per l’Io freudiano, che si suppone assicuri i rapporti dell’essere umano con la realta’: nella maggior parte dei casi di suicidio, occorre che l’Io cooperi attivamente. Certo, si puo’ vedere in questa de-funzionalizzazione la condizione per una funzionalita’ di un’altro ordine: le <<istanza>> psichiche, prese ciascuna in se’, e la psiche come un tutto sono non funzionali biologicamente per essere <<funzionali>> da un altro punto di vista, il loro: per esempio, nella <<funzionalita’>> della conservazione di una <<immagine di se’>> puo’ accadere, al limite, che ci si uccida. Ma, come segnala proprio questo esempio, impiegare il termine <<funzionalita’>> sarebbe qui un abuso. Ogni istanza lavora a conservare il suo mondo, di cui e’ parte essenziale la sua immagine dell’essere considerato.
Che, in generale, la conservazione di questa immagine valga piu’ di quella <<dell’essere reale>> e’ solo una conseguenza del secondo tratto trasversale dello psichismo umano: il dominio del piacere rappresentativo sul piacere d’organo…
Da qui discende quella che Freud aveva chiamato l’onnipotenza magica del pensiero che, piu’ correttamente, si dovrebbe chiamare l’onnipotenza reale del pensiero inconscio Reale perche’ per l’inconscio il problema non e’ di trasformare la <<realta’ esterna>> (di cui non ha alcuna conoscenza), ma di trasformare la rappresentazione per renderla piacevole. Orbene, una siffatta rappresentazione e’ sempre possibile; se e quando non viene formata, e’ che un’altra istanza psichica vi s’oppone (vedi- "Come farsi un corpo senza organi"-Deleauze-Guattari).

…terza caratteristica fondamentale dello psichismo umano e’ <<l’autonomizzazione dell’immaginazione>>: si tratta beninteso << dell’immaginazione radicale>>, non della capacita’ di vedere <<immagini> (o di vedersi in uno specchio), ma della capacita’ di porre cio’ che non e’, di vedere in qualcosa cio’ che in essa non c’e.
A rigore il <<rappresentare con immagine>> deve essere supposto ovunque vi sia per se’, dunque innanzitutto nel vivente in generale.  Il vivente fa essere una immagine (una <<percezione>>) la dove c’e’ una X (e anche laddove non c’e’ nulla: ombra). Ma lo fa una volta per tutte, sempre <<nello stesso modo>>, e lo fa assoggettandosi alla funzionalita’.
Per lo psichismo umano, c’e’ un flusso rappresentativo illimitato e incontrollabile, spontaneita’ rappresentativa che non e’ asservita ad un fine determinabile, rottura della corrispondenza rigida tra l’immagine e la  X alla quale si riferisce o rottura della conseguenzialita’ rigida delle immagini tra esse.
Evidentemente proprio su queste proprieta’ dell’immaginazione radicale s’appoggia psichicamente la capacita’ linguistica dell’essere umano: che presuppone la facolta’ del del quid pro quo, del vedere qualcosa la’ dove c’e’ altro, per esempio il poter <<vedere>> un cane nei quattro fonemi o nelle quattro lettere di questa parola, ma anche di non vedervi sempre la stessa cosa, dunque di poter comprendere l’espressione: <<che tempo cane>> e ancora di poter vedere un cane in dog se si conosce l’inglese.

f) La specificita’ dello psichismo umano sta, per altro verso, nella sua diemnsione verticale, cioe’ nella sua <<stratificazione>>…; abbiamo sempre a che fare con una psiche caratterizzata dalla molteplicita’ delle sue <<istanze>>, il che e’ ben diverso dal dispiegamento funzionale teso ad ottenere una migliore divisione del lavoro.
Un animale non e’ <<stratificato>> nel senso forte del termine: non ha storia psichica ne’ conflitti intrapsichici. Ma nell’essere umano i conflitti intrapsichici sono conflitti di <<istanze>>, e la stessa istanza di queste istanze, al pari della loro concrezione ogni volta particolare, e’ il risultato di una <<storia>>. Che in questa storia e a causa sua si costituiscono istanze (o processi), i quali poi non risultano <<superati>> o <<integrati armoniosamente>>, ma  persistono in una totalita’ contraddittoria e anche incoerente, ecco quel che differenzia radicalmente l’evoluzione temporale dello psichismo umano da qualsiasi <<processo di apprendimento>>…In questa storia, le tappe successive non annullano quelle precedenti ma coesistono secondo tutte le modalita’ concepibili creando cosi’ il ventaglio dei <<tipi>> umani…
Per ogni <<istanza>> vi sono <<oggetti>> nuovi e specifici, valutazioni e affetti specifici, appetizioni specifiche…
Ogni volta si dispiega un modo del rappresentare, un modo del desiderare, un modo di provare affetto…C’e dunque anche una conservazione della chiusura di ciscuna delle istanze, come per il vivente: ognuna conosce il suo mondo e non vuole saperne di nient’altro; ognuna persegue i suoi scopi e si oppone a tutti gli altri scopi….
Questa strana pluralita’ della psiche non e’ un sistema, ma quel che si definisce un magma, un modo di coesistenza sui generis, caratterizzato da una <<organizzazione>> che contiene frammenti di molteplici organizzazioni logiche ma non e’ riducibile ad un’organizzazione logica.

