uccidete le parole

Morire di classe. Morire d' immagini.

Le immagini riempiono i giornali, libri, tabelloni, vestiti, schermi pc e tv,  come mai prima nella storia delle comunicazioni di massa.
La cultura delle immagini supera il linguaggio quale fattore predominante della comunicazione sociale.
Presto, le parole saranno usate solo dalle burocrazie commerciali ed in libri che saranno letti soltanto da alcuni individui.
Le nuove generazioni aderiscono a simboli visivi e considerano le parole sorpassate, associate come sono con una comunicazione i cui significati incutono rispetto per l' ordine sociale. Le parole sono repressive mentre le immagini sono affascinanti.

Per controllare un paese e' necessario controllare i centri di produzione e diffusione delle immagini.
Le parole sono soggette all' oblio immediato, si dimenticano facilmente mentre le immagini si imprimono indelebilmente nelle nostre menti.
Le tecnologie digitali rendono possibile  la produzione e la distribuzione di immagini ad una velocità incredibile. Più di qualunque altra innovazione tecnologica i computer rendono possibile un bing bang delle immagini, la nascita di un nuovo universo visuale.

Studi psicologici hanno dimostrato che le persone ricordano soltanto il dieci per cento di cio' che sentono, il 30 per cento di cio' che leggono, e l' 80 per cento di cio' che vedono.
I linguisti inaciditi assericono che poiché le immagini sono relative alla rappresentazione non discorsiva, non hanno una grammatica, non hanno una sintassi, non hanno vocabolario, ma quando un adulto scrive una "B" il bambino vede un' immagine non una lettera dell' alfabeto.
Un'immagine vale piu' di mille parole; se guardate l'immagine provate mille sensazioni mentre il testo che ne indicava la morale si dissolve. Le linee soddisfano la sensualita' della percezione mentre i simboli soddisfano la mente…

Platone credeva che gli oggetti incontrati nella vita di tutti i giorni, compreso le persone, non fossero che copie difettose dei loro modelli ideali. Egli pensava che tutto quello che vediamo nel mondo reale e' una copia; certo, una copia, un' ombra dei modelli proposti dalla cultura visual/consumista/capitalista propagata dalla Tv, dai manifesti, dai rotocalchi, dalla pubblicita', dalle riviste pornografiche…

L' intensificazione dello sfrutamento capitalistico oggi ha cancellato le ultime vestigia degli spazi non capitalizzati.
Questa omogeneita' del dominio genera le differenze a suo uso e consumo. Dall' identita' mortifera di capitale e societa' nasce il pluralismo votato senza scampo alle merci.

Tutto non e' che un segno, immagini di immagini della realta'che avvolgono gli individui.

"La cossiddetta rappresentazione artistica del crudo dolore di chi e' stato bastonato a sangue con il calcio del fucile contiene, per quanto lontanamente, il potenziale di spremere paicere.
…Nell' arte impegnata anche il genocidio diventa un bene culturale e quindi diventa piu' facile continuare insieme il gioco della civilta' che lo ha prodotto." (Dialettica dell' impegno-T.W.Adorno)

"L' industria culturale torna a fornire come paradiso la stessa vita quotidiana…Bello e' tutto cio' che la camera riproduce…Che tutto in generale proceda, che il sistema, anche nella sua ultima fase, continui a riprodurre la vita di quelli in cui consiste, invece di eliminarli subito, gli viene accreditato a merito e significato.
Continuare a tirare avanti in generale diventa la giustificazione della cieca permanenza del sistema, anzi della sua immutabilita'.
Sano e' cio' che si ripete, il ciclo nella natura e nell' industria.
Eternamente ghignano gli stessi baies dai rotocalchi, eternamente picchia la macchina del jazz. Nonostante ogni progresso della macchina riproduttiva, delle regole e della specialita', nonostante ogni agitato affacendarsi, il cibo che l' industria culturale ammannisce agli uomini rimane la pietra della stereotipia.
Essa vive del ciclo, della meraviglia certamente fondata che le madri, nonostante tutto, continuino a far figli, che le ruote continuino a girare. Cio' serve a ribadire l' immutabilita' dei rapporti…

La condizione a cui si puo' tollerare la vita spietata e' insegnata e inculcata da essa.
L' individuo deve utilizzare il suo generale disgusto come spinta per abbandonarsi al potere collettivo di cui e' stufo.
Le situazioni cronicamente disperate che affliggono lo spettatore nella vita quotidiana, diventano, non si sa' come, nella riproduzione, la garanzia che si puo' continuare a vivere.
Basta rendersi conto della propria nullita' , sottoscrivere la propria sconfitta, e gia' si e' entrati a far parte della societa'.

La societa' e' una societa' di disperatie quindi la preda dei capi…"
(Dialettica dell' illuminismo)

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