12 12 1969: chi non ricorda il passato e’ condannato a riviverlo

 

12
"Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a
riviverlo". (P.Levi)

"E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu
potrai rispondere loro: noi ricordiamo.
Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo
in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la
più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la
più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra."
(Ray Bradbury Fahrenheit 451)

In perfetto stile kafkiano, nel 2005, dopo 11 processi, si chiuse senza
risposte
la vicenda
giudiziaria
 della strage di Piazza
Fontana
con la Cassazione che condannava i parenti delle
vittime della strage, strage che a Milano il 12 dicembre 1969 provocò
17 morti e 85 feriti, al pagamento delle spese processuali. Alcuni
responsabili erano stati individuati e’ vero ma o le prove raccolte a
loro carico furono ritenute insufficienti oppure, questi signori, per
la legge italiana, non erano piu’ passibili di giudizio. Molti
sosterranno che le aule dei tribunali borghesi non sono il luogo piu’
adatto all’accertamento della verita’, men che mai se si tratta di una
verita’ scomoda per lo Stato, altri grideranno allo scandalo
arrampicandosi sugli specchi di una giustizia formale tradita. Comunque
sia, quella sentenza che mandava assolti tutti i mandanti e i
responsabili della strategia della tensione faceva parte e fa parte di
un piano generale di oblio della memoria storica di questo paese
portato avanti dai nuovi padroni del vapore. Non ci si dovra’
meravigliare piu’ di tanto se, qualche anno piu’ tardi, giunti alla
completa attuazione di questo progetto di riscrittura del passato, ad
uso e consumo dell’attuale potere delle elite dominanti, complice la
sinistra dei "riformisti della sopravvivenza", s’intitolano
strade a Giorgio
Almirante
quasi fosse un personaggio da annoverare, nella
storiografia ufficiale, come uno
dei "padri fondatori" della
democrazia italiana
e se si rilegittima l’azione politica e
culturale di quella banda criminale di
neonazisti e neofascisti, cioe’ dei protagonisti, insieme ad apparati
dello Stato, di una
guerra sporca fatta di stragi
e attentati
vigliacchi contro il movimento operaio italiano.
Di una guerra che prosegue ancora oggi ed infatti "il signore di
Arcore" e’ determinato a portarla fino in fondo alle sue estreme
conseguenze deformando la Costituzione nata dalla Resistenza al
fascismo, mutando la la Repubblica italiana in un sistema presidenziale
che concentri, in stile Putin, quanto piu’ e’ possibile il potere nelle
mani di un uomo solo.
Il "signor B" ha una strategia piuttosto chiara per giungere
all’instaurazione di una dittatura postmoderna, di uno
"stato autoritario multimediale". Essa passa attraverso alcune fasi
fondamentali: depoliticizzazione delle questioni sociali, riduzione
all’ignoranza delle masse e pertanto, disintegrazione
della scuola pubblica e del potere dei sindacati ad un potere
formale, annichilimento dell’informazione e della magistratura non
allineata ad
una brutale riedizione, tutta made in italy, di un sistema
