un posto di lavoro ad Auschwitz

Lo
sterminio degli ebrei ci ha insegnato che un uomo può leggere Goethe o
Rilke la sera e la mattina seguente, andare al suo posto di lavoro, ad
Auschwitz. I campi di concentramento sono il punto culminante della
cultura occidentale smentendo tutte le teorie sul mondo come
un crescente regno della ragione, della giustizia sociale o divina.
La
caduta del fascismo non significa la sua fine e l’umanitarismo astratto
e’ sempre pronto, proprio perche’ astratto, a rovesciarsi nel suo
contrario. "L’ottimismo e il pessimismo della ragione" cospirano
entrambi con la cultura che pretendono di criticare e alla fine si
limitano a consacrare i valori dominanti nella societa’.
Il nichilismo va’ ancora di moda ma gia’ si annunciano i revival di vecchie trascendenze metafisiche. 

Tale Charles Henry Sanson, di origine fiorentina,  che in francia
eseguiva "alte opere di giustizia", cioe’ il boia di Parigi, il 21
gennaio 1793 ghigliottino Dio in terra. Preso dall’emozione e
terrorrizzato dall’idea di compiere tale inaudito gesto posiziono’ male
il corpo di Luigi XVI, la lama non taglio’ del tutto il collo del
re che mori’ dunque tra atroci sofferenze con la testa ancora mezza
attaccata  al corpo.

"<dov’e andato Dio?> grido’. < Ve lo voglio dire! Siamo stati
noi ad ucciderlo: voi e io! Ma come abbiamo potuto farlo! Come abbiamo
potuto prosciugare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? chi ha
fornito la spugna per cancellare l’orizzonte intero? Che mai
abbiamo fatto a sciogliere la terra dalla catena del suo sole? Dov’e
che va ora? Dov’e che andiamo noi tutti? Lontano da tutti i soli? Il
nostro non e’ un perenne precipitare, in ogni parte? All’indietro, di
lato, in avanti, in ogni parte? Ci sono ancora un alto e un basso? Non
vaghiamo forse attraverso un nulla infinito? Non ci alita sopra lo
spazio vuoto? Non si fa’ piu’ freddo? Non continua a fare notte, sempre
piu’ notte? Non dobbiamo la mattina accendere delle lanterne? Del
rumore dei becchini nel seppellire Dio non sentiamo dunque nulla? Non
odoriamo ancora il lezzo della putrefazione divina? Anche gli dei si
putrefanno!
Dio e’ morto! Dio rimane morto! E noi che lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo, noi, gli assassini di tutti gli assassini!
Cio’
che di piu’ sacro e potente aveva finora il mondo si e’ dissanguato a
causa dei nostri coltelli; chi ci pulira’ da questo sangue! che riti
espiatori, che giochi sacri dovremo inventarci? Non e’ troppa per noi
l’enormita’ di questa azione? Non dobbiamo diventare degli dei, per
sembrare perlomeno degni di essa? Non c’e mai stata azione piu’ grande:
coloro che verranno dopo di noi, faranno parte, grazie a questa azione,
di una storia piu’ alta rispetto a quella che si e’ avuta fino ad
oggi.> L’uomo folle tacque a questo punto e punto lo sguardo ancora
nei suoi uditori: essi pure tacevano, guardandolo stupiti. Poi getto’
per terra la sua lanterna, che si frantumo, spegnendosi."

La "repubblica borghese" dopo aver negato l’ordine divino dovra’
tenersi in piedi da sola e i costumi vi si dovranno reggere senza
comandamenti. La rivoluzione Francese proclamava nel 1793 la Dichiarazione dei
Diritti dell’Uomo e del Cittadino e poco dopo Marat, difendendo il
"comitato di salute pubblica" instaurato a difesa della rivoluzione
borghese, dichiarava:  "è attraverso la violenza che si costruisce la libertà,
è giunto il momento di organizzare momentaneamente il dispotismo della
libertà".

