Moratorium Diletti Fratelli

 

Ad ognuno sara’ assegnato il suo posto, la sua realta’, il suo corpo,
la sua malattia e la sua morte, per decreto legge. La vita espropriata,
la morte confiscata dall’amministrazione dello Stato. Il potere
paranoico, esercitato da una banda di videofascisti guidata da Silvio
Berlusconi, ormai soffre un tale delirio di onnipotenza da voler
sottrarre ad ogni individuo il diritto illuministico alla proprieta’
del proprio corpo, della propria vita e della propria morte.
Siamo ormai entrati completamente nello Stato Mediatico Totalitario, un
tecnofascismo che vuole sperimentare nel "bel paese", complice la
Chiesa cattolica, un nuovo medioevo tecnologico. In questo paese e’
stata istituita una dittatura mentre noi guardavamo il grande fratello e
trepidavamo per la squadra del cuore, mentre applaudivamo Di Pietro,
giocavamo all’enalotto, seguivamo le amene vicende di un gruppo di nani
e ballerine e veline che si dichiaravano comunisti o perlomeno di
sinistra.
 

<<Sisifo e il diritto alla morte

Il mito di Sisifo è noto come quel mito che descrive la condanna di Sisifo a subire una punizione del mondo dei Morti. Secondo la versione omerica, Sisifo doveva continuamente spingere un masso di marmo fino alla sommità di un colle ma, poco prima di giungere alla sommità, il masso insidioso gli sfuggiva sempre rotolando a valle. Questa figura mitica viene usata spesso; si dice – ad esempio – "è una fatica di Sisifo", quando si tratta di un lavoro pesante; oppure si afferma che Sisifo significa in realtà affrontare e iniziare le cose con rinnovata energia.
Sisifo viene considerato in effetti una sorta di eroe che si afferma con tenacia ed ostinazione. Ma se consideriamo più attentamente il mito, e tralasciamo l’uso che ne fa il nostro modo di pensare così attivistico, emerge qualcosa di estremamente interessante. Sisifo è stato per l’appunto condannato a questa pena per un determinato motivo; egli ha ingannato la morte. Come lo ha fatto? Per noi Sisifo significa effettivamente qualcosa di simile a scaltro, a colui che trova sempre una strada, un trucco: con i suoi inganni egli è riuscito persino ad aggirare il suo ingresso nell’Ade. Per punire questo, ossia per punire la sua volontà di sfuggire alla morte con l’astuzia, è stato condannato ad un tale tormento.
Con ciò in realtà si intende dire che si può infliggere una punizione alla volontà di sfuggire alla morte solo con un terribile prolungamento della vita. Quando lessi il mito mi venne di colpo in mente l’uso che oggi gli uomini ne fanno: "Mio Dio! Noi siamo tutti un po’ su questa strada, prolunghiamo artificiosamente la vita".
Negli attuali centri di terapia intensiva e negli ospedali geriatrici favoriamo il prolungamento vegetativo della vita che per così dire ci allontana dalla morte naturale, la ritarda in un modo che può apparire come una sorta di tormento di Sisifo forse in un senso più profondo – il fatto cioè che la nostra vita cosciente si affievolisce rimanendo ormai solo come esistenza vegetativa. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, Sisifo ha acquisito un nuovo significato simbolico: noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.

DOMANDA: Professor Gadamer, c’è un diritto alla morte così come c’è un diritto alla vita?
Io risponderei: "Sì!". Si ha questo diritto, perché si è uomini liberi e perché lo scopo della terapia medica presuppone la persona; presuppone quindi che si abbia a che fare con un uomo il cui volere deve esser rispettato. In questo senso non mi sembra affatto difficile rispondere alla domanda. Nella prassi diviene però molto più difficile poiché il morire, l’agonia stessa, è un lento paralizzarsi della libera possibilità di decidere in cui l’uomo vive come uomo consapevole e sano. Per questo è una domanda ragionevole la sua. Io comunque risponderei così come ho fatto.
(Tratto dall’intervista ad Hans Gadamer- "Il filosofo e la morte"- aprile 1991)

Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
[2] C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
[3] Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
[4] Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
[5] Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
[6] Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
[7] Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
[8] Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
                          (eclesiaste)