dell’ingiustizia di classe dove ai proletari e’ negata anche la
coscienza della propria condizione.
L’ italia, si dice e, a ragion veduta, non e’ piu’ quella degli anni
’60 e ’70 eppure l’obiettivo della borghesia piu’ reazionaria e piu’
rozza di questo paese circondato dal mare non e’ cambiato:
"disorientamento delle
masse ed il diffondersi di
una mentalita’ favorevole alla restaurazione dell’ordine e all’avvento
di strutture centralizzate e gerarchiche", creazione di un permanente
stato di emergenza che avvalla e giustifica la repressione preventiva
di ogni sommossa e agitazione del lavoro contro l’ipersfruttamento e
l’iperprecarizzazione delle sue condizioni di esistenza. Per far
funzionare questo sistema di oppressione perpetua quotidiana del lavoro
e’ necessario, naturalmente, degradare, in una sorta di "soluzione
finale", il livello culturale di questo paese. Nessun disegno politico
autoritario di controllo sociale e di liquidazione conseguente delle
liberta’ civili e’ attuabile senza la precondizione dell’ignoranza di
massa e della disciplina della memoria storica
Non e’ sufficiente inviare l’esercito nelle strade e nemmeno istituire
uno stato di poliziia; non basta deregolamentare il mercato del lavoro
e distruggere i diritti sociali dei lavoratori, delle minoranze, degli
immigrati, delle donne: per comandare la popolazione prima occorre
distruggere la sua memoria sociale: quando tutti quanti accettano la
menzogna imposta dal potere, quando tutti i
documenti raccontano la stessa favola, allora la menzogna diventava
un fatto storico, una forza reale che organizza e controlla la vita
sociale. Come diceva Orwell: "Tutto
ciò che succede, succede nella mente. Tutto ciò che succede in tutte le
menti, succede davvero". Oggi l’industria dell’oblio funziona a pieno
regime tanto che i punti cardinali della politica fascista
(corporativismo, nazionalismo,
populismo, anticomunismo, militarismo, antiliberalismo, razzismo,
sessismo dilagante…) possono essere disinvoltamente spacciati come
una nuova luce, finalmente scoperta, che guidera’ le linee di una
"riforma epocale" della societa’ italiana:
« Non era vero, come sostenevano le cronache, che il Partito aveva
inventato gli aeroplani. Lui gli aeroplani se li ricordava fin dalla
più remota infanzia, ma non si poteva dimostrare nulla. Non esistevano
più le prove».
Un passaggio essenziale nell’alterazione della storia di questo paese
e’ il mutamento del senso  e del significato complessivo della
Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza armata al fascismo. La
reazione borghese non puo’ tollerare lo scandalo di una "Costituzione"
che sia pure a livello formale contiene una prospettiva dei diritti
sociali e delle liberta’ civili che contrasta totalmente con la sua
visione gerarchica della societa’ e che legittima quel conflitto
sociale che essa vorrebbe cancellare completamente dalla testa della
gente. Il secondo comma  dell’art.
3 della costituzione
, introdotto dal deputato socialista alla
costituente, Lelio Basso (con la collaborazione del giurista M.Severo
Giannini) recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