g) L’individuo sociale.
Ho appena evocato il processo di socializzazione, il che ci porta alla terza ragione del per se’, quella dell’individuo sociale. In psicoanalisi non si ama questo termine ne’ quello di socializzazione e davvero non so perche’. Si parla continuamente della madre. Ma che cos’e  la madre, se non qualcuno che parla? Anche se e’ sordomuta. parla. E se parla, puo’ farlo unicamente perche’ e’ un individuo sociale e parla la lingua di questa o quella societa’, portatrice delle stratificazioni immaginarie specifiche di quella societa’. Per il neonato la madre e’ la prima, e suprema rappresentante della societa’.
E poiche’ quella societa’, quale che sia, partecipa in un’infinita’ di maniere alla storia umana, la madre e’ per il neonato la portavoce attiva ed efficace di migliaia di generazioni passate. Questo processo di socializzazione, che incomincia il primo giorno di vita- senon prima- e finisce solo con la morte. benche’ consideriamo decisive le sue primissime tappe…culmina nell’individuo sociale, cioe’ un’entita’ che parla, che ha un’identita’ e uno status sociale, che si conforma piu’ o meno a certe regole, persegue certi fini, accettta certi valori, agisce secondo motivazioni e condotte abbastanza stabili, da rendere il suo comportamento il piu’ delle volte prevedibile quanto basta agli altri individui. (l’insieme di questo processo trova la propria condizione nella capacita’ psichica di sublimazione…)

Il risultato del processo e’ un individuo che il piu’ delle volte funziona in modo adeguato per lui stesso e, soprattutto, dal punto di vista della societa’. <<Tutti sono sempre adeguati a questo mondo, in esso non si sente mai la mancanza di nessuno>>. Questa e’ la societa’ che uno sia Alessandro Magno, Landru, de Gaulle, Jack lo Squartatore, Marilyn Monroe, una ragazza di rue Sain-Denis, che uno sia autistico, disabile, geniale, santo, o criminale, ci sara’ sempre un posto per lui o per lei nella societa’, le sara’ sempre adeguato. Ma tre minuti (anzi tre millesimi di secondo) dopo la sua scomparsa, la superficie dell’acqua si ricompone, il buco non c’e piu’, la societa’ continua, in essa non si sente la mancanza di nessuno. Da questo punto di vista- dal punto di vista della societa’- la socializzazione funziona sempre. I fiaschi hanno luogo dal lato della <<persona>>: ma questa e” un’altra storia.

Con l’individuo sociale riemerge daccapo la domanda che ponevo all’inizio: qual e’ l’unita’ dell’essere umano singolo?
Tuttavia con l’individuo sociale emerge anche una prima risposta. Questa unita’/identita’ dell’individuo e’ l’unita’/identita’ della sua definizione sociale singola, compreso, evidentemente, il suo nome: X figlio di Y e Z, che abita a V, di mestiere M, eta’ T, sposato…Questa unita’/identita’ e’ prima di tutto unita’/identita’ di reperimento; ma e’ soprattutto <<unita’ di attribuzione/imputazione>>, senza di cui non esiste funzionamento possibile della societa’ ( chi ha fatto o detto questo? a chi bisogna dare quello?). Questa unita’ in quanto tale sembra (e, in effetti, in gran parte lo e?) un artefatto sociale, unita’ che ricopre una pluralita’, unita’ che nasconde le contraddizioni della psiche.