Nei regimi autoritari il sacro cementava la piramide sociale in cui,
dal signore al servo, ogni essere particolare trovava un posto conforme alla
volonta’ della Provvidenza, all’ordine del mondo e al beneplacito del
re.
La coesione dell’edificio, corroso dalla critica dissolvente
della giovane borghesia, cedera senza che scompaia, lo si sa’, l’ombra
della gerarchia divina. La rovina della piramide lungi dal sopprimere
l’inumano, lo sbriciola. Si vedono assolutizzarsi dei piccoli esseri
 particolari, dei piccoli <cittadini> resi disponibili
dall’atomizzazione sociale(…)
I quali da quando Dio ha cessato di prestar
loro un punto di convergenza, non sono che traiettorie impazzite, che
si intrecciano e si spezzano in un disordine apparente; perche’ nessuno
ci si sbaglia: malgrado l’anarchia concorrenziale e l’isolamento
individualista, si stringono degli interessi di classe e di casta,
strutturando una geometria rivale della geometria divina, ma impaziente
di conquistare una coerenza.(…)
In un riflesso di autodifesa, la
borghesia <inventa> dei paradisi unitari artificiali recuperando
con piu’ o meno fortuna i disincanti e i sogni di unita’ prematuramente
infranti(…) All’indomani della grande rivoluzione, i surrogati di Dio
si valorizzano al rilancio sul mercato dell’invenduto…Una condizione
parcellare ha rimpiazzato l’ubiquita’ del condizionamento divino; e’
con una grande quantita’ di piccoli condizionamenti che il potere si
sforza di raggiungere la qualita’ del vecchio servizio d’ordine. Cio’
significa che la costrizione e la menzogna si individualizzano, che
stringono da vicino ogni essere particolare per meglio travasarlo in
una forma astratta.

Simbolicamente l’esecuzione di Luigi XVI  rappresenta la fine
"per sempre della proscrizione del delitto  e della censura degli
istinti malefici. Il presuntuoso "accoppiamento di liberta’ e virtu’ e’
divenuto impossibile"; "non si puo’ scegliere al tempo stesso il
delitto per se’ e il castigo per gli altri". L’uguaglianza in questa
"repubblica" non e’ che un
concetto matematico: "l’equivalenza di quegli oggetti che sono gli
uomini, l’abietta uguaglianza delle vittime". "La liberta’, soprattutto
quando e’ il sogno di prigionieri non puo’
sopportare limiti. E’ delitto o non e’ piu’. Dall’istante in cui si
accetta l’omicidio, fosse pure una volta sola, bisogna ammetterlo
universalmente."

Compiuto "il delitto dei delitti" il diritto non puo’ assumere altro
che la terrificante estensione del desiderio: "ma desiderare senza
limiti significa anche essere desiderati senza limiti. La licenza di
distruggere implica che si possa essere distrutti"
Spenta la luce divina il mondo non ha altra legge che quella della
forza e l’uomo non ha altro destino che quello di lottare e dominare
(nella versione meno drammatica suona cosi’: competere e avere successo
nel mercato).
Unico principio motore di questo mondo e’ la "volonta’ di potenza" e l’umanita’ e’ solo un oggetto di questa potenza.

"Basta
sostituire la parola Dio con
la parola Potere, così
tutto rientra perfettamente nel programma che ci siamo prefissi
(…)L’unica vera, grande, assoluta Anarchia, è
quella del potere. Infatti noi, qualsiasi cosa ci venga in mente, la più
folle ed inaudita, la più priva di senso, possiamo scriverla in
questo quadernetto, ed essa diviene immediatamente legale; se poi saltasse
in mente di cancellarla, essa diverrebbe immediatamente illegale. Le leggi
del Potere, non fanno altro che sancire questo potere anarchico,… e ciò
vale per qualsiasi potere".

Sciolta la terra dalla catena che la legava al suo sole
la liberta’ illimitata del desiderio significa negazione
dell’altro e soppressione della pieta’: gli oggetti di godimento non
devono mai apparire come persone. L’uomo puo’ essere trattato
soltanto come oggetto, e oggetto d’esperienza. Una volta tolto il ponte
levatoio verso il cielo bisogna vivere nel "castello" :
<Era tarda sera quando K. arrivò. Il paese era affondato
nella neve. La
collina non si vedeva, nebbia e tenebre la nascondevano, e non il
più
fioco raggio di luce indicava il grande Castello(…)il Castello ha
molti ingressi. Ora e’ in voga l’uno, e tutti passan di li’, ora
l’altro, e il primo e’ disertato. Ogni istante puo’ esservi un
cambiamento.>

Tutta l’organizzazione dei "castelli" e’ orientata dall’istinto
della liberta’ totale e al desiderio illimitato in cui il massimo
godimento coincide con la massima distruzione, in cui si puo’ possedere
solo cio’ che si uccide.
Tuttavia nell’istante in cui il delitto sopprime l’oggetto della
volutta’ sopprime la volutta’ stessa che esiste solo nel momento
preciso della soppressione: "bisogna allora sottomettersi un’altro
oggetto e ucciderlo di nuovo, un’altro ancora, e dopo questo tutti gli
infiniti oggetti possibili". Questa impossibile ricerca di sfuggire
alla disperazione  e’ una corsa da una servitu’ all’altra, da una
prigione all’altra. Se non c’e nessuna trascendenza la sola cosa vera
e’ la natura e in essa, solo il desiderio e la distruzione sono
legittimi allora "di distruzione in distruzione, non bastano piu’ alla
sete di sangue lo stesso regno umano, bisogna correre all’annientamento
universale(…)
Bisogna farsi, secondo la formula di Sade, il carnefice della natura.
Ma neppure questo si ottiene tanto agevolmente. Quando la contabilita’
e’ chiusa, quando sono state massacrate tutte le vittime, i carnefici
restano faccia a faccia nel "castello" solitario.(…) Sade medita
l’attentato contro la creazione(…) Ma non si puo’ distruggere tutto,
c’e sempre un residuo: bisogna camminare ancora; i carnefici si
misurano guardandosi. Sono soli, e una sola legge li governa, la legge
della potenza. Poiche’ l’hanno accettata quando erano padroni, non
possono rifiutarla ora che si volge contro di loro.
Bisogna uccidere ancora: a loro volta i padroni si dilanieranno(…)"

