Ci vuole troppa forza, e forse tanto e troppo coraggio, per guardare cio’ che c’e’ da vedere. Per dissipare il fumo e accorgersi che quelli che sono sul treno sono pochi e che gli altri sono rimasti sotto le rotaie. Ci sono milioni di strani modi di scontare la colpa di essere venuti al mondo. Schiacciarsi sotto il proprio peso, strisciare per strada, assassinare il tempo senza ferire l’eternita’, non battere ciglio al centro di una quieta disperazione o un di lavoro, lasciare che accada, uccidere per illudersi di non morire, una devozione come un male incurabile, i vecchi libri, il progresso, le nostalgie, le cose del cielo e quelle dell’aldila’.
Ad un uomo non puo’ accadere nulla di peggio, dopo l’esser nato, che l’avere dei genitori.
Genitori i cui demoni continueranno a percuoterti per tutta l’esistenza senza smettere mai fino a spezzarti le ossa,sfracellarti l’anima. Non smetteranno neanche quando sarai abbandonato, vulnerabile, irritato, bisognoso d’amore e coperto di stracci mentre il pus quotidiano ti scorre su un cuore che hai devitalizzato male. Il cielo e’ stato disarmato e i giochi sono gia’ fatti. Le possibilita’ non sono state raccolte, i cammini non sono stati percorsi, le occasioni irrimediabilmente perdute, i fili d’argento si sono spezzati, le lampade magiche sono andate in pezzi e le brocche d’acqua si sono infrante. Una invisibile chimica interiore ha combinato alle nostre spalle le circostanze profondamente stupide che ci hanno gettato in quell’angolo guasto e imbastardito che ci ostiniamo a chiamare vita e, quando succede che il silenzio ci cade addosso e ci accerchi con le sue urla mute allora, allora ci mettiamo alla ricerca di un’oggetto magico che non esiste. Gia’, perche’ non esiste nessun oggetto magico che ci curi dalle nostre intollerabili emozioni, che faccia evaporare la solitudine, che annienti l’angoscia, uccida la frustrazione, addomestichi la sofferenza.
Chi mai potra’ controbilanciare un futuro presunto-improbabie-felice con il destino di un aborto che ci lasciasse nella notte, senza nome e fuori dal tempo? Le carcasse dei nostri onnipotenti assetti mentali galleggiano sulla superficie del mare sbattendo contro i relitti di tutti quei privilegi senza eguali con cui nella storia dell’umanita’ non si e’ mai smesso di imbrogliare i bambini. Castelli in aria, fumi e sogni e miraggi e chimere. Poi il vento gira e ritorna. Il vento si riprende sempre tutto. E tutto non e’ che un soffio di vento: nascere e morire, uccidere e guarie, tacere e parlare, piantare e sradicare. Non si salva nulla. Non si salvano gli abbracci, gli amori, le sensazioni, i dolori e le gioie.
A volte inseguiamo aliti di vento, altri esseri umani, amori, a volte cerchiamo di trattenere le parole e le persone care ma e’ tutto inutile. Il nostro e’ solo un bel movimento di nulla, una danza raffinata della mancanza di senso, una patetica e variopinta celebrazione della vanita’. Francamente, io, Sisifo, non riesco ad immaginarmelo felice.
La luce mi irrita, l’alba mi sfinisce. Domani il giorno sara’ una lama fredda che mi tagliara’ per farmi sanguinare senza la consolazione della morte. Un altro giorno di semivita, e poi ancora un’altro e un’altro ancora e un’altro ancora…
Premura,responsabilità, rispetto, conoscenza, libertà, chiamiamolo anche amore; il vento gira e ritorna e si riprende sempre tutto. E, lo diceva Wittgenstain, "Non si può sentire uno sconforto più grande di quello di un essere umano. Il mondo intero non può trovarsi in una situazione di bisogno maggiore di quella in cui si trova una sola anima".
Bisogna guardarsi dentro per uscirne fuori ma non e’ abbastanza. Anche uscendone non voglio piu’ incontrare nessuno.I sogni sono stati licenziati e da quaggiu’ non si odono piu’ voci umane. Non c’e’ l’assoluto primo, la causa incondizionata di ogni condizione , tutto e’ rimandato in un vortice di relazioni che e’ risucchiato da un’altro vortice all’infinito.
La comunicazione e’ impossibile. Bisogna prendere su di se’ il silenzio, il cielo vuoto sopra di noi, le assenze, l’amore di nulla, sedimentare, assopirsi e cancellarsi.
Gli dei non sono mai sazi. Ma si muore anche sempre agli altri. Economia dell’angoscia. Dissesto psicologico. Orizzonte precario, un orizzonte accidentale; una coscienza in fondo non e’ che una luce che va spegnendosi nella normalita’ del giorno e che va annegando nella passione per la notte. Ci sono solo onde. Non piu’ volti, non piu’ nomi. Agonie e stati di dormiveglia di un corpo incatenato dalle prime verita’ del senso comune.
Angoscia, paura di esistere, bisogni, spaesamenti. Sentirsi estranei, sapere dell’impossibilita’ di ritornare nel seno materno, di poter riparare separazioni irreversibili e infine lasciarsi tra l’abbandono e l’aggressivita’. Magismo infantile, ma e’ chiaro che non si puo’ ridurre nessuno alle operazioni intenzionali della propria anima. In fondo tutto il nostro comportamento non e’ che una ripetizione di esperienze e reazioni infantili.
Ma ora non vorrei piu’ cure. Questo truama della nascita si e’ ripetuto gia’ troppe volte, cosi’ innumerevoli che la voglia di ri-nascere e’ finita. Adagiarsi sull’acqua. Lasciarsi andare alla deriva.
E’ semplicemente un caso di solitudine emotiva. Niente di piu’. Una marea di abbandono, di distacchi e separazioni.
Pavese lo sapeva, lavorare stanca, pensare stanca, vivere stanca. E tutto questo sfinimento nell’attesa di scendere nel gorgo muti. Il paesaggio e’ dilaniato. Si puo’ immaginare un’ultima via di fuga? A causa del significato? dei conti fatti su un taccuino malmesso? Restare in bilico sul vuoto? Fantasmi ovunque.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto. (E. Montale)