In questo articolo si introduce nel cuore stesso delle norme generali
che governano un paese la contraddizione fra forma e sostanza dei
diritti, tra astrazione giuridica e condizioni materiali dei soggetti;
la coscienza stessa delle ragioni del conflitto di classe. Il
primo comma dello stesso articolo afferma: “Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche,
di condizioni personali e sociali”. E come scrive lo stesso Lelio
Basso: "Siamo qui, è chiaro, in presenza di una
eguaglianza puramente formale: la legge rimane eguale per tutti, ma la
sua
applicazione è diversa, perché la società è composta di persone
disuguali. C’è
forse la stessa libertà di stampa per il multimiliardario che può fare
il “suo”
giornale e la comune dei mortali? L’esperienza ci mostra che anche in
carcere
c’è una profonda differenza di trattamento fra l’imputato comune, ancor
oggi soggetto a
maltrattamenti, e il generale che va diretto in infermeria e viene
rapidamente
scarcerato. Nonostante la conclamata uguaglianza di diritto, i
cittadini sono
ben lungi dal fruire di diritti uguali.
Messo immediatamente di seguito al primo,
questo comma (il secondo) ha un netto significato polemico: la
Costituzione stessa riconosce
che un principio fondamentale, come quello dell’eguaglianza, non è e
non sarà
rispettato in Italia finché non muteranno radicalmente le condizioni
economiche
e sociali. Ma la stessa polemica si rivolge, può dirsi, contro tutta la
Costituzione: nessuna libertà è effettiva finché sussistono le attuali
condizioni; il voto dei cittadini non è uguale finché perdurano
ostacoli di
ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei
cittadini; la stessa sovranità popolare, base della democrazia, è
un’illusione
se non tutti i lavoratori possono partecipare effettivamente
all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese. Da ciò discende
un’altra
conseguenza importante. L’ordine giuridico è stato sempre edificato a
difesa
dell’ordine sociale, per impedire o punire i tentativi di modificarlo;
ora, per
la prima volta, abbiamo nell’ordinamento giuridico una norma che
condanna
l’ordine sociale esistente e impone allo Stato di correggerlo. In altre
parole
se nella concezione tradizionale la pretesa di modificare l’ordine
sociale
costituiva un’offesa all’ordinamento giuridico, oggi è vero il
contrario: è la
volontà di conservazione dell’ordine sociale che costituisce un’offesa
allo
stesso ordinamento giuridico. Non dirò naturalmente, che la prassi di
questi
trent’anni si sia conformata a quest’ordine costituzionale. Ma
l’affermazione
rimane e sta a noi esigerne l’applicazione (…) La costituzione – come
diceva Lassalle agli operai tedeschi – siete anche voi perché
siete una forza e la Costituzione è, in ultima istanza, un rapporto di
forze".