Il successo di Sade, scrive Camus, nella nostra epoca e’ spiegato da quel sogno che
egli ha in comune con la nostra sensibilita’ contemporanea:
rivendicazione dell’istinto della liberta’ totale, la disumanizzazione
operata a freddo dell’intelletto e la riduzione dell’uomo ad oggetto di
esperimento…:"la riduzione dell’uomo a oggetto di esperimento, il
regolamento che precisa i rapporti tra la volonta’ di potenza e
l’uomo-oggetto. Il campo chiuso di questo mostruoso esperimento sono
lezioni che i teorici della potenza ritroveranno quando dovranno
organizzare l’epoca degli schiavi. In anticipo di due secoli, e in
scala ridotta, Sade ha esaltato le societa’ totalitarie in nome della
liberta’ frenetica che, in realta’, la rivolta non ricerca.
Con lui hanno realmente inizio la storia e la tragedia contemporanea."

Il "nichilismo" sopravviene quando abbiamo cercato in tutto l’accadere
un senso che non c’e: cosi’ alla fine si perde il coraggio, si entra
nella consapevolezza e nella "sofferenza dell’invano", della mancanza
della possibilita’ di riprendersi e rassicurarsi in qualche modo: "il
bene dell’universo postula l’abnegazione del singolo: ma guarda, un
tale universale non c’e!"
La delusione su un asserito fine del divenire e’ la causa del
nichilismo. Prima si e’ posta una totalita’, una sistematicita’ e
perfino un’organizzazione in tutto l’accadere e a fondamento di ogni
accadere; si e’ creata una rappresentazione complessa di una suprema
forma di dominio e di governo e in virtu’ di questa
credenza l’uomo ha vissuto un "profondo sentimento di connessione
e dipendenza da una totalita’ a lui infinitamente superiore. Poi accade
che le categorie di "fine", "unita’", "essere" con le quali si e’ posto
un valore nel mondo non sono piu’ in grado di interpretare il mondo
stesso.
"l’inapplicabilita’ di queste categorie al tutto diventano una ragione per svalutare tutto".
Queste categorie, questi valori si rivelano solo come risultati di
determinate prospettive dell’utilita’ per la conservazione e
l’accrescimento di forme umane di dominio e falsamente proiettate
nell’essenza delle cose.

I piu’ alti valori al servizio dei quali l’uomo dovrebbe vivere; questi
valori sociali sono stati innalzati sopra l’uomo per il suo
potenziamento di tono, come fossero comandamenti di Dio, come
"realta’", come mondo "vero", come "speranza" e mondo "futuro". Quando
si rivela la miserabile provenienza di questi "valori", ci sembra che
il tutto sia diventato senza valore, "senza senso"…(ma questo e’ solo
uno stadio intermedio-patologico)
Non esistono "unita’ ultime durevoli", ma "formazioni di dominio",
"centri dominanti": il punto di vista del "valore" e’ il punto di vista
delle condizioni di accrescimento e conservazione di formazioni
complesse di vita relative entro il divenire.

Perduto il sole che ci lasciava vivere-per lungo tempo non si sapra’
come fare: Precipiteremo repentinamente nelle valutazioni contrapposte,
con uguale massa di energia con cui siamo stati cristiani. Morto Dio,
il mito, si cerca, allora, una sorta di "soluzione terrena", nello
stesso senso, del "trionfo finale della verita’", dell’amore, della
giustizia ecc.
Si cerchera’ di tenere ugualmente fermo "l’ideale morale"; si cerca
finanche di tenere fermo l’al di la’, anche soltanto come x antilogica.
Si crede ancora al bene e al male e cio’ consentira’ alla chiesa di
insinuarsi ancora in tutte le esperienza e in tutti i momenti
principali della vita privata. E poi per dare loro una consacrazione,
un senso superiore, abbiamo anche lo "stato cristiano", il "matrimonio
cristiano" ecc. E’ il periodo dell’oscurita’, dei tentativi di
conservare il vecchio senza rinunciare al nuovo.