<<Quale proprietario del Moratorium Diletti Fratelli, Herbert Schoenheit von Vogelsang si recava sempre al lavoro prima dei suoi impiegati. E in quel preciso momento, mentre il gelido ed echeggiante istituto incominciava appena a scuotersi dal silenzio del riposo notturno, un cliente era già in attesa; aveva un aspetto vagamente impiegatizio e uno sguardo preoccupato, con occhiali dalle lenti quasi opache e una giacca sportiva dalla pelliccia tigrata, e attendeva sulle sue scarpe gialle appuntite accanto al banco della reception, stringendo in pugno la ricevuta della sua concessione. Con tutta probabilità voleva fare gli auguri ad un parente. Il Giorno della Resurrezione, la festa in cui i semi-vivi erano pubblicamente onorati, non era lontano; l’afflusso di congiunti sarebbe presto iniziato.
«Si, signore,» gli disse Herbert con un sorriso affabile. «Mi incaricherò di lei personalmente.»
«E’ una signora piuttosto anziana,» disse il cliente. «Sugli ottanta, molto piccola e rugosa. Mia nonna.»
«Attenda un istante.» Herbert fece ritorno ai bidoni dei congelati per cercare il numero 3054039 -B.
Non appena ebbe trovato il cartellino, esaminò attentamente la bolletta di carico annessa. Rimanevano soltanto quindici giorni di semi-vita. Non era molto rifletté; automaticamente inserì un amplificatore portatile di protofasoni nell’estremità di plastica trasparente della bara, lo sintonizzò ascoltando all’esatta frequenza l’indicazione dell’attività cefalica.
Dall’altoparlante una debole voce disse, «… e allora Tillie si lussò l’anca e noi pensammo che non sarebbe mai guarita; era stata così stupida, con la sua pretesa di cominciare a camminare subito…»
Soddisfatto, disinserì l’amplificatore e trovò un impiegato che portasse il 3054039-B in sala di consultazione, dove il cliente sarebbe stato messo in contatto con l’anziana signora.
«Avete controllato, non è vero?» chiese il cliente pagando l’ammontare dovuto.
«Personalmente,» rispose Herbert. «Funziona alla perfezione» Diede qualche colpetto ad una fila di interruttori, poi si fece indietro. «Felice Giorno della Resurrezione, signore.»
«Grazie.»
Il cliente si avvicinò alla bara fumante nel suo involucro congelato; premette un auricolare contro un lato della testa e parlò a voce alta nel microfono. «Flora, cara, puoi sentirmi? Credo di sentire già la tua voce. Flora?»
Quando trapasserò, disse fra sé Herbert Schoenheit von Vogelsang, stabilirò nel mio testamento che gli eredi potranno farmi rivivere un solo giorno ogni secolo. In questo modo potrò osservare il destino dell’intera umanità. Ma richiederà un alto costo di manutenzione ai miei eredi… e lPhilip K. Dickui sapeva bene cosa significava quello. Prima o poi si sarebbero ribellati, avrebbero tolto il suo corpo dal congelamento e – Dio non volesse – lo avrebbero seppellito.
«La sepoltura è una barbarie,» esclamò Herbert. «Un rimasuglio delle primitive origini della nostra cultura.»
«Sì, signore,» convenne la sua segretaria alla macchina da scrivere.
Nella sala di consultazione diversi clienti stavano ora comunicando con i loro parenti semi-senzienti in una quiete quasi estatica, dislocati a intervalli regolari con le rispettive bare. Quei fedeli che venivano regolarmente a rendere il loro omaggio offrivano uno spettacolo tranquillo. Portavano messaggi e notizie di ciò che succedeva nel mondo esterno; recavano conforto ai tristi semi-vivi in quei brevi intervalli di attività cerebrale. Senza contare che erano loro a pagare Herbert Schoenheit von Vogelsang. Si guadagnava bene a dirigere un moratorium.
«Il mio babbo sembra un po’ debole,» disse un giovane attirando l’attenzione di Herbert. «Mi chiedevo se lei avrebbe potuto perdere un momento del suo tempo per dargliPhilip K. Dick un’occhiata. Le sarei veramente grato.»
«Ma certo,» disse Herbert accompagnando il cliente attraverso la sala fino al contenitore del parente defunto. La bolletta di quest’ultima mostrava che restavano solo pochi giorni; ciò spiegava la qualità viziata dell’attività cerebrale. Eppure… aumentò il volume dell’amplificatore protofasonico, e la voce nell’auricolare divenne leggermente più robusta. E’ quasi alla fine, pensò Herbert. Gli parve ovvio che il figlio non volesse vedere la bolletta e che non si preoccupasse di sapere che il contatto con il padre si avvicinava rapidamente alla fine. Così Herbert non disse nulla; si allontanò, lasciando il figlio alla sua comunione. Perché dirgli che probabilmente quella era l’ultima volta che avrebbe potuto recarsi lì? Lo avrebbe scoperto abbastanza presto in ogni caso.
Un autocarro era comparso ora accanto alla piattaforma di scarico sul retro del moratorium; ne discesero due uomini, vestiti delle familiari uniformi celesti. L’interplanetaria Atlas Trasporti e Depositi, rimuginò Herbert. Forse erano lì per sbarcare un altro semi-vivo appena trapassato, oppure per prelevarne uno definitivamente spirato.>>
(tratto da Ubik-Philip K. Dick)

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