Oggi la riforma dell’ordinamento giudiziario e della Costituzione della
Repubblica deve cancellare dalla coscienza degli italiani ogni traccia
e ogni ricordo di questa contraddizione fondamentale tra diritti
formali e diritti sostanziali, che concepisce il diritto stesso
come garanzia di un progetto politico aperto al cambiamento attraverso
il conflitto sociale. L’ideologia dominante dell’uguaglianza formale,
dei diritti astratti del cittadino astratto non tollera nulla che anche
solo criticamente e formalmente entri in contrasto con lo strapotere
dei rapporti materiali e con la prassi piu’ brutale di
una  giustizia
di classe

( in via di restaurazione definitiva ) in cui si decide in partenza,
senza neanche il riflesso di qualche contraddizione reale, a favore
dell’ordine e a riconferma
puntuale delle istanze di controllo sociale di un capitalismo
che falsamente, sotto
il nome di pluralismo, continua a perpetuare la legge assoluta
dell’accumulazione capitalistica che esclude ogni riduzione dello
sfruttamento.

Il passato di questo paese viene rimaneggiato in funzione
dello stato presente del dominio, per cancellare nella coscienza, gia’
fin
troppo umiliata quotidianamente, del proletariato, ogni memoria di
lotta e
resistenza
e,
dunque, ogni sua aspirazione alla costituzione di
una societa’ libera: La realta’ manomessa ed edificata negli interessi
di un’arrogante minoranza privilegiata
dev’essere l’unica ideologia possibile e tutti devono adeguarsi. Nella
societa’ dello "spettacolo integrato" le masse devono isolarsi dalla
totalita’ sociale, rinunciare a ricordare e riflettere, devono solo
pensare a divertirsi, cioe’ ad essere d’accordo, a lavorare sempre di
piu’ e a classificare il mondo secondo schemi da polizia di
stato, dedicarsi al culto di un futuro che non e’
altro che un eterno remake del presente: menzogna, carcere, condizioni
di lavoro inumano, videolobotomia. La "disintegrazione sociale
a
causa
dell’integrazione" del resto si amministrata sull’amnesia generale,
organizzando spettacoli
esemplari sulla paura, nutrendo l’immaginario televisivo nazionale di
ira e violenza contro l’altro
, divinizzando la realta’ cosi
come essa e’. Come auspicavano i "democratici di
sinistra" l’italia sta’ diventando, e molto velocemente, "un paese
normale". E si sa’, un "un paese normale" prevede nel suo corredo
politico e umano, a sostegno, nelle strade, dell’egemonia del pensiero
borghese, le sue squadre di servi. Prevede lo squadrismo dei figli
nevrotici di una piccola-borghesia che non esiste piu’ per intimorire e
accoltellare quelli
che resistono
alla
follia del capitalismo-multimediale, alle ingiustizie imposte
"dall’economia della luna". Gli "ingegneri dell’astratto" dinnanzi alla
decomposizione dei valori generalmente accettati, dei miti che un tempo
sorreggevano la piramide della gerarchia sociale hanno messo appunto
nuovi sistemi di cura dello spirito: misticismi di ogni sorta,
astrologia, riedizioni a buon mercato di filosofie orientali,
stravaganti sette religiose, revivals della "tradizione", sintesi di
elementi culturali incompatibili, quiz a premi. Tutto e’ un ottimo
rimedio per le difficolta’ sociali e psicologiche del mondo
contemporaneo. Una volta, quando c’era ancora una frattura tra cultura
e produzione l’individuo possedeva ancora qualche via di fuga. Oggi,
nel dominio di una falsa conciliazione spettacolare, e’ vietato
pronunciare termini che anche solo lontanamente alludono alla
dicotomia, alla contraddizione concreta, decisiva che caratterizza lo
sviluppo della societa’ capitalistica: l’antagonismo tra
capitale e lavoro.
Nel regno, finalmente instaurato, dell’utopia
padronale di un capitalismo senza lotta di classe, e’ vietato
pronunciare coppie di parole e concetti come fascismo/antifascismo,
destra/sinistra…e soprattutto poi, questo divieto linguistico si e’
esteso oltremodo da quando la politica si e’
trasformata definitivamente in una merce, venduta in un supermercato
virtuale
dove all’elettore spettatore e’ lasciata la liberta’ di scegliere,
sulla base di differenze infinitesimali, tra la politica di una certa
marca e l’altra, tra opposizioni spettacolari costruite sulla rimozione
delle contraddizioni reali. Il cittadino-spettatore per definizione non
deve neanche sforzarsi di pensare con la propria testa, ma limitarsi ad
acquistare uno dei tanti prodotti che si riversano sul mercato politico
in concorrenza tra loro ma tutti armonizzati nell’immagine di
un’unificazione felice. La vita non cambia, mentre ci si puo’
appassionare con la coscienza tranquilla del consumatore standard a
qualsiasi merce politica anche all’arcaismo regionalista, al razzismo,
al neofascismo incaricati di "trasfigurare in superiorita’ ontologica
fantastica la volgarita’ delle posizioni gerarchiche del consumo".

«Lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere
al massimo la sfera d’azione del pensiero. Alla fine renderemo lo
psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno più parole
con cui poterlo esprimere».