h) il soggetto umano.
Nella psicoanalisi incontriamo delle <<istanze>> che in prima approssimazione possono rivendicare il titolo di <<soggetto>>, e cioe’ il conscio (che comprende il preconscio) o l’Io (Ich) cosciente … Notiamo ch einogni caso questo conscio o Io cosciente e’, in massimo grado, il coprodotto di fattori irriducibili l’uno all’altro e nello stesso tempo indissociabili l’uno dall’altro; da un lato la psiche e, piu’ in particolare, l’insorgenza delle diverse istanze psichiche ( nella serie delle quali si trova il conscio); dall’altra, il sociale, che agisce come madre, famiglia, linguaggio, ogetti, gruppo, ecc.
A mio avviso, il conscio freudiano puo’ rivendicare il titolo di <<soggetto>>, ma soltanto in prima approssimazione….
Il conscio puo’ essere facilmente confuso con il semplice <<ragionamento logico>> o anche con il <<calcolo>>, che non comprende affatto il momento della riflessivita’…il conscio di Freud, appare essenzialmente come un apparato che, attraverso il calcolo, cerca di elaborare compromessi tra istanze inconsce per cavarsela con il minimo di contrarieta’.
…l’attivita’ calcolante e raziocinante e’ propria della coscienza vigile, ma esiste dappertutto nella sfera psichica e , possiamo aggiungere oggi, ovunque vi sia il per se’, certo ovunque vi sia il vivente. Non possiamo non attribuire un attivita’ raziocinante e calcolante a qualsiasi entita’ vivente, quale ne sia l’ordine e la complessita’. Non possiamo nemmeno evitare di attribuire un altro tratto decisivo implicato dall’autofinalita’: l’autoriferimento. In questa prospettiva <<sapere di sapere>> resta insufficiente a caratterizzare il soggetto umano, e piu’ esattamente quella possibilita’ del soggetto umano che e’ la <<riflessivita’>>…Piu’ in generale, se un sistema qualunque e’ dotato della proprieta’ dell’autofinalita’, di necessita’ vi e’ implicato l’autoriferimento: il sistema deve conservare (o raggiungere) lo stato desiderato, e per questo deve riferirsi <<attivamente>> a se stesso. Il che comporta che, in un modo o nell’altro, il sistema debba contenere una qualche <<conoscenza>> del proprio stato. Il conscio umano e’ evidentemente dotato di autoriferimento, il che implica, sia pure solo in  maniera debole, il sapere di sapere…Ma questo puo’ essere -ed effettivamente e’, il piu’ delle volte- un semplice accompagnamento: il segnale verde indica che il circuito degli <<indicatori di stato>> funziona bene.
 Nella riflessivita’ ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso: la possibilita’ che l’attivita’ propria del soggetto divenga <<oggetto>>; l’esplicitazione di se’ come un oggetto non oggettivo, o come soggetto semplicemente per posizione e non per natura. E nella misura in cui uno puo’ diventare per se stesso un oggetto per posizione e non per natura, diventa possibile l’altro. Ho parlato di <<accompagnamento>> a proposito del semplice conscio; ma la riflessione implica la possibilita’ della scissione e dell’opposizione interna-gia’ Platone parlava di dialogo dell’anima con se stessa: e un dialogo presuppone due punti vista possibili-, dunque anche la possibilita’ della messa in discussione di se stessi.
Il semplice pensiero inconscio di Freud che non conosce ne’ obiezioni ne’ interrogazioni, al massimo ostacoli, funziona secondo regole date; quando s’imbatte in qualcosa d’impossibile, s’inceppa o si blocca…

Il semplice conscio non e’ cieco su quel che fa, ma in genere e’ piu’ che cieco sul perche’ lo fa: e cosi’ pensa qualcosa, ma non si domanda perche’ pensa questo anziche’ il contrario o qualcos’altro. Ora tanto la storia che la psicoanalisi ci mostrano come la possibilita’ di questo interrogarsi -di la’ da quanto autorizzato di volta in volta dal sistema in vigore-, possibilita’ che dobbiamo postulare dovunque negli umani, non s’e’ realizzata che molto di rado nelle diverse societa’ storiche o nei diversi individui della nostra societa’. E’ attraverso una creazione storica che tale possibilita’ si trasforma in effettiva: ion questo senso c’e’ vera autocreazione della soggettivita’ umana come riflessivita’.

