intossicati dallo spettacolo

Gli esclusi, scriveva Vaneigem, per le necessita’ della propria
sopravvivenza sono costretti, loro malgrado, a collaborare alla propria
esclusione e a riprodurla. Per sopravvivere essi non hanno altro che
questa possibilita’  e se anche fa durare la loro esistenza svuotandola
di ogni contenuto finisce per acquistare un senso
positivo(rovesciamento di ottica, sinistro e comprensibile-dice
Vaneigem). Per restare vivi nello sfruttamento gli esclusi rafforzano
continuamente il diritto di proprieta’ che li definisce come sfruttati
e li perpetua in questa condizione di miseria umana.
Lavorare per un padrone, sottomettersi ecc. diventano cosi’ il prezzo appena contestabile della sopravvivenza.
L’escluso
si sforza col proprio lavoro di assicurarsi la sopravvivenza: egli vi
riesce tanto meglio quanto piu’ si identifica con gli interessi del
padrone-"egli non conosce gli altri non-proprietari se non attraverso i
loro sforzi identici ai suoi…"
Quando la volonta’ di sopravvivenza
degli esclusi, superando il livello di una vita totalmente sordida,
 emerge al livello dell’apparenza, mette in gioco  l’identificazione
con la volonta’ del padrone. 
Nella "mistica capitalistica" il proprietario riconosce a ciascuno il diritto astratto di possesso.
E
con questa credenza rafforza il meccanismo dell’identificazione negli
esclusi  e legittima il suo potere per se’ anche contro gli altri
proprietari.  Ma il padrone, in questo caso per esempio Berlusconi, che
si presenta come "servitore del bene pubblico e garante della sicurezza
comune" incorona la sua forza col prestigio. Al sacrificio reale del
non-proprietario il nano-proprietatio risponde con il sacrificio
apparente della sua natura di sfruttatore e proprietatio; egli si
esclude miticamente dalla proprieta’ e si pone al servizio di tutti e
del mito, di Dio come del suo popolo.
"Con un gesto ulteriore, con
una gratuita’ che lo avvolge di un’aurea meravigliosa, egli da’ alla
rinuncia la pura forma di realta’ mitica; rinunciando alla vita comune,
egli e’ il povero in mezzo alla ricchezza illusoria, colui che si
sacrifica per tutti mentre gli altri non si sacrificano per se
stessi(…)Egli cosi’ diventa’ il punto di riferimento vivente di ogni
vita illusoria, la piu’ alta scala tangibile dei valori mitici.
Allontanandosi dai comuni mortali, e’ verso il mondo degli dei che egli
tende, ed e’ la sua partecipazione piu’ o meno riconosciuta alla
divinita’ che, al livello dell’apparenza, consacra il suo posto nella
gerarchia degli altri proprietari."
Per quanto il sacrificio
apparente del proprietario possa volgarizzarsi in esso risuona  sempre
e ancora il mito che unisce, risolve le contraddizioni, genera
l’armonia che ingloba proprietari e non-proprietari nel concetto di
"sorte comune"( immagine idealizzata della condizione umana…).
Il
sacrificio apparente del proprietario come risposta alla vita
sacrificata degli altri in una sorta di "opacita’ mistica"  cerca di
risolvere l’opposizione irriducibile di classe nel mito.
Naturalmente
il "mito", nella sua degradazione storica, diventa una politica di
salute pubblica; una tirannia che impone la sua struttura
interpretativa in cui il vissuto si definisce solo ed esclusivamente
nella dialettica di "sacrificio e ricompensa"; ontologia della
negazione di se’. Tutti quelli che aspirano a cambiare condizione e
pelle trovano di fronte a loro il riflesso illusorio della loro
partecipazione alla proprieta’; riflesso caricaturale del loro
sacrificio reale.
La "nobilta’" del sacrificio, l’uno mitico e
l’altro reale, assolve tutti. Essa si irradia nella trascendenza di un