Non c’e un mondo vero e un mondo apparente: ora c’e un un mondo solo,
ed e’ falso, spietato, contraddittorio, seducente, senza senso. Un
mondo siffatto e’ il mondo vero e noi abbiamo bisogno della menzogna
per ottenere la vittoria su questa realta’, su questa "verita’" per
vivere. La menzogna e’ necessaria per vivere-anche cio’ appartiene al
carattere problematico e contraddittorio dell’esistenza-l’amore,
l’entusiasmo, Dio: tutte finezze dell’estremo inganno, tutte seduzioni
per vivere.
La menzogna e’ la potenza.

Non sperando piu’ ne’ regola ne’ unita’ da Dio si cerca di creare
"un’unita’ estetica" , di "atteggiarsi", di divenire "personaggi". Si
cerca senza punti di riferimento all’interno di un’inesauribile vuoto
sperimentato attraverso la sensazione.
L’estasi del non-senso; dinamismo del vuoto. Neanche l’uomo e’ piu’ una
categoria unificante, il fondamento di una visione unitaria del mondo.
Da quando si e’ scoperto che e’ in balia di strutture inconsce del
"soggetto" rimane solo il gioco cieco dei desideri. L’inconscio, questo
calderone di eccitamenti ribollenti, non ha organizzazione, non segue
leggi logiche o temporali, non conosce giudizi di valore. Esso tende
esclusivamente a soddisfare le cariche pulsionali secondo il principio
di piacere. La "cosa in se’" dell’inconscio non si puo’ afferrare ma
solo riconoscere attraverso delle tracce, attraverso gli effetti che
produce, le resistenze che oppone. E cosi’ anche le nostre "virtu’ piu’
umane" crollano e resta solo il terreno sconvolto sulle quali si
ergevano.

"dall’istante in cui si sottopone Dio al giudizio morale, l’uomo lo
uccide in se’. Ma qual’e’ allora il fondamento della morale?"
Si puo’ netgare Dio in nome della giustizia  "ma l’idea di
giustizia si comprende senza l’idea di Dio? Non siamo allora
nell’assurdita?" Vivere e’ anche agire. In nome di che? Non c’e
immortalita’, ne’ premio ne’ castigo, ne’ bene ne’ male,  non c’e
virtu’, non c’e piu’ legge e dunque tutto e’ lecito. Privo della
volonta’ divina, il mondo diventa privo di unita’ e di finalita’ e
dunque "niente e’ vero, tutto e’ lecito"…Ma in questo mondo che si e’
sbarazzato di Dio e degli idoli morali il destino degli uomini non e’
piu’ orientato da un valore superiore . La liberta’ e’ cieca e l’uomo
solitario e senza padrone e’ responsabile di tutto cio’ che vive, di
tutto cio’ che, nato nel dolore, e’ destinato a patire nella vita. Dove
nessuno puo’ piu’ dire cosa sia bianco e che cosa sia nero, la luce si
spegne e la liberta’ diventa una prigione volontaria. Dio non e’ piu’,
ne garantisce piu’ il nostro essere; l’uomo deve allora
autodeterminarsi, determinarsi a fare per essere.
Del resto dopo aver scoperto il deserto, bisogna imparare a sussistervi
e cosi’ nasce "un’oscurantismo razionalista" dove la ragione si annette
in modo singolare i pregiudizi della fede. Nasce una filosofia da cani
da guardia dell’interesse e della "ragione dominante"
sull’universalismo astratto dei diritti umani. In un mondo senza
direzione la "colpevolezza generale" legittima l’uso della forza
consacrata al conseguimento del "successo": la liberta’ si costruisce
attraverso la violenza e s’instaura il suo momentaneo dispotismo.

"Nel secolo scorso l’uomo abbatte i vincoli religiosi. Eppure, appena
liberato, se ne inventa di nuovi, e intollerabili. La virtu’ muore, ma
rinasce ancora piu’ intrattabile. Grida a tutti i venti una
frastornante carita’, e quell’amore del lontano che fa dell’umanesimo
contemporaneo un’irrisione. Viene il giorno che s’inasprisce, si fa
poliziotta e, per la salvezza dell’uomo, s’innalzano ignobili roghi. Al
culmine della tragedia contemporanea entriamo allora in familiarita’
col delitto. Le fonti di vita e creazione sembrano inaridite. La paura
agghiaccia un’Europa popolata di fantasmi e di macchine. Tra due
ecatombi s’installano patiboli in fondo ai sotterranei. Torturatori
umanisti vi celebrano il loro culto, nel silenzio. Quale grido li
turberebbe? Il regno della grazia e’ stato vinto, ma quello della
giustizia crolla anch’esso. L’Europa muore di questa delusione."