Le
parole, nell’era della illimitata comunicazione globale e del
"capitalismo cognitivo" ormai e’ chiaro devono autolimitarsi, adattarsi
al gusto della cucina del giorno, a volte suicidarsi, ricordarsi
sempre che la verita’ e
il significato del linguaggio sono solo una funzione di forze economiche, di forze
che tali
restano anche quando l’informazione ufficiale le chiama "interessi del
popolo".
Per farsi capire e per comunicare non restano che gli slogan scritti in
un linguaggio infantile.
Il
significato a quanto pare e’ sempre relativo, nulla ha un valore in
se’, nessun fine e’, in quanto tale, migliore di un altro ma e’
assoluto e indiscutibile un sistema economico che divora uomini e
natura ed e’ insaziabile.
E’ relativa "la giustizia", "la giustizia" che non
ha mai voluto indagare davvero su una strage che coinvolgeva apparati
di Stato,
neofascisti, servizi segreti stranieri e vari agenti del caos-mercenari
del capitale…, che non ha mai voluto trovare i mandanti della
strategia della tensione di ieri e di oggi
. E’ nient’affatto
approssimata quando condanna la vita di innocenti come
Valpreda
e Pinelli
 che non c’entravano nulla con la
strage di piazza Fontana. E’ tanto vaga, relativa, inesatta e lacunosa
invece quando deve giudicare la nostra illuminata borghesia e
la strategia che ha adottato contro l’avanzare delle lotte
sociali:
"rovesciamento
dell’ ordine statuale preceduto da una graduale attivita’ terroristica
tale da provocare il disorientamento delle masse ed il diffondersi di
una mentalita’ favorevole alla restaurazione dell’ordine e all’avvento
di strutture centralizzate e gerarchiche". Tutto e’ relativo, ma non il
denaro, non i profitti e gli affari. Sono relativi i morti sul lavoro,
gli immigrati che annegano non lontano dalle coste di questo paese
circondato dal mare, gli studenti che si ribellano all’essere
condannati alla miseria intellettuale e alla precarieta’
esistenziale… Oggi, le parole "dialogo", "tolleranza", "diritti
umani" fanno vomitare, come fanno vomitare le parole "pluralismo"
quando non sono nient’altro che il rovescio funzionale del
totalitarismo fascista del capitale. E’ ovvio che avendo rinunciato
a-priori e per principio a ricostruire la realta’ da cima a fondo
appare naturale che sia del tutto privo di senso parlare di "verita’" e
"giustizia"
quando dobbiamo prendere le nostre decisioni pratiche e morali
e affidarci invece alla guida nelle nostre scelte a
predilizioni soggettive, al nostro
gusto estetico, a qualche capriccio del momento. Il nostro pensiero, la
nostra ragione non ne devono sapere nulla di criteri etici e di valori
ideali
che guidano le azioni, devono limitarsi a funzionare in vista di scopi
indifferentemente buoni o cattivi.

La
réclame della democrazia dei padroni oggi gravita attorno al concetto
di "pluralismo" e "differenza", nomi che non rappresentano niente altro
che l’idea borghese di "tolleranza" il cui senso non cade mai dal lato
di  "una liberta’ dal dominio dell’autorita’ dogmatica", ma
sempre
su quello di un atteggiamento di neutralita’ rispetto ad ogni contenuto
spirituale e di un generale relativismo. Pertanto non c’e’ piu’ da
meravigliarsi se la cultura media di questo paese non e’ in grado di
esprimersi sull’affermazione diffusa che in fondo la giustizia e la
liberta’

non sono di per se’ migliori o peggiori dell’ingiustizia e
dell’oppressione. Beh! gli "esperti", la scienza non ha detto nulla al
riguardo, allora, se il valore
della liberta’ sull’oppressione non e’ "scientificamente
dimostrabile" perche’ non indulgere e comprendere anche una cultura fascista in
cui la cosa
piu’ alta e’ uccidere e torturare
operai,
sindacalisti,
studenti di sinistra
, gay,
lesbiche,
donne,
frequentatori
di centri sociali, immigrati, ebrei, comunisti? Tanto, "tutto e’
relativo", non ci sono "verita’ universali" ma solo "interpretazioni
del mondo"…fatto salvo il principio assoluto che "’l’uomo e’ il
denaro". Questo "relativismo" spacciato col nome di "pluralismo" con la
sua altisonante tesi che la coscienza individuale sia la piu’ alta
delle cose non e’ che un "materialismo volgare" il cui compito e’
quello di
mascherare il fatto che in questa societa’, in ultima istanza, vige il
predominio dei rapporti materiali, che essi sono l’unica cosa che
veramente conta. In una cultura dominata da questo materialismo
grossolano e rozzo travestito da "politeismo irriducibile dei valori"
non c’e spazio per l’etica, ne’ per una discussione pubblica sulle
norme civili e morali sulla cui base si deve o si puo’
cambiare-trasformare l’organizzazione
sociale ed economica della societa’. Qui c’e spazio o per il
rincoglionimento spirituale generalizzato o per  la "politica
della volonta’", per il "decisionismo politico" che e’ l’esercizio del
potere della classe dominante di principio sottratto ad ogni critica
pubblica.
Questa "politica della volonta’ dei padroni" con l’alibi, generosamente
fornito dai filosofi postmoderni-psicoschiavetti del Comando
capitalista, si sente autorizzata, in virtu’ di una fantomatica
impossibilita’ di una fondazione pubblica di norme etiche e valori
condivisi, di non dar conto dei suoi atti a nessuno.
Essa e’ il risvolto del tramonto pianificato dal potere della speranza
di trasformare radicalmente
e materialmente la societa’ e dunque anche della  possibilita’
di costruire
norme etiche condivise in base alle quali sia possibile discutere o
decidere il carattere giusto o ingiusto di una legge.