La condizione assoluta di possibilita’ della riflessivita’ e’ l’immaginazione (o fantasmatizzazione). Proprio perche’ l’essere umano e’ immaginazione-immaginazione non funzionale- puo’ porre come <<entita’>> qualcosa che non lo e’. La sua immaginazione puo’ riflettere, proprio perche’ e’ sbrigliata, altrimenti si limiterebbe a calcolare e a <<ragionare>>. La riflessivita’ presuppone che l’immaginazione abbia la capacita’ di porre come esente cio’ che non e’, di vedere Y in X e, in modo particolare, di veder doppio, di vedersi doppio, di vedere se’ pur vedendosi come altro. Io mi rappresento, e mi rappresento come attivita’ rappresentativa, oppure, per cosi’ dire, mi agisco come attivita’ agente. Naturalmente anche qui esiste la possibilita’ dell'<<illusione>> o dell'<<inganno>>; per esempio, posso anche pormi come <<cosa>> o come <<sostanza>> (<<materiale>> o <<immateriale>>, posso <<realizare>> (reificare, oggettivare) la mia attivita’ di pensiero e i suoi risultati ( e di conseguenza addirittura, udire voci).

La capacita’ di attivita’ deliberata e’ cosa diversa dalla possibilita’ di un atto indicato dal semplice calcolo logico o reckoning (di cui sono capaci anche l’animale e anche il batterio). Chiamo capacita’ d’attivita’ deliberata, o volonta’, la possibilita’ per un essere umano di far entrare nei circuiti che condizionano i suoi atti i risultati del processo della sua riflessione (oltre quanto risulta dalla semplice logica animale). Detto in altro modo: la volonta’ o attivita’ deliberata e’ la dimensione riflessa di quello che noi siamo in quanto esseri immaginanti, cioe’ creatori; o ancora: la dimensione riflessa della nostra immaginazione come fonte di creazione.

E’ necessario poter immaginare altro da cio’ che e’ per poter volere; e bisogna volere altro da cio’ che e’ per liberare l’immaginazione…quando non si vuole qualcosa di diverso da cio’ che e’, l’immaginazione e’ inibita o rimossa, e rappresenta solo la perpetuazione in eterno di cio’ che e’. E se non si puo’ immaginare qualcosa d’altro dall’esistente, qualsiasi <<decisione>> non e’ altro che una scelta tra possibilita’ date -date dalla vita interiore o dal sistema istituito- che puo’ sempre venir ricondotta ai risultati di un calcolo o di un ragionamento.

i) Il primo presupposto metapsicologico dwllw due possibilita’ la cui attualizzazione definisce la soggettivita’ umana propriamente detta, e’ la capacita’ della psiche di sublimare…
parlare e’ gia’ sublimare, in quanto il <<soggetto>> del linguaggio non e’ un <<soggetto pulsionale>>. A partire dal momento in cui l’apparato orale investe un’attivita’ che non procura alcun piacere d’organo (almeno non in generale), c’e attivita’ sublimata. Parlare e’ un’attivita’ sublimata, prima di tutto perche’ non procura alcun piacere d’organo; in secondo luogo e soprattutto, perche’ e’ un’attivita’ orchestrata entro e attraverso una creazione extra-psichica e che supera la possibilita’ della psiche singola: l’istituzione del linguaggio; infine perche’ implica sempre potenzialmente che ci si rivolga ad altri membri reali della societa’ (faccio astrazione dal delirio psicotico, sebbene…).

Non possiamo comprendere nulla della psiche umana (non piu’ di quanto si possa comprendere della societa’) se ci rifiutamo di constatare che alla base di tutte le sue specificita’ si trova la sostituzione del piacere di rappresentazione al piacere d’organo. Conversione massiccia, cooriginaria dell’umanita’ che rende possibile la sublimazione.
Certo, la sostituzione del piacere di rappresentazione al piacere d’organo prende all’inizio la forma della fantasmatizzazione o, come diceva Freud, del piacere allucinato. Ma gia’ nel caso del piacere allucinato si vede che la psiche realizza la possibilita’ di soddisfarsi di qualcosa che non e’ piu’ lo stato di un’organo…Lo stivaletto come oggetto feticcio e’ una sfida ad ogni teoria sessualista ingenua e mostra l’onnipotenza della fantasmatizzazione (gia’ solo per il fatto che gli umani hanno camminato a piedi nudi per la maggior parte della loro storia).

Nella sublimazione- e qui sta’ la differenza con la fantasmizzazione- l'<<oggetto>> (su cui si investe l’energia in questione) non e’ e non ha valore se non entro e attraverso la sua istituzione sociale, quasi sempre effettiva talvolta anche virtuale. Tutto cio’ significa che la sublimazione e’ l’investimento di rappresentazioni (o di stati della rappresentazione) il cui referente non e’ piu’ un <<oggetto privato>> ma un oggetto non privato, pubblico, cioe’ sociale. E questi oggetti sociali sono invisibili o valgono in virtu’ di attributi invisibili, valgono cioe’ in virtu’ del loro essere costituiti e forgiati da significazioni sociali immaginarie.

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