Progresso, Scienza, Storia, Ragione sono tutti tentativi di resuscitare
un surrogato di sacro dietro il quale porre il potere al riparo.
Potenza della scienza…Potenza della Ragione…Potenza della
Storia….: tutte nuove fedi…Ma gia’ nate morte:
rimane solo il capitalismo. La "violenza della modernizzazione"
capitalista desostanzializza prima la Natura, poi Dio e infine tutto il
mondo dell’uomo in nome della mercificazione totale che esige il regno
dell’equivalenza assoluta, della manipolazione e della fungibilita’
universale. La prospettiva di un superamento delle liberta’ borghesi si
e’ decomposta  nei "diritti dell’uomo" che all’occorrenza
promuovono la correzione delle  iniquita’ particolari, se
necessario con la polizia e le bombe, senza la coscienza critica della
totalita’ del sistema sociale ed economico.
"L’unita’" sociale e’ garantita oggettivamente dalla "razionalita’
economica" e non ha bisogna di legittimazione ideologica o religiosa
 e quindi si puo’ dar libero corso alla proliferazione delle
"differenze", a qualsivoglia teologia personale e morale e immagine del
mondo. "Politeismo dei valori", fantasmi umanitari ed efficacia della
prestazione economica…

Oggi i "surrealisti" dei diritti umani sparano sulla folla alla cieca
ad onore di un’inconscio tanto socializzato quanto colonizzato. Non c’e
stata
nessuna storia redentrice, non si e’ compiuta ne’ la rivoluzione ne’ la
liberazione che essa prometteva e allora bisogna consolarsi con la
realta’ qual’e, smettere di cercare di comprendere per rallegrarsi
della propria indignazione che vuole rettificare qua’ e la’ ma senza
mai discutere lo status quo. Un culto segue l’altro.

La "Storia" forse e’ un mito
necessario alla vita degli uomini, ma e’ nata da consolatori messaggi
di autoredenzione e la "verita’" non e’ che una grandezza di misura per
il giudizio e la valutazione, ma  nientaffatto deducibile dalla realta’,
neppure riconducibile ad essa. Nella "storia  non si puo’ derivare
una connessione tra cause o sviluppo nel tempo senza l’uomo. L’uomo che
fa’ la storia e’ anche la connessione: la storia non trova un senso nel
mondo ma lo da’. Essa non puo’ stabilire "leggi" come fanno le scienze
naturali poiche’ i suoi oggetti sono degli "eventi" che non sono
proprio avvenuti in questo modo e non possono mai ripetersi nella
stessa maniera.
La storia puo’ anche partire da determinazioni fattuali non diversi da
quelle delle scienze naturali: "questa e quest’altra cosa e’ avvenuta
qui o la’ (e’ stata) meramente necessaria ma poi si "immagina
poeticamente "un destino che ha acquisito un senso solo
nell’accadimento". Non esiste altra realta’ della storia che lo
sviluppare la sua immagine; la "storia" <logica>, <pura>,
<razionale>, "universale> non esiste se non per mezzo della
coscienza umana e dell’immaginazione.
Una delle condizioni in cui la "storia" si puo’ immaginare e’ il suo
presentarsi come un "essere insieme di avvenimenti a differenza del
mero essere l’uno accanto all’altro": Se la vita fosse diversa e nuova
ad ogni istante, puro divenire, non si potrebbe affatto parlare di
storia. Per poter parlare di "storia" abbiamo bisogno di un "vettore",
di una "direzione" nel susseguirsi caotico degli avvenimenti. Senza
quella che si puo’ definire una "unita’ di formazione" la ragione si
perderebbe nei mutamenti senza senso; resterebbe disorientata e
paralizzata dal susseguirsi frenetico e sconnesso di immagini.

In una condizione di "pura molteplicita’" nulla permane piu’ di
un’istante e cambia continuamente. Qui nessuna "unita’" e’ possibile e
dunque ne’ un soggetto ne’ un oggetto. Non esisterebbe un "mondo
comune" e tutti gli uomini e ciascuno vivrebbe in un mondo che gli e’
proprio, privato, particolare, incomunicabile che si modifica e
ricostituisce da un istante all’altro e per il soggetto-anch’esso
considerato nella sua istantaneita’- sarebbe "il vero" quello che gli
appare in ogni istante. La distinzione tra realta’ ed apparenza,
tra la credenza soggettiva e la verita’ sarebbe completamente distrutta.
La "modernizzazione", l’estensione del modo di produzione
capitalistico, strettamente connesso allo sviluppo tecnologico e
scientifico, ha distrutto l’idea di una "struttura del mondo finita e
ordinata gerarchicamente e ontologicamente differenziata.
Gia’ lo spazio della geometria euclidea e’ astratto e omogeneo senza
alcuna natura qualitativa. Esso e’ "vuoto", e in questo "vuoto" gli
uomini non sanno piu’ dove andare e non hanno alcuna ragione di
muoversi in una direzione piuttosto che in un’altra e quindi di
muoversi affatto e una volta posto in movimento non ha alcuna ragione
di fermarsi.
Se non c’e nessun "ordine cosmico", e nessun "punto fisso", non si puo’
"giudicare", ne’ avere una qualche "verita’". Per giudicare bisogna
avere un "punto fisso", una "direzione"…