Cos’e’ la "politica della volonta’"? Il fatto che non si puo’ piu’
porre la questione sul che cosa sia una "legge giusta" ne’ sul che cosa sia
la "giustizia", ne’ su "qual’e’ la buona costituzione
 della societa". La psicopolizia non lo permette.
Daltronde, dichiarata inesistente o quantomeno matafisica la
"totalita’ sociale", come mediazione di tutti i rapporti sociali, e
ridotto tutto ai singoli
fatti, agli individui, ad agglomerati umani, gruppi colti in se’ e ai
fenomeni sociali separati dalla struttura oggettiva della societa’ si
puo’ evitare a-priori qualsiasi
giudizio sulla societa’ in cui si vive. Per quanto la cultura
dominante, postmoderna, faccia professione di neutralismo e di "avalutativita’ morale" ha un
carattere assolutamente politico. Interpreta qualsiasi fatto
"soggettivisticamente"
mentre esclude implicitamente e in linea di principio di trattare la
societa’ come totalita’. Certo qualche vaga teoria sulla societa’,
sulla totalita’ sociale, ancora circola ma vale solo come "finzione di
ipotesi" ed e’ gia’ svalutata in anticipo come una metafisica. In
definitiva la cultura dominante non sa ripetere altro che bisogna
adattarsi alla societa’ esistente come fosse "natura". Peccato che
questa entita’ "metafisica" non e’ cosi’ tanto matafisica visto che ci
costringe tutti, molto concretamente, ad assoggettarci, se vogliamo
sopravvivere, alle motivazioni del profitto e dell’astrazione
economica.

Il
fascismo quello di ieri e di oggi, nell’oblio della memoria storica di
questo paese, non fa che rivendicare e ipnotizzare
con l’illusoria pretesa di possedere la cifra di "un’autenticita’"
originaria presentata e agitata virtualmente come l’unica vera base
della ribellione al sistema mentre, essa non e’ altro che un "ostinato e
caparbio attaccamento alla forma monadica che l’oppressione imprime
agli uomini", una filosofia dell’interiorita, che col suo disprezzo
apparente del mondo moderno, e’ l’ennesima
sublimazione della brutalita’
barbarica. Dalla "sublimazione" di questa brutalita’ barbarica
all’aggressione squadrista, all’assassinio, il passo e’ breve. Chi
legittima culturalmente questi ripiegamenti reazionari e’ complice di
quelli che accoltellano i militanti di sinistra, gli immigrati, i
gay, le lesbiche
, le
donne
, gli ebrei, i libertari.
Chi mostra comprensivo dialogo, promuove "dialettiche democratiche" con i
promotori di questi revivals della "tradizione" e dello "spirito
reazionario" collabora attivamente alla violenza fascista perpetrata
nelle strade di questo paese ieri come oggi. Non ci sono scuse.

"E’ successo e ciò che è accaduto una
volta, può
accadere di nuovo. E’ un dovere di tutti noi ricordare per non
dimenticare affinché certi tragici eventi non si ripetano". (Primo Levi)

"L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la
storia insegna, ma non ha scolari." (A. Gramsci)

"Non
occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme
pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il
fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana,
socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società."
(P.P.Pasolini)

Questa voce รจ stata pubblicata in Generale. Contrassegna il permalink.