regno immanente e si offre ai servi. Giustizia, dignita’, liberta’,
grandezza…diventano "la zavorra grazie alla quale il potere si mette
fuori tiro".
La "sinistra", intossicata dallo spettacolo, vuole
nient’altro che "democratizzare" il sacrificio mitico , quasi
aristocratico del padrone e chiama al sacrificio non meno mitico in
nome di nuovi padroni-di sinistra; di un potere che "fucilera’ i
lavoratori in nome dell’umanesimo".
L’umanesimo di "sinistra"  e’
indissolubilmente legato alla nozione del sacrificio; un’etica della
pena e del lavoro dove la proprieta’ degli uomini e delle cose  si
rimette in una trascendenza universale.
"il potere gerarchizzato non
si concepisce senza trascendenze, senza ideologie, senza miti. Il mito
della demistificazione e’ d’altra parte pronto a prendere le consegne,
basta omettere, molto filosoficamente, di demistificare con le azioni.
Dopo di che, ogni demistificazione, opportunamente sterilizzata,
diventa indolore, eutanasiaca, umanitaria insomma…-Demistificare i
demistificatori."
L’appropriazione privata(appropriazione delle cose
mediante l’appropriazione degli esseri umani) implica l’organizzazione
di un’apparenza in cui sono dissimulate le contraddizioni:
"occorre
che i servi si riconoscano come riflessi degradati del
potere…rafforzando cosi’ la loro sottomissione. Occorre che il
padrone si identifichi col servitore mitico e perfetto di un Dio, una
trascendenza."
Al sacrificio reale degli esecutori risponde il sacrificio mitico dei manager(sic!)
Dalla
comune alienazione nasce "l’armonia sociale", un’armonia negativa la
cui unita’ fondamentale risiede  nella nozione di sacrificio.
Nella
sua ascesa la borghesia ha "attaccato frontalmente l’organizzazione
mitica dell’apparenza" andando a colpire il punto nevralgico del potere
gerarchizzato sotto qualunque forma. La borghesia  nella sua fase
ascendente ha desacralizzato il mito e ha cosi’ dovuto poggiare il suo
potere sul vuoto lasciato dalle strutture mitiche unitarie. Questo
potere si e’ ritrovato sbriciolato, contestato senza tregua, costretto
ad una risacralizzazione di secondo grado, "debole" dell’appropriazione
privata, nello spettacolo. Le nuove "visioni unitarie" nelle loro forme
povere e parcellizzate si sono dovute inscrivere nel "futuro di maggior
benessere", nel "sole dell’avvenire che sorge sul letamaio del
presente"…in pallide copie del mito sacralizzato e divino.  Vainegem
diceva che il "mito desacralizzato" e laicizzato della modernita’ non
ha piu’ come regista Dio ma al suo posto di volta in volta la scienza,
la tecnica, il benessere ecc. e che le leggi capricciose dell’economia
prendono il posto della provvidenza e al ruolo mitico giocato da
ciascuno sotto i riflettori divini si e’ sostituita una moltitudine di
ruoli le cui maschere per restare umane devono sacrificare la vita
reale.

"Lo spettacolo non e’ altro che il mito desacralizzato e parcellizato".

La
"sinistra" si conserva anch’essa nel mito del sacrificio e di
un’opposizione  parcellizata che non ha una visione e un concetto di
totalita’. Questa "opposizione" concentrandosi su aspetti particolari
diventa una caricatura degli antichi e irriducibili antagonismi .
Adesso la "liberazione" si misura in gadget e comfrot e in
identificazioni catartiche dell’impotenza e del ricatto della
sopravvivenza. I riformisti vogliono ridurre "la distanza fra i
pianerottoli", i "ribelli" battono con impazienza il pugno sul
tavolo(l’utopia astratta e’ troppo facilmente conciliabile con tutte le
tendenze mefistofeliche della societa’).

"chi ha con se’ il pubblico che ride, non ha bisogno di fornire dimostrazioni"

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