Alla luce del giorno ogni "fatto storico" si dimostra essere una pura
casualita’ e una conzione menzognera. Semmai si volesse parlare di
storia in senso forte si dovrebbe parlare della storia di una vita. La
storia, quella "universale" e’ una semplice collezzione di immagini che
si trovano nei libri che gli storici di professione, e gli
intellettuali e uomini di potere hanno scritto secondo i loro
pregiudizi:
"Dato che tutti i fatti vengono massificati, perdono la loro vita e
diventano storia"; la affannosa ricerca delle "cause" e’ sempre la
ricerca della "colpa" e dei "colpevoli" per tranquillizzarsi davanti al
non-noto, all’inquietante, agli avvenimenti che sfuggono ai nostri
schemi ordinari.

La "storia" e’ questo dar senso a cio’ che non ha senso; un sedativo
religioso. "Sapere a che cosa ci si possa attenere, sapere che si puo’
sfuggire alla propria responsabilita’ e scaricare tutte le azioni sulla
storia, sulla patria, sulla chiesa o sul dovere sembra la fine di una
malattia dell’anima".
Il solo "vero e credibile di questa commedia della storia non e’ altro che la pena, il dolore, la sofferenza".
"Tutti i circoli e ceti ragionano, almanaccano senza presagire che
proprio questa generale finzione di sapere rappresenta una specie di
crescente follia…di questa specie di scimmie predatrici cui
lentamente svanisce la ragione… sotto il peso dell’angoscia,
discutono con logica in un delirio senza posa."

Alla "fine della Storia" ci restano i "buoni sentimenti",
l’indignazione, la denuncia  e i "diritti dell’uomo".
L’umanitarismo astratto venne in soccorso agli orfani delle "grandi
narrazioni " che furono dispensati dal sottoporre il sistema sociale a
critica. I "diritti dell’uomo" altro non costituiscono che il
riconoscimento "dell’individuo egoistico, e del movimento sfrenato
degli elementi spirituali e materiali che costituiscono il contenuto
della sua situazione di vita, il contenuto della vita civile moderna; i
<diritti dell’uomo non liberano" quindi, l’uomo dalla religione, ma
gli danno la liberta’ religiosa, non lo liberano dalla proprieta’, ma
gli procurano la liberta’ della proprieta’, non lo liberano dalla
sordidezza del guadagnare, ma gli concedono la liberta’ dell’attivita’
diretta a guadagnare.(…)Il riconoscimento dei diritti dell’uomo da
parte dello Stato moderno non ha un significato diverso dal
riconoscimento della schiavitu’ da parte dello Stato antico. Cioe’,
come lo Stato antico aveva come base naturale la schiavitu’, cosi’ lo
Stato moderno ha come base naturale la societa’ civile, l’uomo della
societa’ civile, cioe’ l’uomo indipendente, unito all’altro uomo solo
con il legamen dell’interesse privato e della necessita’ naturale
incosciente, lo schiavo del lavoro per il guadagno, lo schiavo del
bisogno egoistico proprio sia del bisogno egoistico altrui. Nei diritti
universali dell’uomo, lo Stato moderno riconosce che questa e’ la sua
base naturale.(…)
Sui diritti dell’uomo la <critica> non ha saputo dire nulla
di critico, se non  che essi non sono innati, ma sorti
storicamente…che essi riconoscono il diritto di credere cio’ che si
vuole, di esercitare qualsiasi religione…."
Il culto dell’uomo allegorico, astratto, artificiale condito da un po’
di tenero sentimentalismo per i pregiudizi religiosi e morali che
colorano il mondo e gia’ ci si puo’ sentire in buona coscienza
sollevati dal proprio conto in banca.
Democratismo entro i confini di cio’ che e’ permesso dalla polizia e non e’ permesso dalla logica…
Non vi è nessuna risposta e potrebbe non esserci nessuno. Completo disincanto non senza una costante attesa.
Una promessa continuamente disattesa. Alla fine anche la noia e’ diventata una forma d’intrattenimento e di spettacolo.
L’ultima forma di salvezza dalla disperazione del vuoto e’ la mediocrita’. 

Davanti alla futilità della decadenza, della tirannia della
storia, del cambiamento, dell’agonia della consapevolezza, della
ragione come malattia se anche la morte di Dio fosse stata un banale incidente e Dio fosse sopravvissuto:
Il mondo e’ uno scandalo e Dio non vi ha niente a che fare: "colui che
non sia stato indotto a considerare questa ipotesi, come minimo una
volta al giorno, avra’ vissuto da sonnambulo". "Dio: una malattia dalla
quale immaginiamo di essere stati curati perché nessuno ai nostri
giorni ne rimane vittima."

Se la "storia
universale" e’ una menzogna senza senso, la natura neppure e’ in
ordine, "originariamente buona". Se la storia non e’ che un inutile fluire del tempo la natura non ha alcun potere taumaturgico.
"il grande torto della natura e’ che essa non si poteva accontentare di
un solo regno. Accanto al mondo vegetale, tutto il resto sembra
inopportuno, venuto male, indesiderato. Il sole avrebbe dovuto essere
in collera alla creazione del primo insetto, e al manifestarsi dello
scimpanze avrebbe dovuto andarsene". "Ammettendo l’uomo, la natura ha
commesso molto più di un errore di calcolo: un attentato a se stessa."
Il "peccato originale" non e’ che la versione rimpicciolita di un
precedente grave misfatto e "generare" non e’ altro che la deplorevole
imitazione di questo: e’ "aggiungere qualcosa alla creazione", "seguire
piu’ o meno servilmente l’esempio del creatore". "come considerare
senza spavento, o repulsione, questo prodigio che del primo venuto fa,
all’occasione, un demiurgo? E’ impossibile che la criminosa ingiunzione
della <genesi>: <crescete e moltiplicatevi> sia uscito
dalla bocca di un Dio buono. Siate scarsi; avrebbe semmai consigliato,
se avesse avuto voce in capitolo. Ed egualmente impossibile che abbia
aggiunto le funeste parole: <e popolate la terra>.A buon ragione
i Catari condannavano il matrimonio come "istituzione abominevole che
tutte le societa’ proteggono per disperazione di coloro che non cedono
alla vertigine comune. Procreare significa amare il flagello, volerlo
conservare e favorire". Poi il "benessere" che e’ la "catastrofe del
piacere" mostra troppo spesso cio’ che vorrebbe nascondere: che il
desiderio e’ essenzialmente una truffa…Se si riflette freddamente su
cio’ che e’ una vita umana, sul destino cui e’ esposta si puo’ vedere
l’abissale contrasto che c’e tra la disattenzione nell’atto di
procreare e le conseguenze di una tale sconsideratezza:
"E’ un procedimento che offende la ragione, inaccettabile, inaudito che
la vita umana proceda da una ginnastica coronata da un grugnito".

"Alle grandi illusioni collettive, che oggi sono esangui a forza di
aver fatto scorrere il sangue degli uomini, subentrano migliaia di
ideologie parcellari dalla societa’ del consumo come altretante
macchine portatili di scervellamento. Ci vorra ‘ ancora altrettanto
sangue per dimostrare che centomila punture di spillo uccidono con
altrettanta certezza di tre colpi di mazza?(…) Cambiare isolamento,
cambiare monotonia, cambiare menzogna, a che scopo!
l’economia non conosce tregua per far consumare di piu’, e consumare
senza posa  significa cambiare illusione a un ritmo accellerato che dissolve a poco a poco l’illusione del cambiamento(…)
A ognuno il suo caledeiscopio; un leggero movimento delle dita e
l’immagine si trasforma(…)poi la monotonia delle immagini consumate
prende il sopravvento, rinvia alla monotonia del gesto che le suscita,
alla leggera rotazione che il pollice e l’indice imprimono al
caledeiscopio(…) Piu’ niente di cui stupirsi, ecco il dramma!
La monotonia dello spettacolo ideologico rinvia ora alla passivita’ della vita, della sopravvivenza(…)

Con l’assorbimento dell’economia di produzione nell’economia di
consumo, lo sfruttamento della forza-lavoro viene inglobato nello
sfruttamento della creativita’ quotidiana. Una stessa energia estorta
al lavoratore durante le sue ore di fabbrica o le sue ore di svago fa
girare le turbine del potere, che i detentori della vecchia teoria
lubrificano beatamente con la loro contestazione formale. Quelli che
parlano di rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi
esplicitamente alla vita quotidiana, senza comprendere cio’ che di
sovversivo nell’amore e di positivo nel rifiuto delle costrizioni,
costoro si riempono la bocca di un cadavere."

Prima neutralizzata poi esplosa la potenza del sacro ricade sulla terra
in una miriade infinita di detriti. Le "immagini del mondo" si
moltiplicano vertiginosamente. Il "punto di riferimento" e’ imploso;
morto Dio, le <rappresentazioni>, le <visioni>, le
<immagini del mondo> diventano potenzialmente illimitate.
Ognuno segue, individualmente, il suo "demone-guida" mentre la
razionalizzazione economica s’impone uniformemente ed universalmente.
Del resto l’economia e’ solo una politica e un’ideologia che non puo’
evitare di terrorrizzare e violentare la realta’ umana.

Non ci rimane che rinascere o morire. La "rivoluzione assoluta"
presupponeva l’assoluta plasticita’ della natura umana, la sua
riduzione potenziale allo stato di forza storica. La "rivolta" invece
e’ nell’uomo  il rifiuto di essere trattato come una cosa e
ridotto alla pura storia. Essa e’ l’affermazione di una natura comune a
tutti gli uomini che sfugge al mondo della potenza.
Certo la storia e’ uno dei limiti dell’uomo; in questo senso il
rivoluzionario ha ragione. "Ma reciprocamente l’uomo, nella sua
rivolta, pone un limite alla storia. Su questo limite nasce la promessa
di un valore."
"la rivolta alle prese con la storia aggiunge che invece di uccidere e
morire per produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere e far
vivere per creare quello che siamo."

"Il cristianesimo storico rinvia oltre la storia la guarigione del male
e dell’omicidio che sono tuttavia sofferti nella storia. Anche il
materialismo contemporaneo crede di rispondere a tutti gli
interrogativi. Ma, servo della storia, accresce il dominio
dell’omicidio storico e insieme lo lascia senza giustificazione, tranne
nell’avvenire il quale, anch’esso richiede la fede.
"L’avvenire" e’ il solo tipo di proprieta’ che i padroni concedono
volentieri agli schiavi insieme al corpo mistico della specie piu’
bassa, quello del lavoro e del denaro.
In entrambi i casi bisogna aspettare, e intanto, l’innocente non cessa di morire."

" Nel momento storico in cui ci troviamo, nella confluenza di due
insoddisfazioni, della struttura capitalistica occidentale( che
continua le guerre, lo sfruttamento, l’oppressione di classe(…)e
della struttura comunistica storica(…)che ha impedito la liberta’
d’informazione, di critica, di controllo, di circolazione(…)dobbiamo
avere la forza di congedare anche cio’ che era connesso con le due
concezioni, il gruppo tecnico onnipotente in nome dell’efficienza, il
gruppo politico onnipotente in nome della rivoluzione."

" L’azione politica rivoluzionaria si trova da due secoli in
un’antitesi(…)Da due secoli essa si dibatte tra due poli: o preme per
riforme politiche e sociali, che, pur essendo tappe di un progresso,
non danno quella soddisfazione di mutamento profondo, quella sostanza
che quotidianamente soddisfi la tensione, che percio’ si ammollisce
nell’articolazione del benessere e anche dell’edonismo; o preme per una
rivoluzione totale, e impaziente si dirige al potere, conquistandolo o
mantenedolo con tutti i mezzi, ma perde cosi’ la reale
attuazione del "nuovo uomo". La prima e’ la linea del riformismo
nell’ambito della societa’ capitalistica; la seconda e’ la linea dello
statalismo comunistico. La via di uscita dall’antitesi, vista che ne’
con l’una ne’ con l’altra si ha la piena soddisfazione della premessa
rivoluzionaria, e’ la fedelta’ assoluta a questa, ma con una
soddisfazione o godimento o celebrazione dei mezzi lungo la via".

" Il fine giustifica i mezzi? E’ possibile. Ma chi giustifica il fine?
La "rivolta" risponde: i mezzi: Un metodo di lotta che porta gia’ il
fine a coincidere col mezzo."  Il potere allora non e’ ne’ il
regno della mediazione ne’ quello della morte ma la capacita’ di
creare, realizzare progetti, di vivere.

1)  L’uomo in rivolta- A.Camus
2) La gaia scienza-Frammenti postumi-Umano troppo umano-F.Nietzsche
3) La storia come senso di cio’ che non ha senso-Theodor Lessing
4) E.Mchel Cioran- Il funesto demiurgo-Dello svantaggio di essere nati-Il fallimento della creazione
5) Trattato del saper vivere-Vaneigem
6) Il Castello-F.Kafka
7) Salò o le centoventi
giornate di Sodoma-P.P. Pasolini
8) Il Potere di tutti-A. Capitini
9) La sacra famiglia-K.Marx
10) T.W.Adorno-dialettica negativa

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